L'inferno

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vitalismo contro decadenza

di figliounico


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sabato 27 maggio 2023

In questo film di Chabrol del ’94, su soggetto di Clouzot, la coppia Cluzet-Beart è apparentemente chiamata ad interpretare un dramma della gelosia come fossero novelli Otello e Desdemona dei nostri giorni. In realtà, per Chabrol è l’occasione per rappresentare l’inadeguatezza della borghesia, come sempre quella paradigmatica della asfittica provincia francese, mediocre e perbenista, rispetto alla pulsioni incontrollabili della vita, che inutilmente cerca di ingabbiare nelle vecchie convenzioni sociali di un mondo fittizio ed ipocrita oramai in decadenza. La credenza della certezza dei valori borghesi, irrigiditi negli schemi sociali, si rivela purtroppo illusoria e la resistenza per arginare il vitalismo della giovane donna conduce il protagonista alla pazzia. Un altro dei temi del film, ricorrente nell’opera di Chabrol, è l’eterno dramma dell’inaffidabilità nei rapporti umani, anche quelli più intimi come quello coniugale, che ritornerà nel Il gioco è fatto del 1997.
Il personaggio di Cluzet ricorda quello di Shining riveduto e corretto. La genesi della follia, che si manifesta in modo progressivamente crescente fino al parossismo della sequenza finale, avviene in una ambientazione simile, un grande albergo, ma questa volta a differenza del capolavoro di Kubrick, in piena attività ed affollato di turisti della piccola e media borghesia.
La costruzione del proprio inferno personale da parte del protagonista è icasticamente rappresentata nella metafora dei lavori per la ristrutturazione del casale da adibire a locanda delle scene iniziali.
Grande interpretazione di Cluzet dell’ossessione maniacale originata dalla paura di essere abbandonato dalla moglie-madre, causa di tanti femminicidi, ma non è da meno quella della Beart che dà vita ad un personaggio complesso, ambiguamente diviso tra il ruolo di moglie fedele e madre amorevole ed un prorompente vitalismo femminile espresso da una bellezza naturalmente seducente. La disinvoltura con cui si relaziona con la clientela maschile dell’albergo alimenta le paranoie del marito ed al contempo il dubbio nello spettatore che il tradimento sia avvenuto realmente e non sia soltanto il frutto dell’immaginazione malata del protagonista.
La trovata della scoperta casuale dell’infedeltà coniugale attraverso la visione di un filmino amatoriale ripreso inconsapevolmente da uno dei clienti, cineasta dilettante, ricorda un’analoga sequenza in The Fabelmans da Spielberg.
Chabrol conclude il suo film con la frase Sans fin su sfondo nero, che appare subito prima dei titoli di coda, lasciando allo spettatore il compito di immaginare l’esito della vicenda, che, al punto in cui è giunta, rende superfluo qualsiasi finale, in quanto l’equilibrio idilliaco delle prime sequenze si è ormai rotto ed il bel quadretto familiare con la coppia felice del proprio menage che finalmente ha raggiunto con fatica il mito borghese del benessere economico è andato irrimediabilmente in frantumi.

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