Roberto Nepoti
La Repubblica
Variante dell'intramontabile modello del "film dell'abuso", con una quantità di fuochi artificiali, molta musica anni 70 e vistosi influssi del cinema di "blaxploitation" (indirizzato al pubblico di colore degli States), di cui Singleton è stato un esponente di spicco. In Four brothers l'abuso è quello che mette in moto il meccanismo narrativo: l'uccisione, nel solito drugstore, di una gentile vecchietta specialista nel ravvedimento dei ragazzini sbandati.
Il funerale riunisce i suoi quattro figli adottivi che si coalizzano per ritrovarne gli assassini. Il mix razziale dei vendicatori (due bianchi e due neri: le star del rap André Benjamin e Tyrese Gibson, recordmen di dischi venduti), è l'elemento di originalità di Four brothers, che in America ha incassato 20 milioni di dollari nei primi due giorni di programmazione.
Tutto il resto appartiene all'equivoco repertorio del cinema di autodifesa. Ne vien fuori un violento western metropolitano dove nessuno è uno stinco di santo, a cominciare da Bobby (Mark Wahlberg), appena uscito di galera; però i malvagi sono così abietti da farti incavolare, fornendo un'ambigua giustificazione morale ai giustizieri, che li massacrano finendoli, già feriti, con colpi di grosso calibro alla testa.
Il mestiere di Singleton (un po' banalizzato nel recente 2Fast2Furious) non è in discussione; lo sono, invece, la trama pesantemente ricattatoria e perfino le pause da commedia familiare, perché contribuiscono ad affezionarti ai suoi discutibilissimi eroi.
Da La Repubblica, 7 ottobre 2005
di Roberto Nepoti, 7 ottobre 2005