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leontiev
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mercoledì 25 aprile 2007
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la cosa più importante della vita è la socialità
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È un film delizioso. Fa pensare! La cosa più importante della vita è la socialità, quella vera.
Un Gesù Cristo con la carta di credito, il computer, che predica le parole imparate dai libri che lui stesso ha inchiodato, contiene una serie di forti contraddizioni della vita moderna, ma non solo. Sono le contraddizioni della vita derivanti da fede/ragione, amore/odio, gioia/dolore conoscenza/ignoranza ecc.che muovono la storia, quindi anche la vita degli uomini. Sembra che solo le persone semplici siano capaci di vivere valori veri, ma hanno bisogno delle parole “inchiodate” nei libri, hanno sete di parabole per poter sopportare il dolore, combattere l’ingiustizia, poter sperare e continuare a sognare.
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È un film delizioso. Fa pensare! La cosa più importante della vita è la socialità, quella vera.
Un Gesù Cristo con la carta di credito, il computer, che predica le parole imparate dai libri che lui stesso ha inchiodato, contiene una serie di forti contraddizioni della vita moderna, ma non solo. Sono le contraddizioni della vita derivanti da fede/ragione, amore/odio, gioia/dolore conoscenza/ignoranza ecc.che muovono la storia, quindi anche la vita degli uomini. Sembra che solo le persone semplici siano capaci di vivere valori veri, ma hanno bisogno delle parole “inchiodate” nei libri, hanno sete di parabole per poter sopportare il dolore, combattere l’ingiustizia, poter sperare e continuare a sognare.è vero che il contatto della mano dell’altro può essere il preambolo per un bacio, ma un caffè con un amico forse non vale cento libri. O almeno, dipende dai libri.
leonardo santarsiero
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[+] centrato!
(di maria)
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jayan walter
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martedì 24 aprile 2007
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capolavoro di chiusura della carriera di olmi
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Con un capolavoro il Maestro Ermanno Olmi conclude la sua splendida carriera di regista. E' un film intenso, con un grande messaggio: "Vivi l'esperienza e lascia perdere i libri - nessun libro potrà darti con le parole l'esperienza del gusto di una fragola". E' il ritorno alla natura, alla vita semplice in mezzo ai semplici, alla gente senza cultura, che però ha valori ben più grandi, come il cuore, la capacità di amare e di saper cogliere il nocciolo del mondo e delle cose, e di vivere felici anche in situazioni per niente complesse... e senza possedere nulla... L'unico piccolo neo è la scelta della parabola di Gesù: non mi sembra sia attinente al messaggio e al contenuto della storia del film.
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Con un capolavoro il Maestro Ermanno Olmi conclude la sua splendida carriera di regista. E' un film intenso, con un grande messaggio: "Vivi l'esperienza e lascia perdere i libri - nessun libro potrà darti con le parole l'esperienza del gusto di una fragola". E' il ritorno alla natura, alla vita semplice in mezzo ai semplici, alla gente senza cultura, che però ha valori ben più grandi, come il cuore, la capacità di amare e di saper cogliere il nocciolo del mondo e delle cose, e di vivere felici anche in situazioni per niente complesse... e senza possedere nulla... L'unico piccolo neo è la scelta della parabola di Gesù: non mi sembra sia attinente al messaggio e al contenuto della storia del film. Per il resto tutto perfetto: immagini, recitazione, contenuti e quel qualcosa di più che solo un regista come Ermanno Olmi sa dare a un film.
Grazie,
Jayan Walter - www.jayanwalter.com
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s&g
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domenica 22 aprile 2007
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la parabola della banalità
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Dai presupposti di partenza la pellicola di Olmi sembrava essere molto coraggiosa nell'affrontare temi sempre attuali quali la religione intesa come "oppio dei popoli" e la sostanziale (presunta) vacuità di fondo di ogni genere di cultura, in particolar modo quella tramandata sui libri, malvagi e fastidiosi (chissà perchè) portatori di sapere. Piuttosto che rinunciare in silenzio a questo mondo orribile fatto di religione, carta e inchiostro, un improbabile Raz Degan in versione professore - filosofo tenebroso, inchioda al pavimento i libri della biblioteca universitaria, unica gioia di un anziano sacerdote che, guardacaso, lo mette in guardia dal giorno del giudizio, quando cioè dovrà rispondere di una monoespressività disarmante e di una recitazione che ricorda gli antichi fasti dei Vanzina Movies.
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Dai presupposti di partenza la pellicola di Olmi sembrava essere molto coraggiosa nell'affrontare temi sempre attuali quali la religione intesa come "oppio dei popoli" e la sostanziale (presunta) vacuità di fondo di ogni genere di cultura, in particolar modo quella tramandata sui libri, malvagi e fastidiosi (chissà perchè) portatori di sapere. Piuttosto che rinunciare in silenzio a questo mondo orribile fatto di religione, carta e inchiostro, un improbabile Raz Degan in versione professore - filosofo tenebroso, inchioda al pavimento i libri della biblioteca universitaria, unica gioia di un anziano sacerdote che, guardacaso, lo mette in guardia dal giorno del giudizio, quando cioè dovrà rispondere di una monoespressività disarmante e di una recitazione che ricorda gli antichi fasti dei Vanzina Movies. Ma le perle succose si verificano quando l'improbabile Professore - Filosofo - Asceta fugge, dopo aver commesso l'efferato atto, sulla sua BMW serie 6 Cabrio disfandosi progressivamente dei simboli della modernità e delle comodità quotidiane ivi compreso cellulare, automobile, zainetto e depistando la polizia inscenando un suicidio (buttando cioè il suo portafogli e la giacca nel fiume e abbandonando la vettura a qualche metro dal suo nascondiglio). E qui, in aperta campagna, dopo una breve parentesi sull'accoppiamento di api e farfalle, il rinnovato Degan comincia a ristrutturare un vecchio rudere simbolo della purezza antica delle cose semplici, avendo cura di mostrare sempre molto tesi i suoi bicipiti e imperlata di sudore la fronte. Se non desta l'attenzione della polizia in piena ricerca di un cadavere, questa attività scatena invece la curiosità di un gruppo di anziani arrapati che trascorrono le loro oziose giornate sulle rive del fiume, urlando porcate dietro la giovane e tremendamente incapace panettiera modello "Monella" di Tinto Brass e dilettandosi di pittura e vino rosso; saranno proprio loro ad aiutarlo a ricostruire il suo focolare, quasi rapiti dalla sua somiglianza con Gesù Cristo che egli accentua enfaticamente dispensando parabole e saggezza da bar, mentre sullo sfondo l'incalzante avanzata della modernità crudele si configura nelle moto da cross che disturbano le quotidiane attività degli uomini semplici e negli ingegneri modello "Amici Miei" che li vorrebbero cacciare per cominciare a lavorare ad un progetto facilmente edilizio. La critica alle religioni si riduce a un botta e risposta di minuti 2 con il suddetto Prete, oltre a essere ovviamente insita nella vita bucolica dell'improbabile Raz Degan - Robinson Crusoe, l'unico uomo in fuga che può sprecare etti di prosciutto per pescare, tra il resto non sapendolo neanche fare! Davvero sprecata l'intrigante fotografia e la magistrale regia di Ermanno Olmi per un film sostanzialmente privo di qualsivoglia forza espressiva, a tratti ridicolo e soprattutto viziato da una recitazione stile recita scolastica e da una sceneggiatura troppo debole per reggerne i grandi temi che, comunque, non riescono ad emergere con chiarezza e lucidità, forse perchè troppo risalto viene dato alla strana figura di Raz Degan e alla sua inutile somiglianza con Gesù Cristo... Come film - testamento forse delude.
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(di giacomo)
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ryohei
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venerdì 20 aprile 2007
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maestro di che?
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l'ultimo film di Olmi è proprio brutto, non certo una eccezione nella filmografia di questo regista tanto sopravvalutato (ricordate Cammina, Cammina? o La leggenda del santo bevitore? o Il segreto del bosco vecchio?) nemmeno L'albero degli zoccoli mi parve un bel film, falso e oleografico. Ma questa ultima fatica è proprio imbarazzante: improbabili e stonati tutti gli attori, che poveretti devono interpretare improbabili o banali personaggi (avete presente la poetessa? o la fornaia, animo gentile in corpo troppo desiderato? lo scemo del villaggio, ma quanto saggio in fondo? ma soprattutto quel Cristo da copertina di Uomo Vogue?, indimenticabile al proposito il suo cappello figo, e il prelato?, e l'usciere?, il custode , i carabinieri nessuno si salva dal comico involontario.
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l'ultimo film di Olmi è proprio brutto, non certo una eccezione nella filmografia di questo regista tanto sopravvalutato (ricordate Cammina, Cammina? o La leggenda del santo bevitore? o Il segreto del bosco vecchio?) nemmeno L'albero degli zoccoli mi parve un bel film, falso e oleografico. Ma questa ultima fatica è proprio imbarazzante: improbabili e stonati tutti gli attori, che poveretti devono interpretare improbabili o banali personaggi (avete presente la poetessa? o la fornaia, animo gentile in corpo troppo desiderato? lo scemo del villaggio, ma quanto saggio in fondo? ma soprattutto quel Cristo da copertina di Uomo Vogue?, indimenticabile al proposito il suo cappello figo, e il prelato?, e l'usciere?, il custode , i carabinieri nessuno si salva dal comico involontario...) e i dialoghi? tanti luoghi comuni in pillole lasciati cadere come verità imprescindibili (uno per tutti: "Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico"...)...nemmeno il paesaggio fluviale mi è parso vero, troppo bello, una oleografia stucchevole, con quel battello che ogni tanto passa e ripassa, metafora di cosa? boh. Certo se critica e pubblico decreta un successo a un film come questo, siamo proprio messi male col cinema, i TV-movies e i film americani che invadono il mercato hanno dato i loro frutti ai gusti di critica e pubblico.
NO, questo testamento proprio non è una buona conclusione, checché se ne dica, peccato, perché con Il mestiere delle armi, Olmi sfiorava il capolavoro e poteva essere una bella conclusione di una lunga carriera registica.
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[+] caro ryohei,
(di riccardo d'acquisto)
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lucyfix
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venerdì 20 aprile 2007
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che brutto!!
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Che delusione questo film, anche se sinceramente dal monoespressivo raz degan non ci si poteva aspettare molto...Fra gare di liscio e pizza al trancio come nuova fiilosofia di vita e motivo di slancio mistico il tempo passa moolto lentamente...comunque i miei compliementi al prof con il fisicone e il conto in banca ben fornito: un uomo da sposare!
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antonio
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giovedì 19 aprile 2007
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continuando il discorso... (x serena)
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Credo di poter dire che Lei e io la pensiamo allo stesso modo riguardo ad Olmi e al suo film "Centochiodi". Ha ragione quando parla del "potere delle immagini" della "metafora della profanazione attraverso i chiodi della croce", quella che io ho definito "la sconcertante metafora di Cristo inchiodato alla croce"; per motivi di opportunità riporto di seguito i tre punti citati nel mio precedente commento:1) Apprezzo Olmi considerandolo il poeta del cinema italiano, ma con decisione e motivazioni ho espresso la mia incondivisione al messaggio del film, a mio parere ambiguo e contraddittorio, sia dal punto di vista umano che religioso; spiace per Olmi, che ci ha regalato capolavori di poesia come "L'albero degli zoccoli" e "La leggenda del santo bevitore", annuncia questo "Centochiodi" come l'ultimo suo film (ci ripensi, maestro, abbiamo bisogno di un altro suo vero capolavoro); 2) Più volte ho estrinsecato, non l’importanza, bensì l’indispensabile benessere dei libri, soprattutto, nel caso specifico, delle Sacre Scritture, ignorando le quali lo stesso Olmi non avrebbe potuto confezionare questo film, né tanto meno inventare il personaggio del professorino; 3) L’immagine dei libri inchiodati, non solo vorrebbe raffigurare la sconcertante metafora di Cristo inchiodato alla croce, ma è assolutamente dissacrante culturalmente e offende il patrimonio culturale di un popolo.
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Credo di poter dire che Lei e io la pensiamo allo stesso modo riguardo ad Olmi e al suo film "Centochiodi". Ha ragione quando parla del "potere delle immagini" della "metafora della profanazione attraverso i chiodi della croce", quella che io ho definito "la sconcertante metafora di Cristo inchiodato alla croce"; per motivi di opportunità riporto di seguito i tre punti citati nel mio precedente commento:1) Apprezzo Olmi considerandolo il poeta del cinema italiano, ma con decisione e motivazioni ho espresso la mia incondivisione al messaggio del film, a mio parere ambiguo e contraddittorio, sia dal punto di vista umano che religioso; spiace per Olmi, che ci ha regalato capolavori di poesia come "L'albero degli zoccoli" e "La leggenda del santo bevitore", annuncia questo "Centochiodi" come l'ultimo suo film (ci ripensi, maestro, abbiamo bisogno di un altro suo vero capolavoro); 2) Più volte ho estrinsecato, non l’importanza, bensì l’indispensabile benessere dei libri, soprattutto, nel caso specifico, delle Sacre Scritture, ignorando le quali lo stesso Olmi non avrebbe potuto confezionare questo film, né tanto meno inventare il personaggio del professorino; 3) L’immagine dei libri inchiodati, non solo vorrebbe raffigurare la sconcertante metafora di Cristo inchiodato alla croce, ma è assolutamente dissacrante culturalmente e offende il patrimonio culturale di un popolo.
A proposito, ho letto che lei ha 52 anni, io ne ho 60, ho molto camminato nella vita, mi sono da sempre occupato di letteratura e ho pubblicato alcuni libri. "Probabilmente" neppure noi non abbiamo tanto tempo per navigare su internet, ma credo che, "rubando" un po' di tempo agli impegni di ogni genere per discutere di "cose serie" faccia bene alla salute di tutti.
La saluto cordialmente.
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(di antonio )
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seren
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giovedì 19 aprile 2007
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viviamo nelle metafore (x antonio)
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Potrei concordare su tutto quello che Lei ha detto, ma le metafore e ogni espressione culturale sono come un sassolino lanciato in acqua: inziano a fare onde concentriche e non si sa mai dove e come finiscono. Bisogna quindi (a mio avviso) stare molto attenti a non lanciare dei boomerang, soprattutto oggi, perché il potere delle immagini sta facendo molto male alla nostra società, ai nostri giovani, ai nostri bambini, a noi stessi.
Anch'io ammiro l'opera di Olmi: L'albero degli zoccoli e Il mestiere delle armi sono i miei preferiti, altrimenti non sarei andata a vedere Centochiodi.
Tuttavia, trovo - come ho già detto - che la profanazione attraverso i chiodi della croce sia una "metafora" indigesta e stupida PER ME SPETTATRICE.
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Potrei concordare su tutto quello che Lei ha detto, ma le metafore e ogni espressione culturale sono come un sassolino lanciato in acqua: inziano a fare onde concentriche e non si sa mai dove e come finiscono. Bisogna quindi (a mio avviso) stare molto attenti a non lanciare dei boomerang, soprattutto oggi, perché il potere delle immagini sta facendo molto male alla nostra società, ai nostri giovani, ai nostri bambini, a noi stessi.
Anch'io ammiro l'opera di Olmi: L'albero degli zoccoli e Il mestiere delle armi sono i miei preferiti, altrimenti non sarei andata a vedere Centochiodi.
Tuttavia, trovo - come ho già detto - che la profanazione attraverso i chiodi della croce sia una "metafora" indigesta e stupida PER ME SPETTATRICE. Si può rigirare da tutte le parti, ma non trovo alcun nutrimento spirituale in essa. Magari Olmi ci ripensa a continua a fare film, sta a lui decidere della sua opera e della sua vita. A me sta decidere ciò che mi va di incorporare nel mio personale serbatoio di immagini, metafore e sentimenti sotto il segno della positività.
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antonio (x serena)
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mercoledì 18 aprile 2007
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la vera discussione...
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Il mio contraddittorio con Tritacarne si è sviluppato partendo da due opposte posizioni, e la mia citazione dell’apostolo Giacomo riguardo al binomio fede-opere si è reso pertinente per ovviare ad una carenza di chiarezza nei riguardi del mio interlocutore che insisteva sul concetto di un Dio quasi unicamente “materiale”. Per superare il rischio di un fraintendimento della mia opinione a proposito del film, credo sia congruo che lei vada a leggersi i miei precedenti commenti. Sarebbe da folle pensare ad una giustificazione da parte di Dio della sofferenza incoraggiata da una qualche dottrina; sinceramente questo suo pensiero ho fatto fatica a decifrarlo, se non rapportandolo al sadismo cui fa riferimento, senza però che si ravveda, in alcuno dei commenti esposti.
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Il mio contraddittorio con Tritacarne si è sviluppato partendo da due opposte posizioni, e la mia citazione dell’apostolo Giacomo riguardo al binomio fede-opere si è reso pertinente per ovviare ad una carenza di chiarezza nei riguardi del mio interlocutore che insisteva sul concetto di un Dio quasi unicamente “materiale”. Per superare il rischio di un fraintendimento della mia opinione a proposito del film, credo sia congruo che lei vada a leggersi i miei precedenti commenti. Sarebbe da folle pensare ad una giustificazione da parte di Dio della sofferenza incoraggiata da una qualche dottrina; sinceramente questo suo pensiero ho fatto fatica a decifrarlo, se non rapportandolo al sadismo cui fa riferimento, senza però che si ravveda, in alcuno dei commenti esposti. Mi creda, decontestualizzando alcune frasi qua e là disseminate come risposte, il rischio di essere equivocati è altamente pericoloso. Nei miei commenti precedenti è stata mia premura evidenziare sostanzialmente tre concetti: 1) Apprezzo Olmi considerandolo il poeta del cinema italiano, ma con decisione e motivazioni ho espresso la mia incondivisione al messaggio del film, a mio parere ambiguo e contraddittorio, sia dal punto di vista umano che religioso; spiace per Olmi, che ci ha regalato capolavori di poesia come "L'albero degli zoccoli" e "La leggenda del santo bevitore", annuncia questo "Centochiodi" come l'ultimo suo film (ci ripensi, maestro, abbiamo bisogno di un altro suo vero capolavoro); 2) Più volte ho estrinsecato, non l’importanza, bensì l’indispensabile benessere dei libri, soprattutto, nel caso specifico, delle Sacre Scritture, ignorando le quali lo stesso Olmi non avrebbe potuto confezionare questo film, né tanto meno inventare il personaggio del professorino; 3) L’immagine dei libri inchiodati, non solo vorrebbe raffigurare la sconcertante metafora di Cristo inchiodato alla croce, ma è assolutamente dissacrante culturalmente e offende il patrimonio culturale di un popolo che vorrebbe, non sottovivere, e nemmeno sopravvivere in una società mediaticamente ipocrita e cinica , ma semplicemente vivere. Vivere, pur nella sofferenza, che purtroppo esiste a causa di una misteriosa progettazione divina; certamente l’Orto degli Ulivi è la simbologia dell’umana realtà della vita, cui nemmeno Dio stesso, fattosi uomo come noi, si è voluto sottrarre, sperimentando la profonda tristezza dell’abbandono e della paura geminata da una fredda solitudine. A tale proposito cito Pasolini: “La solitudine è fatta per gli uomini forti”, e, poiché si è sempre soli, occorre immunizzarsi con la sostenibilità estrema della sofferenza fino all’angoscia, per raggiungere alfine la liberazione dalle contraddizioni, soprattutto dalla difficoltà di concepire l’indecifrabile Silenzio di Dio nei confronti, non di un male relativo come la morte, ma dei mali assoluti, come le guerre, gli stermini, gli olocausti. Di queste tematiche sono piene le librerie e le biblioteche, i cui libri, grazie a Dio, stanno al posto che integralmente e istintivamente loro compete, ad opera di intensi autori, esegeti, teologi e scrittori (ne cito qualcuno): il colto biblista Gianfranco Ravasi, il tormentato teologo Sergio Quinzio, il vigoroso poeta David Maria Turoldo. Ecco, ritornano i Libri, senza i quali non staremmo qui a discutere, i Libri amati da chi, come me, ne legge e ne scrive.
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[+] x antonio, x serena, x tutti...
(di tritacarne automatico_92)
[ - ] x antonio, x serena, x tutti...
[+] per tritacarne autromatico_92
(di serena)
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tritacarne automatico_92
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mercoledì 18 aprile 2007
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magnifico olmi
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Grandioso, solo Olmi riesce a disseminare di stimoli e provocazioni una pellicola e a creare dibattiti intelligenti e costruttivi...non è forse un merito in questo mondo fatto di diatribie da carampane al mercato del pesce?
[+] certo! ma ciò non lo rende da 5 stelle
(di serena)
[ - ] certo! ma ciò non lo rende da 5 stelle
[+] ben venga olmi, ma...
(di antonio)
[ - ] ben venga olmi, ma...
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