Maestro

   
   
   

Bernstein, l''amore e l''arte nella loro complessità Valutazione 4 stelle su cinque

di Antonio Montefalcone


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mercoledì 21 febbraio 2024

Il secondo film di e con Bradley Cooper dopo “A star is born” (2018), ripropone il piacevole abbinamento di cinema, musica, e frammenti di vita.  L’opera in questione tratta in modo appassionato la dolente biografia di Leonard Bernstein, uno dei più grandi talenti musicali del XX secolo, ottimo compositore, eccezionale divulgatore e soprattutto raffinato direttore d’orchestra; autore delle colonne sonore originali di “West Side Story” e “Fronte del Porto”, nonché di moltissime composizioni per orchestra e arrangiamenti per teatro, complessi cameristici e pianoforti; viene considerato il secondo direttore d'orchestra migliore di tutti i tempi dietro a Carlos Kleiber.
Maestro”, come si diceva, diretto ed interpretato da un mimetico Bradley Cooper e da lui scritto insieme a Josh Singer (già vincitore dell’Oscar per la sceneggiatura di “Spotlight”), lascia sullo sfondo quasi tutta la produzione musicale del protagonista (si accenna solo brevemente a “West Side Story”) per privilegiare la dimensione intima della storia sentimentale tra Leonard e sua moglie, l’attrice Felicia Montealegre, ma anche i legami che hanno caratterizzato tutta la vita di Bernstein e che l’hanno reso uno dei direttori d’orchestra più celebrati.
L’aspetto maggiormente affascinante di questa pellicola risiede però nella scelta di aver voluto mettere nella giusta evidenza l’intima natura, contraddittoria e lacerata, di Bernstein, ma soprattutto in risalto l’amore forte, duraturo e sinceroche ha saputo resistere nel tempo al dolore, ai conflitti e ai tormenti psicologici. L’amore tra Leonard e Felicia è stato duraturo, sincero e ricambiato ma anche molto influenzato dal ruolo assunto dalla musica, e dalla omosessualità di lui; aspetti vissuti senza egoismo e nell’intento di farli ben convivere assieme.
Le diverse pieghe dell’esistenza di Bernstein, le sfumature della sua caotica personalità, ma anche i continui passaggi tra vita e arte (per lui la musica, per lei la recitazione), arrivano diritto al cuore dello spettatore mediante una scrittura cinematografica che assomiglia all’andamento di una sinfonia.
La regia di Cooper scruta con semplicità e sensibilità negli sguardi, nei gesti, nelle emozioni e nelle sensazioni provate dalla coppia; andando alla ricerca accurata di dettagli che lasciano trasparire i loro stati d’animo e i mutamenti avvenuti col passare del tempo. Quelli più fondamentali ed essenziali.
Al regista-attore non ha interessato tanto restituire un quadro totale della figura e della vita di Bernstein, quanto soprattutto prendere a “pretesto” momenti e aspetti cruciali della sua esistenza e della sua interiorità al fine di ricreare sul grande schermo quel che più aveva ritenuto interessante mostrare rispetto alla vita e carriera del celebre compositore, e cioè il matrimonio tra Leonard e Felicia.
La macchina da presa immortala la sintonia di questo loro legame duraturo, ne diventa il testimone ma anche lo specchio dove si riflettono gli interrogativi sul peso del talento e sui limiti dell’amore incondizionato. Persino la musica che si ascolta nella pellicola c’è per contestualizzare l’essenza umana sottostante alla figura pubblica, e non il contrario.  E dello stesso passo della colonna sonora sono anche la tecnica fotografica di elevata fattura e le interpretazioni superlative.
Carey Mulligan (“Una donna promettente”), quasi ruba la scena a Cooper per quanto sembra naturale e credibile nel ruolo. Le è sufficiente uno sguardo o una risata, per comunicare una variegata gamma di stati d’animo, sentimenti, pensieri e sensazioni. Il suo giocare tutto in sottrazione è davvero funzionale e regala autentiche emozioni allo spettatore.
Bradley Cooper invece, è camaleontico e meticoloso nel riprodurre fedelmente i movimenti di Bernstein, i suoi gesti, i suoi sguardi, la sua voce. Con un’attenzione estrema verso ogni dettaglio, riesce benissimo a cogliere e restituire le mille sfumature del protagonista, e la complessità di quest’uomo desideroso di vivere i tanti volti della sua personalità e dell’esistenza.  
Maestro”, progetto dalla pluriennale realizzazione, ereditato da Scorsese e Spielberg (rimasti come produttori), appare come un film classico innamorato dei suoi personaggi; e dove ogni cosa è equilibrata, dosata e con una sua particolare funzione – vedi ad esempio la fotografia di Matthew Libatique, che passa dal bianco e nero ai colori saturi di un cinema d'altri tempi, quasi della memoria.
L’opera di Cooper, in sé maestosa, sontuosa e al tempo stesso asciutta e molto intimistica, evita le trappole del genere, si tiene lontana da certi cliché e spiegazioni da documentari, e rifugge manierismi e sensazionalismi. Il suo film esplora con il massimo rispetto e riverenza a Bernstein, i temi dell’amore, della perdita e dell’eredità artistica; vuole approfondire ciò che non viene descritto nelle biografie documentate; vuole coinvolgere con l’essenziale narrato ed emozionare con poesia, bellezza estetica ed eleganza di tono e messinscena. Il regista ha voluto (e in larga parte è riuscito a) trasmettere allo spettatore l’autentico spirito che ora innamorato, ora appassionato, ora inquieto, guidava il protagonista, tra relazioni affettive, concerti e composizioni. Uno spirito che combatteva una lotta interiore per riuscire a bilanciare verità opposte e contraddittorie su se stesso, sull’amore e sull’arte.
Parimenti al suo protagonista, anche Cooper va oltre il mero biopic, scavalca la cronologia dei fatti, pone lo sguardo sull'umanità e su quanto il dualismo tra vita privata e vita lavorativa non sia mai fine a se stesso, ma sempre affrontato, sintetizzato e ancorato più dalla parte del cuore che da quello della ragione.
In virtù di ciò il film diventa uno stratificato, struggente e sofferto melodramma sulle modalità di tenuta duratura di una relazione d’amore, soprattutto quando quest’ultima non è convenzionale e necessita di tutto ciò che è utile a mantenerla salda e stabile, fino ai limiti delle umane possibilità.
Tutta questa complessità forse (complice l’onesta e placida rappresentazione adottata, priva di scene madri o di momenti memorabili) può non essere colta nella sua interezza, però in filigrana si potrà leggere molto di più di quel che viene mostrato, detto o suggerito dall’opera, soprattutto verso il finale quando è trasmessa una percezione di maggiore consapevolezza della realtà.
Per concludere, “Maestro” è una pellicola godibile e interessante, che commuove e fa riflettere, e alla quale si possono perdonare anche i presunti limiti o difetti; per accettare il vero spirito alla guida del film, il senso generale, e cioè quell’esprimere il trionfo delle più autentiche ed intense ragioni del cuore innanzitutto e malgrado tutto…

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