staikòn
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martedì 16 febbraio 2016
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un von trier più sociale e meno introspettivo?
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Pur essendo il seguito di Dogville (capolavoro del regista danese del 2003), Manderlay apparentemente non sembra avere molto a che fare con il film precedente. E' vero, le scelte per la scenografia e la struttura narrativa (la storia è divisa in otto capitoli, con voce narrante esterna ed onnisciente) sono le stesse, ma i temi trattati sembrano separati. Persino Grace è diversa, e non solo nell'aspetto (Bryce Dallas Howard ha preso il posto di Nicole Kidman), ma anche e soprattutto nel comportamento. La timida Grace di Dogville lascia spazio ad una Grace più forte, più ferma, più determinata. Von Trier ragiona qui su un piano molto più politico e sociale, piuttosto che sull'animo umano, come di fatto accadeva nel primo film.
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Pur essendo il seguito di Dogville (capolavoro del regista danese del 2003), Manderlay apparentemente non sembra avere molto a che fare con il film precedente. E' vero, le scelte per la scenografia e la struttura narrativa (la storia è divisa in otto capitoli, con voce narrante esterna ed onnisciente) sono le stesse, ma i temi trattati sembrano separati. Persino Grace è diversa, e non solo nell'aspetto (Bryce Dallas Howard ha preso il posto di Nicole Kidman), ma anche e soprattutto nel comportamento. La timida Grace di Dogville lascia spazio ad una Grace più forte, più ferma, più determinata. Von Trier ragiona qui su un piano molto più politico e sociale, piuttosto che sull'animo umano, come di fatto accadeva nel primo film. Eppure durante il film, il regista fa capire come le due cose non siano così separate.
Von Trier è sempre stato un gran provocatore. E' in grado di prendere le convinzioni (apparentemente) più solide dell'uomo e smembrarle sullo schermo. Convinzioni, in questo caso, come la libertà e la democrazia. Il regista ragiona sulla maturità necessaria ad un popolo per sfruttare questi grandi doni, e giunge a conclusioni che un po' allibiscono. Magari ci si può rifiutare di dargli ragione, ma è inevitabile accettare il fatto che con questo film von Trier, con la sua provocazione, lasci insinuare il dubbio. Meravigliosamente orchestrata (a livello di sceneggiatura) la vicenda degli alberi dell' "Old lady's garden", che già da sola contiene buona parte del messaggio del film.
Stupendo poi il finale, dove il regista torna un po' sullo stile Dogville, e piazza in mano a Grace una frusta che questa userà per martoriare la schiena di un ex-schiavo della piantagione. Proprio lei che all'inizio del film aveva strappato di mano quella frusta ad un padrone bianco, minacciandolo con le armi addirittura, e che aveva deplorato tutti i proprietari di quella piantagione per il loro comportamento barbaro.
Sembra che Dogville in fin dei conti abbia lasciato in lei qualcosa...
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tarantinofan96
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domenica 2 agosto 2015
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usa: terra delle opportunità.
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Manderlay, secondo capitolo della trilogia intitolata ‘America, terra delle opportunità’, è sicuramente un film più politico rispetto a Dogville e ragiona sui rapporti interni tra i cittadini di una società decostruita e successivamente riformata in base ai principi della democrazia, usando come pretesto il tema della schiavitù.
Lars Von Trier sembra quasi dirci che la schiavitù è necessaria per mantenere la stabilità all’interno di una società e può sembrare questo il messaggio per una buona parte del film, ma in realtà è molto più complesso e si rivela totalmente nella parte finale.
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Manderlay, secondo capitolo della trilogia intitolata ‘America, terra delle opportunità’, è sicuramente un film più politico rispetto a Dogville e ragiona sui rapporti interni tra i cittadini di una società decostruita e successivamente riformata in base ai principi della democrazia, usando come pretesto il tema della schiavitù.
Lars Von Trier sembra quasi dirci che la schiavitù è necessaria per mantenere la stabilità all’interno di una società e può sembrare questo il messaggio per una buona parte del film, ma in realtà è molto più complesso e si rivela totalmente nella parte finale. La schiavitù mostrata nel film è pacifica, come se fosse una sorta di protezione nei confronti del mondo esterno e Grace rappresenta, come già in Dogville, lo squilibrio di una stabilità e la portatrice di miseria e distruzione.
Partendo dal presupposto che l’obiettivo principale del regista è provocare, Lars Von Trier, ancora una volta, nella sua messa in scena scarna e minimalista, analizza il marcio che c'è in America, ma soprattutto quello che è dentro noi esseri umani e il suo film non può che essere in realtà una critica fortissima alla schiavitù e alla paura e al disprezzo che essa ha generato e continua (e continuerà ancora) a generare. Il messaggio di Von Trier è molto semplice: i bianchi non riusciranno mai ad accettare completamente i neri all’interno della loro società (basta vedere cosa succede in America oggigiorno per capire quanto il film abbia ragione) e, allargando il discorso, le persone "normali" non riusciranno mai ad accettare completamente quelli che loro ritengono "diversi".
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shiningeyes
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giovedì 29 agosto 2013
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più polemico e meno intenso del precedente
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Sequel di Dogville della trilogia “Usa – Terra delle opportunità”, dove stavolta si punta l'indice contro l'imposizione del modello democratico americano sui paesi che attacca ed ha attaccato (Iran Afghanistan, Viet Nam). Von Trier lo fa nella sua solita maniera originale riprendendo la svolta minimalista già vista a “Dogville” e, lo fa comparando gli Usa alla figura di Grace (interpretata da Bryce Dallas Howard), che decide di portare il modello democratico in una comunità di schiavi neri da lei liberata e che figurano come i paesi oppressi che l'America “aiuta”. La storia assomiglierà molto a quella di “Dogville”, cambia giusto la posizione di Grace, dove prima lei era una schiava qui lei sarà al comando, provando soprattutto ad esser una comandante più umana e con una bella messa in mostra di doveri morali che potrebbero apparire come le trite e ritrite giustificazioni americane di quando essi invadono un paese, per poi poterlo sfruttare.
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Sequel di Dogville della trilogia “Usa – Terra delle opportunità”, dove stavolta si punta l'indice contro l'imposizione del modello democratico americano sui paesi che attacca ed ha attaccato (Iran Afghanistan, Viet Nam). Von Trier lo fa nella sua solita maniera originale riprendendo la svolta minimalista già vista a “Dogville” e, lo fa comparando gli Usa alla figura di Grace (interpretata da Bryce Dallas Howard), che decide di portare il modello democratico in una comunità di schiavi neri da lei liberata e che figurano come i paesi oppressi che l'America “aiuta”. La storia assomiglierà molto a quella di “Dogville”, cambia giusto la posizione di Grace, dove prima lei era una schiava qui lei sarà al comando, provando soprattutto ad esser una comandante più umana e con una bella messa in mostra di doveri morali che potrebbero apparire come le trite e ritrite giustificazioni americane di quando essi invadono un paese, per poi poterlo sfruttare.
Meno crudo e pesante di “Dogville”, “Manderlay” è pur sempre una ottima opera, composta da un buon (meno famoso) cast dove la Howard tiene banco con una meravigliosa interpretazione, supportata anche da un enigmatico Danny Glover, impegnato anche lui in una bellissima parte.
Conoscendo il regista, ben si sapranno le dinamiche della storia e delle situazioni che si vedono, che, a mio modo di vedere, potevano essere anche un po' più varie.
Meno intenso ed appassionante del magnifico predecessore, ma certamente valido e degno di nota, e niente affatto pesante, con un Von Trier più polemico che mai.
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luca scial�
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domenica 15 luglio 2012
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teatro al cinema
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Figlia di malavitoso latifondista, Grace giunge a Manderlay, uno dei tanti villaggi in cui ci sono neri che lavorano il cotone. La schiavitù è stata da poco abolita ma i neri non sono pronti a quella pseudo-libertà, così come la società stessa. Allora cercano tra tante difficoltà di imporsi delle regole e Grace usa i guanti di velluto con loro, sebbene spesso sia in grande difficolt.
Lars von Trier utilizza le stesse modalità adoperate in Dogville, portando il teatro al cinema. Film ambizioso, sofisticato, difficile da seguire per la sua lentezza, logorroicità e prosaicità. Affronta tematiche delicate come la democrazia e la schiavitù, che finoscono per fondersi e confondersi.
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molenga
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mercoledì 7 dicembre 2011
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sweet home alabama
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Secondo film della trilogia americana di Von trier, "Manderley" offre uno sguardo del filosofico e schietto regista sul tema della schiavittù e della comune natura umana: c'è il mito della caverna ma c'è hobbes in questa pellicola tanto ben recitata-un altro complimento alla Kidman per i film che scarta e quelli che accettta-che segna anche un miglioramento della regia rispetto a "dogville".
Grace, fuggita con il padre e ui suoi scagnozzi da Dogville, si ritrova in una piantagione dell'Alabama dove gli schiavi vivono ancora com schiavi convinti che sia normale così: ma la schiavitù è stata abolita da 7 decenni, e grace si fa consegnare dal babbo alcuni uomini per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori di colore: subirà una lezione assai più educativa di quella della puntata precedente.
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Secondo film della trilogia americana di Von trier, "Manderley" offre uno sguardo del filosofico e schietto regista sul tema della schiavittù e della comune natura umana: c'è il mito della caverna ma c'è hobbes in questa pellicola tanto ben recitata-un altro complimento alla Kidman per i film che scarta e quelli che accettta-che segna anche un miglioramento della regia rispetto a "dogville".
Grace, fuggita con il padre e ui suoi scagnozzi da Dogville, si ritrova in una piantagione dell'Alabama dove gli schiavi vivono ancora com schiavi convinti che sia normale così: ma la schiavitù è stata abolita da 7 decenni, e grace si fa consegnare dal babbo alcuni uomini per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori di colore: subirà una lezione assai più educativa di quella della puntata precedente.
Bravi tutti, ottima la struttura in piccoli capitoli cher alleggerisce un'opera altrimenti prolissa
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fedeleto
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lunedì 21 marzo 2011
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la lunga strada da dogville a manderlay
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Dopo il capolavoro di Dogville,il regista LARS VON TRIER( europa,the kingdom,le onde del destino,dancer in the dark),continua il suo discorso di comunita' e civilta',proseguendo con Manderlay.La storia continua proprio dove era finito Dogville,ovvero,grace con il padre si ferma a manderlay e viene a conoscenza che lo schiavismo dei negri ancora predomina in questa cittadina.Motivata a cambiare la vita di questi uomini una volta morta la dittattrice provera' a portare la democrazia,solo che non tutto andra' come previsto, e le apparenze a volte ingannano.Von trier dirige un buon seguito,e la bryce dallas con i suoi lineamenti angelici non fa rimpiangere eccessivamente la differenza con la kidman(il paragone insistente non sarebbe nemmeno del tutto idoneo poiche' la dallas e' quasi esordiente),nonostante tutto la sceneggiatura e' buona e mette in risalto uno spaccato di vita americana,scende forse troppo nel provocatorio per certi aspetti(guarda la catalogazione degli schiavi)ma il suo scopo e' proprio quello opposto ovvero denunciare questo abuso che per anni ha provocato solo razzismo e abusivismo.
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Dopo il capolavoro di Dogville,il regista LARS VON TRIER( europa,the kingdom,le onde del destino,dancer in the dark),continua il suo discorso di comunita' e civilta',proseguendo con Manderlay.La storia continua proprio dove era finito Dogville,ovvero,grace con il padre si ferma a manderlay e viene a conoscenza che lo schiavismo dei negri ancora predomina in questa cittadina.Motivata a cambiare la vita di questi uomini una volta morta la dittattrice provera' a portare la democrazia,solo che non tutto andra' come previsto, e le apparenze a volte ingannano.Von trier dirige un buon seguito,e la bryce dallas con i suoi lineamenti angelici non fa rimpiangere eccessivamente la differenza con la kidman(il paragone insistente non sarebbe nemmeno del tutto idoneo poiche' la dallas e' quasi esordiente),nonostante tutto la sceneggiatura e' buona e mette in risalto uno spaccato di vita americana,scende forse troppo nel provocatorio per certi aspetti(guarda la catalogazione degli schiavi)ma il suo scopo e' proprio quello opposto ovvero denunciare questo abuso che per anni ha provocato solo razzismo e abusivismo.ottima anche la parte tecnica,ovvero la fotografia sempre scura che rende quasi manderlay un viaggio nell'incoscio della coscienza americana.Decisamente un film da vedere e apprezzare,non resta che attendere il terzo ed ultimo capitolo della trilogia.
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paride86
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venerdì 15 gennaio 2010
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non ottimo come dogville
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Dopo aver lasciato Dogville, Grace e suo padre approdano a Manderlay, dove, nonostante la schiavitù sia stata abolita da un pezzo, i neri continuano a lavorare per i padroni bianchi.
Lars Von Trier cerca di indagare e spiegare a modo suo le ragioni psicologiche del fenomeno della schiavitù, insistendo parecchio sulla parte debole, ovvero il servo nero. e mostra la compiacenza e la "vigliaccheria" contrapponendola alle buone intenzioni (e alle successive reazioni) di Grace, che puntualmente dovrà fare i conti con se stessa e con le sue convinzioni.
Questa volta Von Truer non raggiunge i fasti di "Dogville", forse per la storia in sé o magari perché ha alzato troppo il tiro.
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Dopo aver lasciato Dogville, Grace e suo padre approdano a Manderlay, dove, nonostante la schiavitù sia stata abolita da un pezzo, i neri continuano a lavorare per i padroni bianchi.
Lars Von Trier cerca di indagare e spiegare a modo suo le ragioni psicologiche del fenomeno della schiavitù, insistendo parecchio sulla parte debole, ovvero il servo nero. e mostra la compiacenza e la "vigliaccheria" contrapponendola alle buone intenzioni (e alle successive reazioni) di Grace, che puntualmente dovrà fare i conti con se stessa e con le sue convinzioni.
Questa volta Von Truer non raggiunge i fasti di "Dogville", forse per la storia in sé o magari perché ha alzato troppo il tiro.
L'impianto scenografico è lo stesso del capitolo precedente, ma cambiano gli attori.
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eugenio
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martedì 12 gennaio 2010
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lo schiavismo alla trier
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Manderlay, del regista danese (Von) Trier, presentato al Festival del cinema di Cannes, nel 2005, costituisce una pellicola volutamente provocatoria e assolutamente particolare. Secondo tempo del gia' tanto criticato Dogville con l'attrice Bryce Dallas Howard, subentrata all'australiana Kidman del primo per esigenze di copione, Manderlay, ambientato negli Stati Uniti, verso gli anni 30, traccia un tema difficile da narrare senza retoriche e crismi di fondo lo schiavismo.
Grace, con il padre e la sua banda di gangster, dopo lo sterminio di un'intera comunità (neonati compresi) ha abbandonato Dogville, come ci dice la voce narrante del film, alla ricerca di un nuovo posto dove stabilirsi. Lungo il tragitto verso il sud degli Stati Uniti (sapientemente stilizzato dal regista mediante l'ausilio di una semplice cartina geografica ), la protagonista si imbatte in una comunità di abitanti di una piantagione di cotone, Manderlay appunto in Alabama.
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Manderlay, del regista danese (Von) Trier, presentato al Festival del cinema di Cannes, nel 2005, costituisce una pellicola volutamente provocatoria e assolutamente particolare. Secondo tempo del gia' tanto criticato Dogville con l'attrice Bryce Dallas Howard, subentrata all'australiana Kidman del primo per esigenze di copione, Manderlay, ambientato negli Stati Uniti, verso gli anni 30, traccia un tema difficile da narrare senza retoriche e crismi di fondo lo schiavismo.
Grace, con il padre e la sua banda di gangster, dopo lo sterminio di un'intera comunità (neonati compresi) ha abbandonato Dogville, come ci dice la voce narrante del film, alla ricerca di un nuovo posto dove stabilirsi. Lungo il tragitto verso il sud degli Stati Uniti (sapientemente stilizzato dal regista mediante l'ausilio di una semplice cartina geografica ), la protagonista si imbatte in una comunità di abitanti di una piantagione di cotone, Manderlay appunto in Alabama.
Ricercata per l'aiuto da parte di una delle "schiave", ingiustamente asservite a una cosi' stancante e crudele attività, la raccolta di cotone, e fortemente punite anche per motivi ridicoli, "la figlioccia del padrino", intenerita ( e anche incuriosita) da simile richiesta, deciderà di fermarsi per un anno in questa comunità cercando di instaurare una democrazia che consenta a tutti di vivere in pace e prosperità. La ragazza, purtroppo, si renderà conto di come sia estremamente difficile capovolgere una realtà fatta di ingiustizie e repressione nella quale ogni persona è trattata come un numero e classificata in base alla propria personalità, senza alcun diritto di intervento ne' di scelta.
Ma quale è il confine tra libertà e schiavismo? Cos'e' la vera libertà, esiste? Su questi temi vuol far riflettere Von Trier.E' meglio una società democratica ma incapace di sostenersi senza rigide regole imposte (il libro di Mam) oppure l'applicazione di un pugno di ferro costituisce il motore del benessere?
Il sottile limite tra schiavo e padrone, tra democrazia e autarchia sono particolarmente accentuate dall'utilizzo di una scenografia povera e sterile, sullo stile del teatro dell'assurdo del Godot di Beckett. Gli attori si muovono con maestria su un palcoscenico privo di ogni cosa dove i nomi delle case son indicati con delle scritte sul terreno e dove il confine tra mondo reale e schiavismo è simbolicamente rappresentato da un cancello che nessun abitante ha il coraggio (realmente?) di oltrepassare.
Film di grande intensità drammatica che non raggiunge, tuttavia, il potere visivo del primo Dogville, da cui riprende la caratteristica scenografica, Manderlay è una amara rievocazione dello schiavismo (ancora esistente in alcune aree dell'America dopo ormai 150 anni dalla guerra di secessione) ma soprattutto (qui la parte provocatoria), dell'impossibilità di riuscire a mantenere una solida democrazia anche con la forza.
Sconfitta su tutta la linea? Ibrido artistico senza identità? Molto si è detto su questo film, al pubblico spetta la scelta di come innalzare il pollice.
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silvia
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mercoledì 8 febbraio 2006
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film per intenditori
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la curiosità ci ha spinto a noleggiare questo film. Ci è piaciuto l'ultimo quarto d'ora. L'abbiamo trovato lento e carico di un'atmosfera troppo surreale per far percepire sul serio la drammaticità degli eventi.
non lo consiglierei
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marcello
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lunedì 2 gennaio 2006
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non ce lo siamo filati molto da noi in italia
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questo film di lars von trier in italia e' passato inosservato..non se ne parlato proprio..lo penso adesso a 2mesi dalla data di usicta..non l'ha visto quasi nessuno..forse ci siamo dimenticati o stufati di lui..peccato dopo tutto quello che ci aveva regalato e dopo tutto quello che e' stato detto su du lui..essendo forse il regista che e' stato il piu' di tutti negli anni 90'..sono stato in 2stati esteri e il film e lanciato abbastanza bene..occasioni perse..chissa quando avremo ancora un regista cosi capace di film da 140minuti con la stessa liberta' e capacita' e radicalismo espressivo simile a quella del ancor giovane(cinematograficamente parlando) regista danese..5 stelle alla carriera
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