Una vedova allegra... ma non troppo

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Irene Bignardi

La Repubblica

Mrs Frank De Marco (per dirla all’americana), ovverossia Angela De Marco (per dirla all’italiana), ovverossia la bella Michelle Pfeiffer appena uscita dai panni settecenteschi di Relazioni pericolose, non è molto contenta di vivere a Long Island, nell’apparente benessere di una casa che per metà sembra il Madonna Inn, con i suoi sofà dorati e i suoi specchi rococò, e per metà il retrobottega di un negozio di elettrodomestici. E anche abbastanza preoccupata del fatto che il suo bimbetto passi il tempo a giocare il gioco delle tre carte nel cortile di casa. Ma siccome ama suo marito Frank, non si pone troppe domande su cosa combini costui quando la mattina, vestito da yuppie, prende il treno dei pendolari per New York (ve lo dico io cosa fa: stecchisce con freddezza professionale gli appartenenti alle famiglie rivali o chi sgarra).
Non si pone molte domande finché un bel giorno, durante un’avventura galante che è spiaciuta a qualcuno, il marito non viene freddato, a cura del suo stesso boss mafioso Tony Russo. Forse Angela si dà anche le risposte. In ogni caso, dopo che il suddetto boss - il bravissimo Dean Stockweil - cerca di possederla durante la cerimonia funebre, regala tutto il suo scottante e imbarazzante patrimonio e parte con il figlioletto alla volta di New York, per rifarsi una vita in cui non sia più “sposata alla malavita” (come recita il titolo originale).
Siamo nel versante ilare e sorridente delle storie di mafia che in questi anni, a partire da L’onore dei Prizzi fino a Le cose cambiano, stanno facendo il verso ai discendenti di Il Padrino. E Jonathan Demme rovescia nella sua commedia tutta la carica giocosa e ironica profusa nei suoi due film precedenti (e più originali), Una volta ho incontrato un miliardario, ma soprattutto Qualcosa di travolgente, dove trascinava un povero yuppie igienista e perbenista dietro la follia distruttiva di una Lulu del New Jersey.
L’operazione ironia - che è più di genere, più prevedibile, più schematizzata - gli riesce felicemente anche questa volta, ma meno felicemente per quella parte codificata e già scritta che hanno, appunto, i generi. Sulle tracce della bella Angela che sta cercando di rifarsi una vita e scopre i duri valori del lavoro (di parrucchiera), convergono l’Fbi, che con le sue informazioni vorrebbe smascherare la rete mafiosa, e il mafioso Stockwell, che vuole conquistarla e, insieme, garantirsi il suo silenzio. Visto che l’agente dell’Fbi incaricato dell’inchiesta è Matthew Modine, con tutta la sua deliziosa carica di innocenza, si può agevolmente intuire come andrà a finire: in lacrime, tenerezze, confessioni e promesse per il futuro.
Ma dove Demme dà il meglio, qualcosa di veramente travolgente, è nel gran finale, ambientato in una suite del più lussuoso e raccapricciante hotel di Miami Beach. E in questo tempio del kitsch che Angela attira in una trappola amorosa il boss mafioso. Con tempi ed effetti cronometri-ci Demme muove le sue pedine, fino all’ingresso risolutivo della Regina, la moglie del boss. E proprio vero che le mogli gelose sono una sciagura... E mentre la commedia si chiude sulla ridanciana sconfitta della piovra e il trionfo dell’amore, Demme, che ha sfidato la storia del cinema riportandoci, in un impari confronto, nei territori di A qualcuno piace caldo, ci regala una divertente lezione di pratica cinematografica montando gli scampoli delle sequenze girate e buttate nel cestino del montaggio. E ci fa vedere che un film è un film: ma che potrebbe diventare anche un’altra cosa, se le forbici, gli umori e le ispirazioni dell’edizione cadessero qui piuttosto che lì.
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996


di Irene Bignardi, 1996

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