Brother

   
   
   

una generazione senza ideali Valutazione 4 stelle su cinque

di carloalberto


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mercoledì 17 novembre 2021

 Gli esterni girati da Balabanov a Leningrado dipingono una città tetramente colorata in giallo ocra, rendendo, già al primo impatto visivo, lo stato d’animo di un popolo, che, alla caduta del comunismo, confrontandosi con il mondo occidentale, si scopre improvvisamente povero. Attraverso il viaggio di un giovane reduce della guerra cecena, un ragazzo di campagna ingenuo e sprovveduto, che va in città alla ricerca del fratello maggiore, quel sentimento diventa realtà e prende forma negli emarginati che bivaccano in rifugi di fortuna, nella squallida vita di una conducente di tram picchiata dal marito, nel cinico mondo malavitoso di cui il fratello è diventato una figura di spicco. Grazie alla sola capacità innata di maneggiare pistole e fucili, il protagonista si guadagna ben presto un posto di rilievo nella criminalità organizzata della metropoli. E’ innamorato, come tanti ragazzi della sua età, della musica di un complesso rock che spopola a quell’epoca in Russia, i Nautilus Pompilius, e rimane, nonostante tutto, un ragazzo, non perde il suo candore e la sua innocenza nemmeno dopo aver ucciso a sangue freddo.
Balabanov tratteggia un personaggio surreale, quasi un angelo vendicatore piovuto dal cielo, inviato a ripristinare la giustizia sulla terra, che è al tempo stesso il suo opposto, un essere impietoso e senza scrupoli a cui piace il danaro e la bella vita.
Il protagonista è il simbolo di una generazione combattuta tra il desiderio di svago e di divertimento e naturalmente attratta dal modo di vivere occidentale ed un sentimento antiamericano, probabile retaggio dell’ideologia comunista al tramonto. Non a caso Balabanov riprende i giovani mentre impazziscono ai concerti di musica rock e non è a caso che una delle ultime sequenze si svolga in un Mcdonald’s.
La descrizione degli ambienti criminali di Leningrado è asettica e quasi divertita, realistica e parodistica al contempo, lontana dagli stilemi del noir francese anni ’60 sulla mala parigina, in quanto non c’è nessun insegnamento morale che il film voglia dare, con il solito finale tragico che mostra come il crimine non paghi, lontana dall’estetizzante grand-guignol tipico dei gangster movies tarantiniani e dall’epopea mafiosa di Coppola. Forse i suoi criminali buffi e macchiettistici si avvicinano a quelli di Scorsese di Quei bravi ragazzi.
Balabanov ha rappresentato una società senza ideali, per troppo tempo repressa, affamata di tutto, che si affaccia al banchetto consumistico, allestito nel mondo globalizzato per pochi, e desidera soltanto parteciparvi a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo. Il candore, l’innocenza, l’ingenuità che il protagonista conserva fino alla fine, il codice etico che lo guida in ogni sua azione, anche in quelle criminose, sono emblematici di quel mondo contadino da cui proviene e che rappresenta la grande madre Russia, soffocata prima dal regime sovietico ed ora corrotta dallo stile di vita americaneggiante.
 

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