Una cupola dorata nel riquadro di una finestra, il cielo chiaro, e un topo di fogna: nell’action movie di Scorsese non c’è altro, è tutta lì nella ripugnante bestiola, nella sacralità dell’imponente edificio e nell’orizzonte luminoso a portata di sguardo l’anima tormentata di The departed, ispirato all’hongkonghese Infernal Affair. Il lungometraggio racconta appunto di affari infernali o meglio dell’inattuabilità di un qualsiasi paradiso su questa terra: il ratto rosicchia quello che trova nella chiavica, libertà, purezza e felicità si possono solo immaginare guardando la lucentezza del mattino dai vetri. The departed mette in scena non individui ma un intrecciarsi di destini speculari e tragicamente coincidenti nella sconfitta sentimentale e nel subire le beffe della sorte: Costigan( un Di Caprio giunto a piena maturità espressiva) e Sullivan vengono da Southie, i quartieri malfamati di Boston, e la via obbligata per uscirne è diventare “talpe”, il primo al servizio della polizia, il secondo, personaggio più sfuggente, a quello del malaffare . Ma la voce del bene non ha vigore nella città degli uomini, chi in essa fa le veci della divinità, la Chiesa, è inquinata dalla pedofilia dei sacerdoti: se un Dio esiste è nella scintilla del libero arbitrio, nella ricerca di un’identità di essere umano e nella forza di difenderla, per quanto invano, negli abissi metropolitani. L’intelligenza del male ha dato forma al mondo, ed è lui a portare il peso della corona: all’inizio della pellicola Nicholson/Costello, affiora in controluce dalla penombra, quasi a evidenziare una funzione di demiurgo; egli dirà, citando Lennon, di saper trasformare un braccio mozzato in qualsiasi altra cosa e plasmare il prossimo. Ed è la saldezza stilistica ed etica nell’esprimere l’epopea tragica di un universo allucinante, in cui alla perversione gratuita trionfante si oppone ciò che sopravvive di umanità e coraggio, a fare di The departed un capolavoro, se con tale termine si intende un’opera capace di trasfondere nell’attualità e nella singolarità di una vicenda l’universalità: l’azione così è metafora e la metafora è azione e il dramma delle due reclute è quello eterno del conflitto fra volontà e necessità, fra ciò che si è e ciò che si vorrebbe o dovrebbe essere; l’infiltrato è chiunque sia costretto a mimetizzarsi in un ambiente estraneo e il talento di Scorsese in tal modo dà voce alle tensioni da sempre latenti o palesi fra aspirazione dei singoli e costrizioni sociali, fra Antigone e Creonte, ovvero fra imperativo interiore e legge dello Stato o del tiranno criminale. Eppure se l’inferno è padrone delle esistenze, Dio nell’ultimo gesto concede un istante di paradiso: forse al di là del pentimento, perdona persino il satana Costello di avergli rubato il mondo.
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