carlozeuli
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domenica 25 febbraio 2018
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amore e morte: 4/5 di anagramma
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Conti fa un'analisi socio-psicologica di Pinuccio e del suo sogno professionale, che travalica i parametri di un mestiere poco desiderato, affondando le sue ragioni nei più aulici sentimenti dell'unico amore perduto.
Nell'immaginazione semplice e perpetua di Pinuccio, il suo amore durerà per tutta la vita in cui lui si occuperà con amore del trapasso di tutti i morti della sua comunità, durante il suo ufficio. Che lo faccia con la dedizione con la quale avrebbe accostato le lenzuola sul riposo della sua amata,non si possono avere dubbi.
Anche dal docu-film uscito nel 2008 traspare la stessa delicatezza, che sopravvive al comprensibile iniziale distacco dello spettatore verso l'argomento di fondo: la morte.
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Conti fa un'analisi socio-psicologica di Pinuccio e del suo sogno professionale, che travalica i parametri di un mestiere poco desiderato, affondando le sue ragioni nei più aulici sentimenti dell'unico amore perduto.
Nell'immaginazione semplice e perpetua di Pinuccio, il suo amore durerà per tutta la vita in cui lui si occuperà con amore del trapasso di tutti i morti della sua comunità, durante il suo ufficio. Che lo faccia con la dedizione con la quale avrebbe accostato le lenzuola sul riposo della sua amata,non si possono avere dubbi.
Anche dal docu-film uscito nel 2008 traspare la stessa delicatezza, che sopravvive al comprensibile iniziale distacco dello spettatore verso l'argomento di fondo: la morte.
La penna colta di Conti, in questo articolo biografico, è benevola e arguta.
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isabella1985
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venerdì 25 novembre 2011
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chi non muore si rivede!
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Un grande affresco della provincia attraverso uno straordinario Pinuccio!
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mario conti
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mercoledì 4 novembre 2009
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piccolo capolavoro di livello (cimiteriale o non)
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Se Pinuccio fosse un qualsiasi freak di paese, messo alla berlina dalla invasività della macchina da presa (sorta di scandaglio ecografico che, mostrando l'indicibile o, volendo renderlo loquace, finisce con l'incenerirne il senso), si avrebbero non poche riserve su una così avulsa operazione filmica.
Ma Pinuccio Lovero è qualcosa di più: è egli stesso attore consapevole, meraviglioso deus ex machina della sua diversità, capace del dono icastico della parola che si fa, attraverso l'uso del dialetto, degli sguardi rassegnati, dell'ammiccamento più gioiosamente italico, massima e sentenza.
Il candore al cinema va guardato con sospetto. Non quando da esso traspare veridicità. Fatta la tara all'assurdo (e ammesso e non concesso che nell'assurdo non riposino le più sconcertanti verità): ci può essere qualcosa o qualcuno di più vero di uno sconcertante sogno che si fa persona? E, in tempi come quasti (di altolocati meretrici e debole forza TRANSeunte), cosa c'è di meglio di un segno e di un sogno distintivo così fuori dal mondo (e dal mondo dei vivi, verrebbe da dire)?
Pinuccio Lovero ha vissuto la morte del suo amore (l'unico possibile: davvero una sorta di zombie dei sentimenti, un anacronistico viveur del batticuore), e aspetta che si compia il destino della sola materia di cui accetti la degradazione: la carne.
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Se Pinuccio fosse un qualsiasi freak di paese, messo alla berlina dalla invasività della macchina da presa (sorta di scandaglio ecografico che, mostrando l'indicibile o, volendo renderlo loquace, finisce con l'incenerirne il senso), si avrebbero non poche riserve su una così avulsa operazione filmica.
Ma Pinuccio Lovero è qualcosa di più: è egli stesso attore consapevole, meraviglioso deus ex machina della sua diversità, capace del dono icastico della parola che si fa, attraverso l'uso del dialetto, degli sguardi rassegnati, dell'ammiccamento più gioiosamente italico, massima e sentenza.
Il candore al cinema va guardato con sospetto. Non quando da esso traspare veridicità. Fatta la tara all'assurdo (e ammesso e non concesso che nell'assurdo non riposino le più sconcertanti verità): ci può essere qualcosa o qualcuno di più vero di uno sconcertante sogno che si fa persona? E, in tempi come quasti (di altolocati meretrici e debole forza TRANSeunte), cosa c'è di meglio di un segno e di un sogno distintivo così fuori dal mondo (e dal mondo dei vivi, verrebbe da dire)?
Pinuccio Lovero ha vissuto la morte del suo amore (l'unico possibile: davvero una sorta di zombie dei sentimenti, un anacronistico viveur del batticuore), e aspetta che si compia il destino della sola materia di cui accetti la degradazione: la carne. Nell'attesa, prepara i luoghi con cura ed amore, vuole che il viaggio finale di noi tutti si compia nel lindo assetto di un vialetto mondato, magari tra improbabili musiche e marce funebri di allegra insensatezza. Chi sarà mai quest'uomo che, nell'attesa del fato, non chiede di più al mondo che di poter indossare una divisa (come a distinguersi dalla morte e nella morte, che non può prendere, o non ancora, non così presto, colui che si fa suo orgoglioso officiante)? Forse è un marziano.
Se per essere felici, a noi bastasse sentirci parte di un mondo di silenzi, se fosse sufficiente assumere la parte di "custode a livello cimiteriale", tutti saremmo a correre in giro con il cappello rosso e la divisa grigio topo.
Ma non siamo anime così candide. Abbiamo vissuto più amori, visto più morti, rimpianto cadaveri, senza curarci del fatto che lui, il Destino, di noi se ne frega.
Pinuccio è molto più avanti. Sono le anime così apparentemente "fuori" che, al cinema, sanno talvolta regalare verità che, silenziose, si ergono dai brusii.
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