theophilus
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lunedì 10 febbraio 2014
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una favola futura
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LE HAVRE
La stagione del neorealismo è solo un ricordo, un momento importante e felice del cinema, italiano e non, che seguì la fine dell’ultima guerra mondiale. Oggi è molto più difficile realizzare un film ‘politico’, è più complicato addentrarsi per strade che percorrano i temi sociali. La politica sembra essere, come tante altre componenti della vita dell’uomo, ‘post’, sospesa in un vortice che la fa galleggiare per aria, in attesa di risoluzioni che si spera non inevitabili, ma guidate, coordinate dalla mano dell’uomo. Anche l’estetica è figlia di questo pulviscolo inconcludente, non sa dove andarsi a posare, come e dove incidere.
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LE HAVRE
La stagione del neorealismo è solo un ricordo, un momento importante e felice del cinema, italiano e non, che seguì la fine dell’ultima guerra mondiale. Oggi è molto più difficile realizzare un film ‘politico’, è più complicato addentrarsi per strade che percorrano i temi sociali. La politica sembra essere, come tante altre componenti della vita dell’uomo, ‘post’, sospesa in un vortice che la fa galleggiare per aria, in attesa di risoluzioni che si spera non inevitabili, ma guidate, coordinate dalla mano dell’uomo. Anche l’estetica è figlia di questo pulviscolo inconcludente, non sa dove andarsi a posare, come e dove incidere.
In attesa di questo avvento, Aki Kaurismäki – forse facendosi forza proprio del clima indistinto che ci avvolge – opta per il coraggio dell’immaginazione. Rovista nella scatola dei suoi sogni e sembra voler sfidare il secolo XXI a seguirlo per quella strada.
Per sgombrare il terreno da ogni dubbio, affermiamo subito di non ritenere Le Havre un inno alla solidarietà, o che il regista finnico sia partito da una situazione sociale per ricamarci una storia dalle tinte fortemente intrise d’impegno civile. Quello sarebbe stato il percorso dei cineasti della stagione che abbiamo ricordato o di quelli engagés figli di un ’68 già attraversato da ideologismi rimasti senza risposta.
Il cammino di Kaurismäki c'è parso esattamente opposto. In Le Havre non mancano certo i riferimenti al cinema di De Sica o Rossellini. Vi abbiamo trovato espresso, però, il bisogno di rappresentare una storia i cui canoni estetici possano essere rappresentati solo da quei visi, da quei ritmi, da quell’ambientazione, da quei contenuti. L’estetica crea il sociale convolando a felici nozze con la favola. Miracolo a Le Havre – così nelle nostre sale – è opera poetica che sa tenersi lontana dal livore e dalla rabbia, troppo spesso motori primi e unici, talora tristemente inconcludenti dal punto di vista cinematografico. Per questo, il protagonista principale del film, Marcel Marx, ci sembra riflettere nel nome il desiderio di premettere alle necessarie considerazioni economiche le altrettanto indispensabili motivazioni letterarie, filosofiche, poetiche.
C’è un bel contrappasso fra la fotografia spesso fredda, quasi livida, e la calma purezza del dolore della storia, che ha la meglio sulle vigenti regole contemporanee. Kaurismäki se ne infischia del ‘reale’ e si rifugia in un passato forse avveniristico. Il tema trattato in Le Havre è lo stesso di Welcome, il riuscitissimo film girato da Philippe Lioret nel 2009. Del tutto diverse, invece, le strade seguite dai due registi. Quanto Lioret resta ancorato con estrema lucidità ai nostri tempi, altrettanto fortemente Kaurismäki ne prescinde. Quelle facce semplici e nobili (Marcel e la moglie) o quelle, al contrario, segnate da caratteri fisionomici così forti da rimandarci al mondo di miserie descritto nelle vicende ottocentesche narrate da Victor Hugo, ci tengono distanti dall’estetica odierna dove tutto si confonde, tutto è conforme a canoni guidati, imposti, vuoti.
Così, anche l’eroe rock che realizza uno dei tasselli del miracolo, appare fuori del mondo. Con quei tratti così improbabili, privo com’è del fisique du rôle, appare più Babbo Natale, come del resto suggerisce il suo giubbotto rosso sgargiante.
Fra gli interpreti segnaliamo André Wilms, Kati Outinen, Jean-Pierre Darroussin.
Enzo Vignoli
28 dicembre 2011
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great steven
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mercoledì 22 giugno 2016
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un messaggio di pace tranquillo e solidale.
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MIRACOLO A LE HAVRE (FINL/FR/GERM, 2011) diretto da AKI KAURISMAKI. Interpretato da ANDRé WILMS, KATI OUTINEN, JEAN-PIERRE DARROUSSIN, BLONDIN MIGUEL, ELINA SALO, EVELYNE DIDI, JEAN-PIERRE LéAUD, PIERRE éTAIX, FRANçOIS MONNIè, QUOC DUNG NGUYEN
Marcel Marx ha abbandonato la sua carriera di scrittore bohémien per trasferirsi a Le Havre, dove lavora come lustrascarpe. Ha come aiutante il vietnamita Chang (che però si spaccia per cinese) e vive in una modesta abitazione con la moglie Arletty. Ha per amiche la panettiera Yvette e la barista Claire, mentre fra lui e il fruttivendolo non corre buon sangue. Un giorno incontra casualmente un bambino nero di nome Idrissa, arrivato dal Gabon a bordo di un container dal quale è poi scappato su invito del nonno.
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MIRACOLO A LE HAVRE (FINL/FR/GERM, 2011) diretto da AKI KAURISMAKI. Interpretato da ANDRé WILMS, KATI OUTINEN, JEAN-PIERRE DARROUSSIN, BLONDIN MIGUEL, ELINA SALO, EVELYNE DIDI, JEAN-PIERRE LéAUD, PIERRE éTAIX, FRANçOIS MONNIè, QUOC DUNG NGUYEN
Marcel Marx ha abbandonato la sua carriera di scrittore bohémien per trasferirsi a Le Havre, dove lavora come lustrascarpe. Ha come aiutante il vietnamita Chang (che però si spaccia per cinese) e vive in una modesta abitazione con la moglie Arletty. Ha per amiche la panettiera Yvette e la barista Claire, mentre fra lui e il fruttivendolo non corre buon sangue. Un giorno incontra casualmente un bambino nero di nome Idrissa, arrivato dal Gabon a bordo di un container dal quale è poi scappato su invito del nonno. Il pargolo, giunto in Normandia per caso, vorrebbe raggiungere i parenti a Londra, e Marcel non può tirarsi indietro: decide di fare l’impossibile per aiutarlo. Nel frattempo Arletty si ammala e viene ricoverata in ospedale: le viene diagnosticato un tumore maligno che, però, i medici riferiscono come benigno a Marcel per non allarmarlo. Peccato che si metta di mezzo il commissario Monet, agente della polizia giudiziaria di frontiera, che parte alla caccia di Idrissa. Ma Marcel si accorgerà di essersi sbagliato sul suo conto: alla fine il commissario appoggerà attivamente le azioni del lustrascarpe. Con la collaborazione degli amici del quartiere, Marcel riuscirà a far imbarcare il bambino africano per l’Inghilterra, e sarà contentissimo quando la moglie guarirà sorprendentemente dalla malattia, ritornando in piena salute. Un piccolo capolavoro di felicità e speranza splendidamente coniugate, e non nel suo genere: il suo profondo discorso umanitario, tramite una storia che almeno per una volta non veicola sé stessa come pretesto, abbraccia l’ambito delle relazioni sociali toccando temi enormemente importanti con una gentilezza e una delicatezza ammirevoli, soprattutto per la grazia e leggiadria con cui il combattimento millenario dell’uomo contro le miserie, la povertà, gli stenti e il razzismo viene rappresentato attraverso le peripezie di un uomo anziano che magari non è realizzato appieno nella sua esistenza, ma sa rendersi rilevante compiendo un eccellente atto di benevolenza e carità. Una stupenda fotografia che ritrae i paesaggi marini e curiosamente lagunari della Normandia settentrionale, con le tipiche case e i quartieri caratteristici in cui la vita di periferia è ambientata senza forzature né campanilismi. Un repertorio di interpretazioni tutte di prima classe: fra il magnanimo e costante lustrascarpe con passato da scrittore di Wilms (cui giova in modo assoluto la voce italiana di Rodolfo Bianchi, navigato ed esperto direttore del doppiaggio) e la dolce moglie Arletty (K. Outinen, assidua collaboratrice del regista finlandese), ci si diverte e commuove con la fornaia dal cuore d’oro, il chitarrista/cantante col cuore spezzato che ritorna ai vecchi fasti quando la compagna gli perdona un torto, il saggio nonno di Idrissa col vestito tradizionale, l’accorto aiutante asiatico del protagonista, la comprensiva barista che serve i bicchieri di sherry a Marcel, il fruttivendolo un po’ sospettoso (un Léaud completamente diverso dall’Antoine Doinel del truffautiano I quattrocento colpi) che poi si rivela personaggio dinamico come anche il commissario dallo sguardo severo, e qui va un grandissimo merito agli sceneggiatori per non averlo convertito in un antagonista: il suo cambio di rotta finale lo eleva come esempio morale ed etico di sincera e veritiera umanità. Contributi tecnici meravigliosi, fra cui primeggia una fotografia ineccepibile e una colonna sonora che sciorina brani moderni capacissimi di sottolineare la poeticità della storia nel suo lento e magico sviluppo. Una prova perfettamente superata da parte di Kaurismaki, cineasta scandinavo che si conferma una volta di più come uno dei più illustri e abili professionisti della settima arte della sua zona geografica, anche per quanto riguarda la scelta decisamente intelligente di scegliere come habitat della vicenda un paesino della Francia che funge da crocevia per mezzi di trasporto che viaggiano con cose ed esseri umani a bordo. Nessuna caduta di tono, molti momenti sognanti, alcune scene azzeccate di deliziosa comicità, una tensione drammatica mantenuta quanto basta e calibrata a dovere, un copione stupendamente architettato sia nei tempi attivi che nelle pause, un tocco autoriale che fa sentire la mano del regista in modo non pesante, ma presente. Simpatica la scelta di annoverare anche la cagnolina Laika nel cast del film, sia nei titoli di testa che in quelli di coda! Prodotto dalla compagnia finlandese di Kaurismaki (la Sputnik), insieme co-produttori nazionali in Francia e Germania. Budget di 3,8 milioni di euro. Vincitore del premio FIPRESCI a Cannes 2011, con menzione speciale della giuria ecumenica. Giustamente lodato dalla critica per i tre aspetti che abbina senza perderne di vista nemmeno uno e traendo da ciascuno un significato alquanto succoso: il villaggio nella città, un incontro fra due mondi apparentemente inconciliabili, il miracolo della solidarietà.
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"joss"
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mercoledì 26 dicembre 2018
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accadde a le havre...
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Kaurismaki e il suo "malinconico ottimismo". Quasi un marchio di fabbrica per il regista finlandese, qua in azione in territorio francese. Un altro capolavoro dove i pochi personaggi ricordano molto un'altra sua pellicola, "L'uomo senza passato", anche quella arricchita dalla brava Kati Outinen. Si nota in ambedue i lavori la passione del regista per il rock melodico anni '60, e a noi sta bene così. Il protagonista è Marcel (André Wilms), un anziano lustrascarpe che vive e lavora a Le Havre, sposato con Arletty con cui condivide un'esistenza modesta in un quartiere povero della città. Tra i due c'è stima reciproca e soprattutto Marcel ha una innata serenità davvero granitica, che gli consente di affrontare le avversità sempre con un punto a favore.
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Kaurismaki e il suo "malinconico ottimismo". Quasi un marchio di fabbrica per il regista finlandese, qua in azione in territorio francese. Un altro capolavoro dove i pochi personaggi ricordano molto un'altra sua pellicola, "L'uomo senza passato", anche quella arricchita dalla brava Kati Outinen. Si nota in ambedue i lavori la passione del regista per il rock melodico anni '60, e a noi sta bene così. Il protagonista è Marcel (André Wilms), un anziano lustrascarpe che vive e lavora a Le Havre, sposato con Arletty con cui condivide un'esistenza modesta in un quartiere povero della città. Tra i due c'è stima reciproca e soprattutto Marcel ha una innata serenità davvero granitica, che gli consente di affrontare le avversità sempre con un punto a favore. Un giorno conosce Idrissa, un ragazzino africano che vuole andare a Londra dove lavora la madre. Purtroppo lì è un clandestino e la Polizia è mobilitata per trovarlo e rimpatriarlo. Marcel decide di aiutarlo e lo nasconde in casa sua, con la complicità di tutti i suoi amici del quartiere: la fornaia, la proprietaria del bar, il droghiere e un fruttivendolo. Lì a Le Havre lavora anche il commissario Monet (Jean-Pierre Darroussin), un uomo di poche parole, determinato ma anche con un debole per chi soffre ed è disagiato. Lui non si occupa di immigrazione clandestina ma osserva tutto e non gli sfugge niente. Guida un'auto ormai obsoleta, una Renault 16 degli anni '70, e non disdegna un bicchiere di Calvados in compagnia, ma è un vero intenditore di vini. Proprio in occasione di un colloquio informale con Marcel al bar chiede un calice di "Domaine de Courbissac" del 2005... Intanto un altro problema attanaglia Marcel: sua moglie non sta bene, va in ospedale e gli esami danno un riscontro drammatico. Qualche mese ancora di vita ma, come dice il dottore -"cominciamo le cure e poi vediamo"-. Ci vogliono tremila euro per traghettare Idrissa a Londra e Marcel si ingegna per trovare i soldi. Un anziano rocker, tale Little Bob, potrebbe esibirsi in un concerto di beneficenza ma solo a patto che la sua ex ritorni insieme a lui. I soldi raccolti, insieme ai pochi risparmi di Arletty e Marcel, potrebbero bastare per Idrissa. Il lustrascarpe, aiutato dal suo incrollabile ottimismo, riesce a riunire Little Bob e la sua amata e così l'evento musicale ha inizio. La gente accorre con entusiasmo e si diverte ballando, con un grande successo e un buon incasso. In certe scene Kaurismaki rende formidabile il contrasto tra la zona del porto, strapiena di container provenienti da tutto il mondo, e il piccolo quartiere dove vive Marcel con il suo microcosmo, fatto di persone semplici, genuine, pronte a farsi in quattro per aiutarsi. Ma tra loro c'è un uomo malvagio, un vicino di casa che avvisa la Polizia dopo avere visto il ragazzino africano uscire dalla casa di Marcel. Questo viscido personaggio è interpretato da Jean-Pierre Leaud, in un ruolo che più distante non si potrebbe dall'amabile, anche se bizzoso, Antoine Doinel protagonista dei film di François Truffaut. Marcel organizza un escamotage e Idrissa viene nascosto nel carretto del fruttivendolo, riuscendo così ad arrivare al porto per imbarcarsi. Ma proprio all'ultimo istante arriva la Polizia per perquisire la nave. Giunge però anche il commissario Monet che, aprendo l'accesso per la cambusa, vede Idrissa nascosto. Monet si siede sulla botola fumando una sigaretta, impedendo così a un solerte gendarme di vedere il clandestino. Idrissa parte così per Londra, mentre Marcel si reca al bar con il commissario Monet e gli offre un Calvados. Le sorprese non sono finite: Marcel va in ospedale a trovare Arletty e il dottore, scusandosi, gli dice che il male di Arletty è misteriosamente scomparso e aggiunge: "Siamo a conoscenza solo di un altro caso simile, molto distante da qui". I due tornano a casa con un vecchio taxi e, quando scendono, vedono il ciliegio già in fiore. Sorridenti e sereni entrano nella loro casa pronti a ricominciare la vita di sempre. Un bel film, un grande Kaurismaki che si conferma uno dei registi più validi attualmente. - di "Joss" -
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olgadik
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domenica 4 dicembre 2011
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magari fosse vero...
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Partito come un racconto dal fine etico sul problema immigrazione, l’ultimo film di Kaurismäki, assente dalle scene da quattro anni (Le luci della sera), prende nella seconda parte l’andamento di una favola cinematografica un po’ vintage. Si pensa subito, un po’ per il titolo un po’ per alcune somiglianze, al capolavoro di De Sica-Zavattini con gli indimenticabili barboni di Miracolo a Milano che sorvolano su scope il duomo, ma forse ancora di più la memoria va alle fiabe urbane e positive di Frank Capra. Detto questo, è vero poi che il maestro finlandese ha un modo tutto suo di raccontare quasi a doppio sguardo in quanto per tecnica, asciuttezza di dialogo, fotografia, da una parte osserva impassibile il dipanarsi degli eventi, dall’altra il guardare si veste di solidarietà umana come per le creature maltrattate di Dickens.
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Partito come un racconto dal fine etico sul problema immigrazione, l’ultimo film di Kaurismäki, assente dalle scene da quattro anni (Le luci della sera), prende nella seconda parte l’andamento di una favola cinematografica un po’ vintage. Si pensa subito, un po’ per il titolo un po’ per alcune somiglianze, al capolavoro di De Sica-Zavattini con gli indimenticabili barboni di Miracolo a Milano che sorvolano su scope il duomo, ma forse ancora di più la memoria va alle fiabe urbane e positive di Frank Capra. Detto questo, è vero poi che il maestro finlandese ha un modo tutto suo di raccontare quasi a doppio sguardo in quanto per tecnica, asciuttezza di dialogo, fotografia, da una parte osserva impassibile il dipanarsi degli eventi, dall’altra il guardare si veste di solidarietà umana come per le creature maltrattate di Dickens. Un bel miscuglio, dunque, dosato con equilibrio e con quel fascino suo tutto nordico che non si perde, pure se l’ambientazione questa volta è a Le Havre. Della città francese Kaurismäki ritaglia un brano di periferia, zona porto, piuttosto misero e squallido, dove tutto è spoglio, essenziale, come i gesti e le parole. La mancanza di ogni sottolineatura nella prime sequenze che raccontano il tran-tran quotidiano dei personaggi, sembra ingrigire e schiacciare tutto. Il protagonista Marcel Marx (André Wilms) vive facendo il lustrascarpe dopo essere stato un mediocre scrittore bohemien e ha trovato una certa tranquillità tra l’affetto per la moglie Arletty (Kati Outinen), il bar vicino alla sua casa e l’amicizia dei vicini che lo stimano e gli fanno credito quando i magri guadagni non bastano per il companatico. Accanto il fedelissimo cane Laika e un amico straniero che l’aiuta nella sua attività molto poco attiva. Ma accadono due fatti nuovi: l’incontro con Idrissa, un ragazzino nero sfuggito all’arresto come clandestino che si rifugia da lui e il ricovero della moglie, affetta da male incurabile, in ospedale. Il nostro di divide con rara dolcezza tra i due che hanno bisogno di affetto e di aiuto e alla fine, con la collaborazione di tutto il piccolo quartiere, riesce a trovare il denaro per far partire il ragazzo alla volta di Londra ove si ricongiungerà alla madre. Anche il commissario di polizia che dovrebbe catturare il giovanissimo migrante ha un sussulto di umanità e lascia fare… Il giorno dopo anche la moglie guarisce per “miracolo” e la vita riprende semplice e complice, com’era prima, con qualche puntatina nel surreale. Così si conclude la favola bella che vede agire solo un cattivo, un uomo della zona che fa lo spione per la polizia, simbolo di quell’umanità, questa sì frequente, pronta a far del male ad altri quasi per insipienza, oscure insoddisfazioni, raggelanti ripicche. Dei tre precetti della Rivoluzione francese il regista sceglie di rappresentare l’ultimo, disperando forse dei primi due. Oggi infatti si è portati a considerare tali concetti qualcosa da favola utopica, anche se teoricamente tutti sono d’accordo; di eguaglianza poi meglio non parlarne affatto. Ma poiché far bene produce veri miracoli, Kaurismäki ha voluto sottovoce e con garbo ricordarcelo, avvertendoci nello stesso tempo di non crederci troppo.
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molenga
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lunedì 26 marzo 2012
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solidaretà al calvados
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Marcel vive facendo il lustrascarpe alla stazione di Le Havre: ha una casetta nei bassifondi che divide con la moglie finlandese( la fiammiferaia di Kaurismaki) e una cagna, laika. Un giorno la sua vita cambia: la moglie è gravemente malata e si ritrova a far da tutore a un piccolo clandetino ricercato, il quale ha come unico desiderio raggiungere la madre a Londra; con la colaborazione di tutto il quartiere Marcel riuscirà ad aiutare il picolo e la sua generosità verrà premiata da un vero e proprio miracolo, la guarigione della moglie.
Film sulla solidarietà che profuma d'Italia, già dal titolo, una storia molto bella, qua e là poco credibile- ma non è importante-, sempre delicata, sulle picole vite rese grandi dalla generosità.
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Marcel vive facendo il lustrascarpe alla stazione di Le Havre: ha una casetta nei bassifondi che divide con la moglie finlandese( la fiammiferaia di Kaurismaki) e una cagna, laika. Un giorno la sua vita cambia: la moglie è gravemente malata e si ritrova a far da tutore a un piccolo clandetino ricercato, il quale ha come unico desiderio raggiungere la madre a Londra; con la colaborazione di tutto il quartiere Marcel riuscirà ad aiutare il picolo e la sua generosità verrà premiata da un vero e proprio miracolo, la guarigione della moglie.
Film sulla solidarietà che profuma d'Italia, già dal titolo, una storia molto bella, qua e là poco credibile- ma non è importante-, sempre delicata, sulle picole vite rese grandi dalla generosità. Molto piacevole.
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filippo gini
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venerdì 30 marzo 2012
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la speranza trasognata di kaurismaki
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Il film si svolge a Le Havre, città portuale dell’alta Normandia. E “Le Havre” sarebbe anche il titolo del film, se i traduttori italiani non avessero aggiunto quel “Miracolo” che, se pur attinente, si poteva tralasciare.
Marcel Marx, un passato da scrittore bohemièn e da clochard, è un lustrascarpe che sbarca il lunario con difficoltà, interpretando una professione desueta con rispetto, umiltà ed abnegazione. Trascorre lunghe giornate nei dintorni della stazione di Le Havre, alla ricerca dei pochi clienti che ancora ne apprezzano i servigi; vive con la cagnolina Laika ed Arrietty, una vedova che l’ha raccolto e salvato dalla strada, e ricambia l’affetto del suo pallido ed esile angelo lavorando alacremente ogni giorno su quella stessa strada in cui ha sempre vissuto, e che rimane il suo habitat naturale.
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Il film si svolge a Le Havre, città portuale dell’alta Normandia. E “Le Havre” sarebbe anche il titolo del film, se i traduttori italiani non avessero aggiunto quel “Miracolo” che, se pur attinente, si poteva tralasciare.
Marcel Marx, un passato da scrittore bohemièn e da clochard, è un lustrascarpe che sbarca il lunario con difficoltà, interpretando una professione desueta con rispetto, umiltà ed abnegazione. Trascorre lunghe giornate nei dintorni della stazione di Le Havre, alla ricerca dei pochi clienti che ancora ne apprezzano i servigi; vive con la cagnolina Laika ed Arrietty, una vedova che l’ha raccolto e salvato dalla strada, e ricambia l’affetto del suo pallido ed esile angelo lavorando alacremente ogni giorno su quella stessa strada in cui ha sempre vissuto, e che rimane il suo habitat naturale.
Nel tempo breve di poche sequenze, due avvenimenti scuotono la routine dell’uomo: la malattia di Arrietty, più grave di quanto egli stesso immagini, e la conoscenza di Idrissa, un ragazzino africano sbarcato clandestinamente in Francia. Mentre la compagna è costretta al ricovero in ospedale per curarsi, Marcel trova un motivo importante nella storia di Idrissa, scovato dalla polizia in un container diretto in Inghilterra, dove vive sua madre. Il ragazzino è scappato e la Gendarmerie è sulle sue tracce, e così Marcel decide prima di nasconderlo e sfamarlo, e poi di fare in modo che completi quel disumano viaggio intrapreso in Africa. Per realizzare il suo piano, Marcel si avvale della collaborazione dei propri amici e vicini di casa: la fornaia, il fruttivendolo, la fidata barista, un clandestino che vive in Francia sotto mentite spoglie, e persino un ombroso e incalzante investigatore dal doppio volto.
Ne scaturisce un quadro denso di umanità, fatto di persone che conducono esistenze umili ma vere, capaci di sostenersi reciprocamente in caso di bisogno, legate a codici di fratellanza che sfuggono all’odierna società asettica e indifferente. Andrè Wilms interpreta Marcel Marx con commovente sensibilità, prestando al personaggio ogni piega o ruga del viso e uno sguardo profondo come il mare che lo bracca, tutto intorno; Wilms si muove fra il porto, le osterie e i mille volti della stazione col piglio di chi sente proprio il contesto che lo circonda e lo stringe a sé come un vecchio amico. Da evidenziare anche la prova di Jean-Pierre Darroussin nei panni dell’implacabile investigatore: l’ispettore Monet rappresenta simbolicamente la personificazione di un potere avverso, il nemico del popolo, l’uomo nero da temere, schivare, ghettizzare; ma dietro la maschera che il sistema gli assegna si nasconde un uomo solo e sofferente, che cerca di avvicinarsi alla gente, di aiutare quegli umili da cui forse anch’egli proviene, senz’abbandonare l’aplomb impassibile del suo personaggio, assecondando in superficie il volere superiore di un prefetto invisibile e divinizzato.
Il film di Aki Kaurismaki è pura poesia: il regista finlandese utilizza un linguaggio scarno per privilegiare una storia che rappresenta la realtà senza i fronzoli estetici dell’ipocrisia, e descrive l’amore come il frutto quotidiano della convivenza e della condivisione, come la somma autentica di gesti e parole che legano indissolubilmente quanti hanno la forza e il coraggio di donarsi lealmente e nella reciprocità, oltre i condizionamenti dell’apparenza.
“Miracolo a Le Havre” sembra muoversi sulla falsa riga di “Vita da boheme”, l’altro film francese di Kaurismaki, e mostra una speranza nuova e antichissima, come quella tracciata dai passaggi e dalle atmosfere surreali di Vittorio De Sica, come quella di una donna che decide di vivere per il suo uomo o di un ciliegio che esplode i propri germogli nel grigiore cementificato di un’esistenza dura ma possibile.
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filippo gini
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venerdì 30 marzo 2012
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la speranza trasognata di kaurismaki
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Il film si svolge a Le Havre, città portuale dell’alta Normandia. E “Le Havre” sarebbe anche il titolo del film, se i traduttori italiani non avessero aggiunto quel “Miracolo” che, se pur attinente, si poteva tralasciare.
Marcel Marx, un passato da scrittore bohemièn e da clochard, è un lustrascarpe che sbarca il lunario con difficoltà, interpretando una professione desueta con rispetto, umiltà ed abnegazione. Trascorre lunghe giornate nei dintorni della stazione di Le Havre, alla ricerca dei pochi clienti che ancora ne apprezzano i servigi; vive con la cagnolina Laika ed Arrietty, una vedova che l’ha raccolto e salvato dalla strada, e ricambia l’affetto del suo pallido ed esile angelo lavorando alacremente ogni giorno su quella stessa strada in cui ha sempre vissuto, e che rimane il suo habitat naturale.
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Il film si svolge a Le Havre, città portuale dell’alta Normandia. E “Le Havre” sarebbe anche il titolo del film, se i traduttori italiani non avessero aggiunto quel “Miracolo” che, se pur attinente, si poteva tralasciare.
Marcel Marx, un passato da scrittore bohemièn e da clochard, è un lustrascarpe che sbarca il lunario con difficoltà, interpretando una professione desueta con rispetto, umiltà ed abnegazione. Trascorre lunghe giornate nei dintorni della stazione di Le Havre, alla ricerca dei pochi clienti che ancora ne apprezzano i servigi; vive con la cagnolina Laika ed Arrietty, una vedova che l’ha raccolto e salvato dalla strada, e ricambia l’affetto del suo pallido ed esile angelo lavorando alacremente ogni giorno su quella stessa strada in cui ha sempre vissuto, e che rimane il suo habitat naturale.
Nel tempo breve di poche sequenze, due avvenimenti scuotono la routine dell’uomo: la malattia di Arrietty, più grave di quanto egli stesso immagini, e la conoscenza di Idrissa, un ragazzino africano sbarcato clandestinamente in Francia. Mentre la compagna è costretta al ricovero in ospedale per curarsi, Marcel trova un motivo importante nella storia di Idrissa, scovato dalla polizia in un container diretto in Inghilterra, dove vive sua madre. Il ragazzino è scappato e la Gendarmerie è sulle sue tracce, e così Marcel decide prima di nasconderlo e sfamarlo, e poi di fare in modo che completi quel disumano viaggio intrapreso in Africa. Per realizzare il suo piano, Marcel si avvale della collaborazione dei propri amici e vicini di casa: la fornaia, il fruttivendolo, la fidata barista, un clandestino che vive in Francia sotto mentite spoglie, e persino un ombroso e incalzante investigatore dal doppio volto.
Ne scaturisce un quadro denso di umanità, fatto di persone che conducono esistenze umili ma vere, capaci di sostenersi reciprocamente in caso di bisogno, legate a codici di fratellanza che sfuggono all’odierna società asettica e indifferente. Andrè Wilms interpreta Marcel Marx con commovente sensibilità, prestando al personaggio ogni piega o ruga del viso e uno sguardo profondo come il mare che lo bracca, tutto intorno; Wilms si muove fra il porto, le osterie e i mille volti della stazione col piglio di chi sente proprio il contesto che lo circonda e lo stringe a sé come un vecchio amico. Da evidenziare anche la prova di Jean-Pierre Darroussin nei panni dell’implacabile investigatore: l’ispettore Monet rappresenta simbolicamente la personificazione di un potere avverso, il nemico del popolo, l’uomo nero da temere, schivare, ghettizzare; ma dietro la maschera che il sistema gli assegna si nasconde un uomo solo e sofferente, che cerca di avvicinarsi alla gente, di aiutare quegli umili da cui forse anch’egli proviene, senz’abbandonare l’aplomb impassibile del suo personaggio, assecondando in superficie il volere superiore di un prefetto invisibile e divinizzato.
Il film di Aki Kaurismaki è pura poesia: il regista finlandese utilizza un linguaggio scarno per privilegiare una storia che rappresenta la realtà senza i fronzoli estetici dell’ipocrisia, e descrive l’amore come il frutto quotidiano della convivenza e della condivisione, come la somma autentica di gesti e parole che legano indissolubilmente quanti hanno la forza e il coraggio di donarsi lealmente e nella reciprocità, oltre i condizionamenti dell’apparenza.
“Miracolo a Le Havre” sembra muoversi sulla falsa riga di “Vita da boheme”, l’altro film francese di Kaurismaki, e mostra una speranza nuova e antichissima, come quella tracciata dai passaggi e dalle atmosfere surreali di Vittorio De Sica, come quella di una donna che decide di vivere per il suo uomo o di un ciliegio che esplode i propri germogli nel grigiore cementificato di un’esistenza dura ma possibile.
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chaoki21
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domenica 1 aprile 2012
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una favola moderna
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Ce ne sono pochi di film belli in giro e questo lo è veramente ...è una favola moderna che fotografa la società mi è piaciuto il fatto che sia girato come se i protagonisti vivessero negli anni sessanta ma sottolineano sempre l'attualità dell'argomento facendoci ben notare che usano l'euro che contrasta non poco con i vestiti, le auto e il contesto sociale .
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Ce ne sono pochi di film belli in giro e questo lo è veramente ...è una favola moderna che fotografa la società mi è piaciuto il fatto che sia girato come se i protagonisti vivessero negli anni sessanta ma sottolineano sempre l'attualità dell'argomento facendoci ben notare che usano l'euro che contrasta non poco con i vestiti, le auto e il contesto sociale . I personaggi sono bellissimi sono come uno se li aspetta cioè un uomo onesto irreprensibile che vuole salvare un bambino solo e spaventato aiutato dalla moglie vero pilastro della famiglia e tutti gli altri partendo dall'ispettore di polizia un classico della cinematografia i silenzi le pause e gli sguardi tra i protagonisti sono veramente una goduria...fateci caso !!!
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(di kondor17)
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maria f.
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domenica 20 gennaio 2013
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evviva i buoni film!
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Tutti parlano di favole, di film sull’immigrazione. No! Secondo me non è così.
Il regista ha preso solo spunto da alcuni fatti per spronarci e affrontare la realtà della vita e non sfuggire o indietreggiare quando si tratta di aiutare gli altri.
Si nasce altruisti non si diventa, e l’altruismo fa parte del DNA di tutti.
Prendersi cura degli altri non vuol dire sempre risolvere i problemi, ma accorgersi degli altri, lasciare che le persone quali esse siano facciano parte della nostra esistenza.
I gesti di comune solidarietà fatti da Marcel, dall’ortolano, dalla venditrice di pane, a prima vista ci appaiono banali, senza significato ma dimostrano con certezza una notevole attenzione verso il prossimo.
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Tutti parlano di favole, di film sull’immigrazione. No! Secondo me non è così.
Il regista ha preso solo spunto da alcuni fatti per spronarci e affrontare la realtà della vita e non sfuggire o indietreggiare quando si tratta di aiutare gli altri.
Si nasce altruisti non si diventa, e l’altruismo fa parte del DNA di tutti.
Prendersi cura degli altri non vuol dire sempre risolvere i problemi, ma accorgersi degli altri, lasciare che le persone quali esse siano facciano parte della nostra esistenza.
I gesti di comune solidarietà fatti da Marcel, dall’ortolano, dalla venditrice di pane, a prima vista ci appaiono banali, senza significato ma dimostrano con certezza una notevole attenzione verso il prossimo.
Il regista proprio questo ci ha voluto trasmettere.
Non necessariamente dobbiamo dare ai nostri simili imponenti supporti, ma sentiti e naturali cenni d’interessamento, tali da non mettere chi li riceve a disagio.
L’effetto di quest’umanità di comportamento ci fortificherà, pertanto non dobbiamo lasciare che la vita degli altri ci scivoli addosso, cerchiamo di non lasciare mai niente d’intentato!
La stessa Arletty, moglie del lustrascarpe Marcel, fornisce prova di quanto sia importante la dimostrazione d’amore, nel volere lei stessa lucidare le scarpe di Marcel pur essendo, quello, il mestiere del marito, fornisce così la prova di quanto sia importante cimentarsi, provare in qualcosa che apparentemente non ci compete ma che per amore desideriamo e ci sforziamo di sperimentare.
Nel film non si vedono mai persone che si baciano, o che si carezzano, il contatto fisico per esprimere affetto è totalmente escluso, proprio per dare risalto a quanto può essere appagante il solo offrire col cuore quel poco che si ha, poi, inevitabilmente, l’amore che si riceve si offrirà a un’altra persona e così come una catena, le maglie si agganceranno le une alle altre in un unico abbraccio.
Idrissa, il ragazzo immigrato che Marcel vuole aiutare a fuggire, ha imparato subito questa lezione, e lo notiamo sia quando cerca di ricambiare l’aiuto di Marcel dandosi da fare come lustrascarpe, e esponendo se stesso al rischio di essere catturato dal cattivo /buon Monet, sia quando in ospedale sente l’esigenza di comunicare ad Arletty di fare in fretta a guarire perché Marcel ha bisogno di lei.
Infine, la guarigione della donna è la metafora di quanto possa aiutarci ed essere benefico e potente l’autentico sostegno reciproco.
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elgatoloco
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martedì 7 gennaio 2020
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di rara bellezza, questo"le havre"
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Film veramente di rara bellezza, questo"Le Havre"(2011 , Aki Kaurismaki), dove il"come"della e nella narrazione filmica è decisamente più importante del"che cosa"o meglio il"come"accompagna il"che cosa". Due vicende, dove il lustrascarpe ex-scrittore da un lato aiuta un ragazzino africano a raggiungere la madre a London, dall'altro la moglie dello stesso lustrascarpe acculturato guarisce(dopo varie cure, in realtà)da una forme grave di tumore-qualcosa di"inaspettato", ciò che viene definito appunto"miracolo"nel titolo italiano-non in quello originale. Il tutto, con i passaggi tra le strade di Le Havre(il"porto"per eccellenza, anche lingusticamente).
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Film veramente di rara bellezza, questo"Le Havre"(2011 , Aki Kaurismaki), dove il"come"della e nella narrazione filmica è decisamente più importante del"che cosa"o meglio il"come"accompagna il"che cosa". Due vicende, dove il lustrascarpe ex-scrittore da un lato aiuta un ragazzino africano a raggiungere la madre a London, dall'altro la moglie dello stesso lustrascarpe acculturato guarisce(dopo varie cure, in realtà)da una forme grave di tumore-qualcosa di"inaspettato", ciò che viene definito appunto"miracolo"nel titolo italiano-non in quello originale. Il tutto, con i passaggi tra le strade di Le Havre(il"porto"per eccellenza, anche lingusticamente). ma anche poi di Calais, all'imbarco per Dover. Mezzi di sussistenza, in un ambiente povero anzi poverissimo, trucchi, ma anche un concerto per finanziare l'espatrio del"jeun garçon", figlio, tra l'altro, di un prof. Benissimo gli/le interpreti, André Willms e Kali Oulinen(la coppia protagonista), Roberto Piazza, alias"libero", con il gruppo rock"Little Bob", ma anche tante altre musiche(Gardel, tra l'altro, la Piaf...!), Elina Salo. Un grande cadeau di Kaurismaki, ormai da anni una garanzia del cinema finnico e mondiale- El Gato
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