carloalberto
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sabato 7 novembre 2020
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preannuncio di un capolavoro
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Il documentario, stilisticamente perfetto, preannuncia con circa dieci anni di anticipo, nel verismo di alcune immagini di repertorio di inizi novecento, nella fotografia nitida di paesaggi industrializzati di periferia, in marine solcate da portacontainer, come mostri fuoriusciti dal profondo a occupare minacciosi l’orizzonte, scorti quasi di nascosto da dietro uno scoglio, nella centralità a suo modo maledetta e titanica, seppur nelle dovute proporzioni e nelle rispettive collocazioni, dei due protagonisti dalla storia parallela e dal destino asimmetrico, romanzesco, l’uno, e ispirato al personaggio autobiografico di London, calato nella Napoli di fine ottocento, e, reale, l’altro, tratto dalla vita dei poveri, squallidi, bassifondi di Genova dei nostri giorni e idealmente appartenente alla genia dei vinti di Zena, quello che sarà il quasi capolavoro di Pietro Marcello, il suo bellissimo Martin Eden del 2019.
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Il documentario, stilisticamente perfetto, preannuncia con circa dieci anni di anticipo, nel verismo di alcune immagini di repertorio di inizi novecento, nella fotografia nitida di paesaggi industrializzati di periferia, in marine solcate da portacontainer, come mostri fuoriusciti dal profondo a occupare minacciosi l’orizzonte, scorti quasi di nascosto da dietro uno scoglio, nella centralità a suo modo maledetta e titanica, seppur nelle dovute proporzioni e nelle rispettive collocazioni, dei due protagonisti dalla storia parallela e dal destino asimmetrico, romanzesco, l’uno, e ispirato al personaggio autobiografico di London, calato nella Napoli di fine ottocento, e, reale, l’altro, tratto dalla vita dei poveri, squallidi, bassifondi di Genova dei nostri giorni e idealmente appartenente alla genia dei vinti di Zena, quello che sarà il quasi capolavoro di Pietro Marcello, il suo bellissimo Martin Eden del 2019.
Marcello coinvolge in maniera anomala e indiretta lo spettatore; non suscita sentimenti empatici verso i suoi personaggi, che peraltro sarebbe impossibile provare, nemmeno se si abitasse nello stesso carruggio alla porta accanto, ma per l’opposto meccanismo della repulsione attrazione.
Si evoca il maligno, il funesto assoluto contemporaneo, la povertà materiale, la mancanza di mezzi che rende reietto il nostro simile prima che egli possa iniziare a parlare, per esorcizzarlo in un’alzata di spalle, come a dire ma non è accaduto a noi, per sorte diversi.
Marcello sorprendendo, disturbando il gusto estetico corrente, violentando la nuova morale dei benpensanti di ogni ceto, maniacali cultori della ricchezza manifesta, si concretizzasse anche soltanto in un soprammobile dorato a buon mercato o nella lamiera lucente d’un auto di seconda mano di cui andar fieri con gli amici o nel benessere salutista del proprio corpo ostentato in un fisico scultoreo modellato dal fitness, dà voce ai suoi personaggi a prescindere dal loro aspetto e dallo sfondo triste della casa disadorna che abitano, anzi è proprio questa la forza dirompente naturalistica dei suoi personaggi che interpretano se stessi nella mimesi spontanea del loro quotidiano tran tran. Marcello li ricrea in una finzione che è più vera della realtà a partire dai loro racconti, dai ricordi della vita in carcere, fino a raggiungere, in modo impensato, l’idillio, nella narrazione spoetizzante vicina alla chiacchiera pacata della confidenza fatta a un amico del loro amore sbocciato dietro le sbarre tra lui, emigrato siciliano macho violento e prepotente, e lei, transessuale allora drogata e ora simile a una saggia casalinga e tanto gentile quanto poco avvenente, perché nuovamente si azioni nello spettatore il medesimo meccanismo.
Mary Monaco e Vincenzo Motta sono Indimenticabili proprio per questo loro appartenere al mondo misconosciuto dai mass media, agli inferi dei mille ghetti di questa società glorificante il paradiso edonista del consumismo imperante. Sono essi figure in carne ed ossa, attuali e spiazzanti, persone che emergono dalla congerie di immagini corali di una Genova remota pescate nell’archivio e ritagliate a formare un puzzle cromatico in cui prevale l’ocra vintage che si estende come ad inglobarle alle immagini dei carruggi della Genova moderna, per resclamare la loro umanità ed il diritto ad essere felici, per poi tornare, infine, nell’ombra del loro basso genovese tra i vinti di sempre. Eppure Vincenzo con la sua faccia avrebbe potuto fare l’attore, commenta la compagna.
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ciboxgiallorosso
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mercoledì 20 novembre 2013
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finalmente l'immagine!
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In un cinema che sempre più sta perdendo la sua natura ontologica(Ovvero quella che Pasolini negli "Scritti eretici" definiva come "Immagine") divenendo più mezzo per raccontare "storie" che per creare Bellezza in ogni angolo nascosto della realtà. Ecco quello che reputo più interessante di questo film: era facile cadere nella retorica della "storia", retorica invece superata da una grande capacità di comunicare allo spettatore un'inspiegabile senso di bellezza proprio dove questa parola sembrerebbe assente, sconfitta. Invece Marcello vince la sfida brillantemente: sarà perchè Pasolini gli avrà certamente comunicato qualcosa, sarà perchè un'influenza dei Dardenne o di Loach sembra evidente nell'alternanza magistrale di "espressionismo simbolico" e "realismo estremo" ma l'autenticità espressiva risulta evidente: la bellezza è stata per una volta la grande protagonista di un film italiano del 2000 .
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In un cinema che sempre più sta perdendo la sua natura ontologica(Ovvero quella che Pasolini negli "Scritti eretici" definiva come "Immagine") divenendo più mezzo per raccontare "storie" che per creare Bellezza in ogni angolo nascosto della realtà. Ecco quello che reputo più interessante di questo film: era facile cadere nella retorica della "storia", retorica invece superata da una grande capacità di comunicare allo spettatore un'inspiegabile senso di bellezza proprio dove questa parola sembrerebbe assente, sconfitta. Invece Marcello vince la sfida brillantemente: sarà perchè Pasolini gli avrà certamente comunicato qualcosa, sarà perchè un'influenza dei Dardenne o di Loach sembra evidente nell'alternanza magistrale di "espressionismo simbolico" e "realismo estremo" ma l'autenticità espressiva risulta evidente: la bellezza è stata per una volta la grande protagonista di un film italiano del 2000 . La bellezza, intendo, quella più autentica: quella più nascosta, quella che più richiede un "occhio interiore"(P.Eluard) capace di coglierla. Chissà forse, come diceva Dostojeski, "La bellezza salverà il mondo", forse il mondo quando arriverà alla fase finale del suo cammino e davanti a se vedrà soltanto distruzione sarà preso come un adulto "ad una dimensione"(Mancuse) per la mano da questi "uomini della caverna del mare" così capaci di rinchiudere in se il cerchio dell'esistenza: dall'anziano che ne "ha viste tante" al bambino che non avendone viste tante è capace ancora di una rara ma dolcissima meraviglia! Allora forse anche noi tutti canteremo le parole dell'ultima canzone cantata da Vincenzo per l'amata Mary: simbolo di vita vissuta nella sofferenza, nella disperazione ma di ancora viva meraviglia e amore! Complimenti quindi al regista e (N.D.R) ai frati salesiani che gli hanno commissionato il film( esattamente:frati salesiani...)!
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chiarialessandro
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sabato 5 novembre 2011
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in bocca al lupo!
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Si può amare un ibrido che non è né un film né un documentario e che, apparentemente, non ha nemmeno una trama ben definita? Sì, se il titolo è “La bocca del lupo”; e la cosa (forse) non è poi nemmeno così sconcertante se si pensa che Vinc(enzo) si innamora di un trans (ovverosia di un ibrido per definizione). Enzo, il protagonista, non ha un semplicemente un viso ed un corpo: ha un viso ed un corpo che sono scolpiti nel marmo con una bellezza tale da non poter essere raggiunta se non dai sommi artisti. Solamente la grazia divina può ispirare un insieme di tasselli che si incastrano talmente bene l’uno con l’altro pur rimanendo spesso (inspiegabilmente o quasi) abbastanza distanti tra loro. Affascinante, intrigante, ammaliante, dolce, amaro, delicato, violento, provocatorio, invitante, sperimentale, stimolante, spiazzante, tenero, affettuoso, sintetico, rapido, conciso, veloce, compiuto, poetico, partecipato, condiviso,umano, evocativo; cinema allo stato dell’arte.
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Si può amare un ibrido che non è né un film né un documentario e che, apparentemente, non ha nemmeno una trama ben definita? Sì, se il titolo è “La bocca del lupo”; e la cosa (forse) non è poi nemmeno così sconcertante se si pensa che Vinc(enzo) si innamora di un trans (ovverosia di un ibrido per definizione). Enzo, il protagonista, non ha un semplicemente un viso ed un corpo: ha un viso ed un corpo che sono scolpiti nel marmo con una bellezza tale da non poter essere raggiunta se non dai sommi artisti. Solamente la grazia divina può ispirare un insieme di tasselli che si incastrano talmente bene l’uno con l’altro pur rimanendo spesso (inspiegabilmente o quasi) abbastanza distanti tra loro. Affascinante, intrigante, ammaliante, dolce, amaro, delicato, violento, provocatorio, invitante, sperimentale, stimolante, spiazzante, tenero, affettuoso, sintetico, rapido, conciso, veloce, compiuto, poetico, partecipato, condiviso,umano, evocativo; cinema allo stato dell’arte.
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reservoir dogs
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domenica 12 dicembre 2010
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un fiore tra le rocce
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Nella Genova più povera ed emarginata vivono due persone che condividono un unico sogno, quello di una casetta immersa nel verde; Enzo, ex carcerato siciliano e Mary, transessuale ed ex tossicodipendente.
Ed è proprio in carcere che nasce il loro amore, un colpo di fulmine, un pò come un fiore tra le roccie, Amore che durerà anche quando Mary uscita allieterà le giornate di Enzo grazie alle sue lettere.
Scena finale dedicata ad una confessione/intervista che Enzo e Mary fanno davanti alla cinepresa.
Ispirato al libro omonimo di Remigio Zena, film a metà tra melodramma e documentario, storia di anti-eroi in una Genova in continuo mutamento; mentre l'amore di due non sembra essere colpito dal tempo la città che li ospita cambia continuamente.
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Nella Genova più povera ed emarginata vivono due persone che condividono un unico sogno, quello di una casetta immersa nel verde; Enzo, ex carcerato siciliano e Mary, transessuale ed ex tossicodipendente.
Ed è proprio in carcere che nasce il loro amore, un colpo di fulmine, un pò come un fiore tra le roccie, Amore che durerà anche quando Mary uscita allieterà le giornate di Enzo grazie alle sue lettere.
Scena finale dedicata ad una confessione/intervista che Enzo e Mary fanno davanti alla cinepresa.
Ispirato al libro omonimo di Remigio Zena, film a metà tra melodramma e documentario, storia di anti-eroi in una Genova in continuo mutamento; mentre l'amore di due non sembra essere colpito dal tempo la città che li ospita cambia continuamente.
La scena iniziale richiama quella finale de"L'Avventura", "divisa a metà" tra mare e rocce.
La presenza filmica di Vincenzo Motta colpisce il fruitore così come lo facevano "i volti Pasoliniani".
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astromelia
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martedì 7 dicembre 2010
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une histoire
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quanto può interessare una storia di emarginazione come tante altre? la risposta è soggettiva,in questo film corto più che altro si è v isto uno spaccato dei vicoli di genova,la storia dei due ex-carcerati l'ho trovata triste oltre che miserevole
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jayan
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domenica 24 ottobre 2010
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un po' lento ma efficace
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Film documentario un po' lento ma efficace nel rendere gli spazi dei personaggi, in primis il protagonista, che esce da tanti anni trascorsi in carcere e che non riesce a integrarsi con il mondo che lo circonda. Spesso si sente una vittima e reagisce con violenza... Ciò che annoia sono le lunghe interviste, forse le avrebbe potute accorciare per rendere il film meno documentario e più film. Anche perché è stato considerato un film in stile documentario, non un documentario vero e proprio. La fotografia è buona. A volte non è chiara la storia, fatta di tanti spezzoni e di un continuo passare dal passato al presente e di nuovo indietro nel passato.
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Film documentario un po' lento ma efficace nel rendere gli spazi dei personaggi, in primis il protagonista, che esce da tanti anni trascorsi in carcere e che non riesce a integrarsi con il mondo che lo circonda. Spesso si sente una vittima e reagisce con violenza... Ciò che annoia sono le lunghe interviste, forse le avrebbe potute accorciare per rendere il film meno documentario e più film. Anche perché è stato considerato un film in stile documentario, non un documentario vero e proprio. La fotografia è buona. A volte non è chiara la storia, fatta di tanti spezzoni e di un continuo passare dal passato al presente e di nuovo indietro nel passato. Il protagonista di fatto è una persona asociale, emarginata, come ce ne sono tanti a Genova, ma anche in tutta Italia e nel mondo. Piacevole la figura della compagna, che crede in lui e lo aspetta anche per anni che ritorni a casa dal carcere. La regia è buona, nell'insieme un film più che discreto, ma non credo sia tanto da lodare come hanno fatto alcuni critici. E un film basato molto sulle immagini, quasi a costruire un quadro della Genova degli emarginati e anche degli edifici che vengono distrutti, della sporcizia e degli ubriaconi...
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serves
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venerdì 12 marzo 2010
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ma è proprio bello?
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Da una parte abbiamo in Italia la produzione dozzinale e banalizzante della vita (senza fare nomi) dall'altra i tentativi pregievoli di fare cinema diversamente. Indubbiamente La bocca del lupo appartiene al secondo dei gruppi, però mi dispiace dirlo tentativo non riuscito.
Il nostro personaggio è molto poco raccontato, sta lì tanto perché qualcuno gli ha chiesto di essere protagonista di un film, il resto gli è cucito attorno senza grande maestria narrativa. Il montaggio, la fotografia sono approssimati, oscillano in modo del tutto inutile tra stili diversi mostrando solo mancanza di abilità registica. Ho avuto un vero senzo di nervosismo quando alla fine la voce narrante ci ricorda che la marginalità è fatta "di piccole e grandi storie".
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Da una parte abbiamo in Italia la produzione dozzinale e banalizzante della vita (senza fare nomi) dall'altra i tentativi pregievoli di fare cinema diversamente. Indubbiamente La bocca del lupo appartiene al secondo dei gruppi, però mi dispiace dirlo tentativo non riuscito.
Il nostro personaggio è molto poco raccontato, sta lì tanto perché qualcuno gli ha chiesto di essere protagonista di un film, il resto gli è cucito attorno senza grande maestria narrativa. Il montaggio, la fotografia sono approssimati, oscillano in modo del tutto inutile tra stili diversi mostrando solo mancanza di abilità registica. Ho avuto un vero senzo di nervosismo quando alla fine la voce narrante ci ricorda che la marginalità è fatta "di piccole e grandi storie". Per me è stato come un insulto. Dopo aver ascoltato la storia di uno di questi personaggi (tra l'altro mal legato al contesto degli emarginati che fanno da introduzione e conclusione) la frase suona veramente cinica, retorica, mediocre. Come si può dire che sono piccole o grandi storie quelle? Come si possono mettere in un confronto di grandezza? La storia che ho ascoltato se fosse stata raccontata bene, sarebbe stata unica, irripetibile, sufficiente a darmi tutto lo spaccato di una epoca, di un conflitto sociale. Invece la si svilisce sottolineando la presenza di tante altre storie. E chi è che non lo sa? Lì si sente tutto l'uso strumentale del personaggio che non emerge nel film, ma viene usato, usato dalla ragista, dalla produzione, e dai critici che amano ascoltarsi nel dire che è un capolavoro.
Bello invece è il materiale di archivio, belli sono quei primi piani di Enzo, il quale veramente avrebbe potuto fare l'attore.
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il caimano
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lunedì 8 marzo 2010
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racconto duro (e un pò noioso....)
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Ho visto questo film senza sapere molto di più che sia stato particolarmente apprezzato nei vari festival in cui è passato, che sia costato pochi soldi e che sia un film di docu-fiction.
Tutto questo in fondo bastava, non c'era molto altro da sapere. E' un affresco toccante di una realtà che sembra superare gli steccati del perbenismo, delle convenzioni e del machismo di tanta nostra cultura e sottocultura proletaria.
Forse l'idea del regista Pietro Marcello era appunto quella di dimostrare quanto a volte una vita dolorosa possa risolversi nel migliore dei modi, forse ci voleva dire che l'amore supera qualsiasi ostacolo, forse voleva dirci che c'è sempre un'opportunità per ciascuno di noi, anche per quelli che si ritengono "ai margini" della società.
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Ho visto questo film senza sapere molto di più che sia stato particolarmente apprezzato nei vari festival in cui è passato, che sia costato pochi soldi e che sia un film di docu-fiction.
Tutto questo in fondo bastava, non c'era molto altro da sapere. E' un affresco toccante di una realtà che sembra superare gli steccati del perbenismo, delle convenzioni e del machismo di tanta nostra cultura e sottocultura proletaria.
Forse l'idea del regista Pietro Marcello era appunto quella di dimostrare quanto a volte una vita dolorosa possa risolversi nel migliore dei modi, forse ci voleva dire che l'amore supera qualsiasi ostacolo, forse voleva dirci che c'è sempre un'opportunità per ciascuno di noi, anche per quelli che si ritengono "ai margini" della società.
Forse no, o meglio, forse Pietro Marcello voleva semplicemente dare uno spaccato di vita, uno scorcio di realtà nuda e cruda, senza altre finalità.
L'incerto equilibrio tra documentario e fiction lo accomuna ad un altro film per molti aspetti similare, ovvero "Civico zero" di Citto Maselli, con cui divide la crudezza della rappresentazione, la fotografia volutamente scarna ed essenziale, come essenziali anche gli attori, 2 sconosciuti (oltretutto veri protagonisti della storia che si racconta) e 3 famosi (anzi famossimi) nel caso di Maselli.
E come in "Civico zero" un senso di noia che pervade la narrazione, che si fa lenta, lentissima per assecondare i racconti fatti in un imporbabile italiano dai protagonisti. Certo, non ci si poteva aspettare una racconto adrenalinico, ma a quel punto non avrebbe fatto male accorciarlo qua e là....
Ambientazione molto suggestiva, per quanto a volte struggente.
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[+] non duro nè noioso
(di ginoantoniomario)
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ucciolibero
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venerdì 5 marzo 2010
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una piccola storia che si fa storia.
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"La bocca del lupo" è un film piccolo, a basso budget, che narra la storia di due persone ai margini. Al margine della società, al margine della storia e che si aggrappano con rabbia alla vita (o a quel che resta della vita) per dare significato alle loro esistenze, alle loro sofferenze, ai loro errori. Il regista Pietro Marcello focalizza l'attenzione dello spettatore su Enzo e Mary (uno sbandato che è entrato e uscito dal carcere più volte e un trans)e sul loro amore (così poco convenzionale e così autentico). L'azione, a tratti documentaristica, si sviluppa in un crescendo di memorie e di racconti dopo aver attraversato con la cinepresa lo scoglio di Quarto dei Mille e i quartieri più degradati di Genova, tra le grotte e le baracche in cui oggi trovano rifugio gli sbandati come Enzo, ma anche i clandestini, i barboni, gli ultimi, i derelitti, quelli che fingiamo di non vedere (durante il giorno) agli angoli delle nostre strade.
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"La bocca del lupo" è un film piccolo, a basso budget, che narra la storia di due persone ai margini. Al margine della società, al margine della storia e che si aggrappano con rabbia alla vita (o a quel che resta della vita) per dare significato alle loro esistenze, alle loro sofferenze, ai loro errori. Il regista Pietro Marcello focalizza l'attenzione dello spettatore su Enzo e Mary (uno sbandato che è entrato e uscito dal carcere più volte e un trans)e sul loro amore (così poco convenzionale e così autentico). L'azione, a tratti documentaristica, si sviluppa in un crescendo di memorie e di racconti dopo aver attraversato con la cinepresa lo scoglio di Quarto dei Mille e i quartieri più degradati di Genova, tra le grotte e le baracche in cui oggi trovano rifugio gli sbandati come Enzo, ma anche i clandestini, i barboni, gli ultimi, i derelitti, quelli che fingiamo di non vedere (durante il giorno) agli angoli delle nostre strade. La storia dei due protagonisti (nella realtà come nella "finzione" scenica) si colloca tra le pieghe (o meglio le piaghe) di una città che si sta spegnendo pian piano. Il declino di Genova è vissuto però con una delicatezza e una tenerezza straordinarie, lo sguardo di Pietro Marcello (che non è di Genova) è lo sguardo di chi comprende, di chi non giudica, è lo sguardo di chi assolve senza condizioni. Certe immagini, certe sequenze, crude e violente e allo stesso tempo alte e sublimi, rievocano maestri come Pasolini e Olmi. Succede così che la piccola storia di due persone diventa la Storia con la esse maiuscola. Le immagini (spesso amatoriali) di Genova nel corso del secolo appena passato intersecano la vicenda raccontata dai protagonisti dando al film lo spessore e la dimensione del grande film d'autore. Alla fine lo spettatore si sente un po' più ricco e un po' meno solo, scorgiamo la luce in fondo al tunnel, perché il sogno di Enzo e Mary si è avverato e, forse, per ognuno di noi c'è ancora un sogno, oltre la bocca del lupo.
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speedway
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giovedì 4 marzo 2010
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ottimo film...
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Davvero un film particolare. Non da tutti eseguire tale opera. Speriamo che il Giovane regista possa crescere e continuare a regalarci film così intensi.
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