Roberto Nepoti
La Repubblica
Quando i belgi parlano di handicap. Pauline, ritardata mentale di 66 anni, si comporta come una bambina di quattro. Quando Martha, la sorella che si è sempre presa cura di lei, muore improvvisamente, le altre due sorelle apprendono che avranno diritto all'eredità soltanto accettando di occuparsi di Pauline. Né Paulette né Cécile sono entusiaste all'idea; tanto che cominciano a scaricarsi a vicenda la responsabilità della vecchia piccina. Il che procura dolori e infelicità a Pauline, la quale stravede per la grassa e volitiva Paulette. Anche lei adora l'handicappata, però non lo sa; fino a che, un bel giorno, l'amore, la compassione e l'amicizia prevalgono sull'egoismo. Con Pauline e Paulette, laureato dalla Giuria ecumenica a Cannes e candidato belga all'Oscar, si replica in un certo senso l'esperienza de L'Ottavo giorno, che qualche anno fa ricevette una Palma per l'interpretazione sulla Croisette: quando il Belgio sceglie come protagonista un portatore di handicap, in altre parole, c'è da aspettarsi il premio. E in effetti il film scritto e diretto da Lieven Debrauwer è grazioso, gentile, a tratti poetico; è interpretato da un gruppo di bravissime attrici; senza contare l'effetto, raro nel cinema di questi tempi, di farti sentire più buono per un'ottantina di minuti. Peccato che a tante buone intenzioni non corrisponda un adeguato impegno nella realizzazione. Se si esclude la scelta di una tavolozza di colori molto saturi (che ricordano quelli di un'altra simpatica produzione belga anni 90, La mia vita in rosa), il film manca quasi totalmente di uno stile di regia, ma si limita ad allineare le inquadrature secondo le piatte convenzioni di uno sceneggiato per la televisione. Non molto ispirata neppure la colonna musicale, che ripete pompieristicamente dall'inizio alla fine il Valzer dei fiori di Ciaikovskij.
Da La Repubblica, 13 gennaio 2002
di Roberto Nepoti, 13 gennaio 2002