Moon |
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Un film di Duncan Jones.
Con Sam Rockwell, Kevin Spacey, Dominique McElligott, Kaya Scodelario, Matt Berry.
continua»
Fantascienza,
durata 97 min.
- Gran Bretagna 2009.
- Sony Pictures Italia
uscita venerdì 4 dicembre 2009.
MYMONETRO
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C'E' LA FORZA DEL CINEMA SU QUELLA LUNA!
di Antonio MontefalconeFeedback: 24217 | altri commenti e recensioni di Antonio Montefalcone |
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giovedì 6 ottobre 2011 | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Il film è un viaggio metafisico in un raffinato gioco di specchi. Il protagonista Sam, un’astronauta isolato su una base lunare, è un clone, una copia di un modello originale. Nel suo tempo la Luna non è più un luogo di conquista, ma di sfruttamento energetico. Non è più un fine storico, ma un mezzo di sopravvivenza e segno d’involuzione dell’umanità. Similmente anche l’uomo non sfrutterà più se stesso, ma dei cloni; perché la Terra si è impoverita di energia, ma soprattutto di etica e morale. Sfrutta suoli e corpi, ma relega nell’oblio anime e ideali di elevazione civile. L’ambientazione nel lato oscuro della Luna lo simboleggia, ma al tempo stesso è anche il terreno verso la verità. Il continuo andare avanti, sempre oltre l’orizzonte, della vettura guidata da Sam, rimanda a questo desiderio di consapevolezza. Diventa il motore della ricerca. Ricerca, però, sempre originata, sviluppata, ispirata, da un altro fondamentale nucleo narrativo: le immagini. Che siano false o vere, poco importa, interessa il loro ruolo di aiuto per Sam: sarà l’allucinazione a provocare l’incidente che comporta l’entrata del nuovo clone. Sono i video-messaggi dalla Terra che lo inducono a scoprire il predecessore. I filmati registrati a svelare la stanza segreta con i cloni. E’ la video-telefonata alla figlia ad aprirgli gli occhi. Tutto è movimento e immagine: le essenze del cinema. Il cinema, infatti, è macchina di illusioni e di riproducibilità infinita di immagini. La ripetizione dei cloni in questo film ne è la perfetta metafora. Su questa allegoria, su quest’altro gioco di specchi, scaturisce la riflessione tematica dell’opera: tutto è illusorio, lo sono i sentimenti e i ricordi di Sam, lo sono la sua identità e unicità. C’è solo la riproduzione sempre identica a se stessa e sempre vuota, di qualcosa o qualcuno non raggiungibile, invisibile, ma percepibile nella sua mancanza. Sam non è solo ingannato, ma è un inganno: si crede qualcuno che in realtà non è. A tal proposito efficaci sono le simbologie che lo evocano: dal vuoto oscuro del cosmo al silenzioso e cadaverico paesaggio lunare, dal buio del mistero alla luce diffusa degli interni, dal pianto soffocato di Rockwell all’asettica base lunare. Stilisticamente tutto contribuisce ad una introspezione romantica, persino il ritmo, il tocco pudico e dolce della regia, la cinepresa angolata, schiacciata dai soffitti, limitata nei movimenti. L’esordiente Duncan Jones sa trasmettere con sobria naturalezza e sensibilità, quest’innocenza offesa, questa tragedia colma di lirismo straziato e toccante. Nel finale la regia, come Sam, si allontana dall’orizzontalità della visione e approda alla sua verticalità. Sam s’inoltra prima verso il basso, nella camera segreta; poi si innalza verso il cielo, e approda a una più matura presa di coscienza. E qui ritorna anche il satellite terrestre: da ciò che inizialmente era, un oggetto, diventa ora soggetto, in una nuova significazione. La Luna è come i cloni: vuota, marginale e incompleta. Ma grazie alla matura presa di coscienza di Sam, alla fine si renderanno dignitosi e vincenti verso il genere umano. Perché per mezzo loro l’umanità terrestre capirà quanto sia fortunata a poter continuare ad essere (se solo lo volesse!) ciò che né la Luna, né i Sam (se non nei loro desideri) saranno mai: unici, completi, durevoli. E’ questo alla fine il senso del viaggio. E’ questo che guarda la Terra se si osserva dal suo satellite.
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