brian77
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domenica 4 maggio 2014
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forse il miglior mamet
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Il primo film di Mamet è probabilmente anche il migliore. Una storia di imbrogli, manipolazioni in cui niente è mai quello che sembra, e che parte da una vicenda in sé tutt'altro che nuova per raccontarla poi in modo personale: sia come scrittura e direzione d'attori, sia per il taglio sempre un po' sospeso del racconto, a suggerire un teorema molto più complesso. Per Mamet in gioco di inganni e colpi di scena non è un puro meccanismo giocoso, ma una visione del mondo. Nelle sue regie solo una o al massimo due volte si avvicinerà a questo risultato.
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katamovies
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lunedì 31 ottobre 2011
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quando ci facciamo raggirare
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buon debutto di David Mamet, all'epoca già drammaturgo di fama.
interessante l'evoluzione del personaggio protagonista (una psichiatra autrice di best-seller);
interessante l'intreccio che si dipana (la psichiatra entra in una rete di truffatori e ne resta invischiata);
inquietante l'esito.
si sente e si gode l'estrema cura di dialoghi e personaggi, tutti trattati con la ricca penna del drammaturgo: doppi, sfaccettati, seduttivi.
un film da vedere per capire come si scrivono storie e personaggi.
A livello visuale, il film non offre niente di nuovo o particolarmente interessante, ma è chiaro che si tratta di un film "scritto" più che di un racconto per immagini.
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buon debutto di David Mamet, all'epoca già drammaturgo di fama.
interessante l'evoluzione del personaggio protagonista (una psichiatra autrice di best-seller);
interessante l'intreccio che si dipana (la psichiatra entra in una rete di truffatori e ne resta invischiata);
inquietante l'esito.
si sente e si gode l'estrema cura di dialoghi e personaggi, tutti trattati con la ricca penna del drammaturgo: doppi, sfaccettati, seduttivi.
un film da vedere per capire come si scrivono storie e personaggi.
A livello visuale, il film non offre niente di nuovo o particolarmente interessante, ma è chiaro che si tratta di un film "scritto" più che di un racconto per immagini.
comunque, da vedere.
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francesco2
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domenica 8 agosto 2010
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l'(auto)inganno
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Attenendoci all'etimologia del titolo, "La casa dei giochi" è quella in cui "circolano" il personaggio di Mantegna e i brutti ceffi par suo. Non solo perché si gioca nel senso letterale, ma perché come dimostra il primo trabocchetto in cui cadrà la Crouse è esso stesso una finzione nella finzione; sarà un caso, ma in quel momento i personaggi consapevoli della beffa che stanno perpetrando- Cioé tutti, tranne la (mal)capitata donna- si comportano come veri attori teatrali, che usano il tavolo da gioco come palcoscenico per interpretare un ruolo non loro(Ma mica tanto; più che altro, per prendersi gioco della Crouse).
In realtà però, secondo chi scrive, la frase citata si presta ad un'interpretazione più complessa, che potrebbe aiutarci a capire il film.
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Attenendoci all'etimologia del titolo, "La casa dei giochi" è quella in cui "circolano" il personaggio di Mantegna e i brutti ceffi par suo. Non solo perché si gioca nel senso letterale, ma perché come dimostra il primo trabocchetto in cui cadrà la Crouse è esso stesso una finzione nella finzione; sarà un caso, ma in quel momento i personaggi consapevoli della beffa che stanno perpetrando- Cioé tutti, tranne la (mal)capitata donna- si comportano come veri attori teatrali, che usano il tavolo da gioco come palcoscenico per interpretare un ruolo non loro(Ma mica tanto; più che altro, per prendersi gioco della Crouse).
In realtà però, secondo chi scrive, la frase citata si presta ad un'interpretazione più complessa, che potrebbe aiutarci a capire il film. Se lo studio della psicoanalista tutto sembra fuorché un luogo che si presti alla finzione(Lei e i pazienti si danno reciprocamente del "Tu", a costo di rischiare un'eccessiva confidenza), è la Crouse stessa nelle confidenze all'amica a temere di fare un lavoro inutile, e quindi FINGERE di prestare un servizio a chi si sottoponga alle sue cure.
Anche altri indizi potrebbero essere rivelatori. Il primo è la pistola: varie volte, Mamet la inquadra e ci si sofferma, come volesse sottolineare che la protagonista, medico e scrittrice di successo ma anche fumatrice accanita, della cui vita privata non sappiamo assolutamente nulla (Ricorda il "Leon" di Besson, in questo senso)ha soffocato dentro di sé il desiderio di usarla. Ciò confermerebbe quanto le dirà Mantegna. Interessante è anche come il regista giochi -Ma davvero?- con le luci in certe scene: quando vede il "Truffatore" per la prima volta, valutando l'inquadratura di lui che le si avvicina, è come se ,paradossalmente, in quel luogo frequentato da gente dedita all'inganno, quell'incontro fosse per lei rivelatore, l' illuminasse su chi sia veramente. Qualcosa di simile avviene in una scena che anticipa -Di poco- il sesso tra i due: una bella inquadratura su di lei sembra sottolineare che si stia cacciando in un pasticcio, ma in quel momento non potesse più evitarlo.
In fondo non è drastico definire il film un'"intera" finzione eliminando l'inizio e -Parzialmente- la fine: lo stesso "Rapporto" tra i due era un pò sincero, ma anche e soprattutto uno strumento di cui il truffatore si serviva, senza citare la messinscena del presunto omicidio. E' in maniera- Magari troppo- casuale che la Crouse si rende conto di essere stata usata, attraverso- Se ho capito bene- lo stratagemma del vetro che provoca sangue. L'ultimo incontro con Mantegna è tra i rarissimi momenti "sinceri": la donna in realtà parte per ingannare a sua volta, ma scoperta subito fornisce l'occasione al losco individuo di dirle cosa pensasse di lei, e dà sfogo alla propria rabbia.
Il muro della finzione sembra a quel punto essersi infranto. Sembra, appunto. Perché in realtà la protagonista continua a firmare libri come nulla fosse avvenuto -Ma non del tutto: la dedica cambia!- e conversa amabilmente con l'amica di sempre. Spogliatasi di una parte di sè forse repressa, ora può mettere in pratica i suoi consigli: rubare accendini dalle borse, e dare sfogo a istinti che non siano solo quelli della donna di successo, amica dei pazienti.
Un film più pessimistico di quanto non potrebbe sembrare, dato che in fondo "La casa dei giochi" è forse buona parte del mondo intero, e l'unico modo per non giocare più è compiere gesti che non ci aspetteremmo di compiere.
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lele85pig
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giovedì 17 dicembre 2009
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prevedibile
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Gli attori sono bravi, non "pompano" mai il personaggio e lasciano che la storia si racconti.
La regia l'ho trovata interessante, anche se un po' acerba; però, essendo la prima, direi che ci può stare.
La storia invece (che ha il pregio di essere lineare), è molto prevedibile: dopo mezz'ora scarsa era già tutto chiaro. Credo, però, che Mamet volesse trasmettere un qualche genere di messaggio più "profondo" del voler raccontare una truffa, ma non è riuscito nell'intento. Per esempio, i personaggi "secondari": l'amica maria, la donna che chiede all'inizio la dedica sul libro e la donna che è in cura dalla protagonista (il tutto connesso alla storia), credo abbiano una valenza importante, che però non sono riuscito a percepire.
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Gli attori sono bravi, non "pompano" mai il personaggio e lasciano che la storia si racconti.
La regia l'ho trovata interessante, anche se un po' acerba; però, essendo la prima, direi che ci può stare.
La storia invece (che ha il pregio di essere lineare), è molto prevedibile: dopo mezz'ora scarsa era già tutto chiaro. Credo, però, che Mamet volesse trasmettere un qualche genere di messaggio più "profondo" del voler raccontare una truffa, ma non è riuscito nell'intento. Per esempio, i personaggi "secondari": l'amica maria, la donna che chiede all'inizio la dedica sul libro e la donna che è in cura dalla protagonista (il tutto connesso alla storia), credo abbiano una valenza importante, che però non sono riuscito a percepire.
In definitiva: secondo me un'idea interessante Mamet l'aveva, e la storia della truffa era solo un mezzo per trasmetterla, ma non ci è riuscito.
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ninomanfredi
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domenica 12 luglio 2009
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l'inganno
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La tematica dell'inganno è ricorrente nel cinema di Mamet, che per il suo esordio alla regia mette in scena una straordinaria storia di truffatori.
I meccanismi narrativi sono perfetti, senza sbavature e soprattutto senza quegli insopportabili intermezzi didascalici che quasi sempre infarciscono le pellicole dello stesso genere.
Infatti per Mamet un film deve mostrare e non spiegare, e così non ci viene data alcuna informazione aggiuntiva rispetto alla protagonista: il suo sguardo è il nostro sguardo per tutta la durata del film. Non ci sono pause, non una sola sequenza superflua, e quando si giunge all'epilogo non si può non restare ammirati dalla sapienza con cui la storia è stata sviluppata.
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La tematica dell'inganno è ricorrente nel cinema di Mamet, che per il suo esordio alla regia mette in scena una straordinaria storia di truffatori.
I meccanismi narrativi sono perfetti, senza sbavature e soprattutto senza quegli insopportabili intermezzi didascalici che quasi sempre infarciscono le pellicole dello stesso genere.
Infatti per Mamet un film deve mostrare e non spiegare, e così non ci viene data alcuna informazione aggiuntiva rispetto alla protagonista: il suo sguardo è il nostro sguardo per tutta la durata del film. Non ci sono pause, non una sola sequenza superflua, e quando si giunge all'epilogo non si può non restare ammirati dalla sapienza con cui la storia è stata sviluppata.
Da segnalare l'ottima recitazione di Mantegna, perfetto nella parte del truffatore abilissimo e spietato.
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rossano
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martedì 13 novembre 2007
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la casa dei giochi.
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il film psicologico si svolge su un continuo sviluppo inatteso e mai prevedibile; ottima storia ben scritta ed interpretata: splendido gioco di ruoli dei personaggi: film da consigliare a tutti: lo rivedo ben volentieri:
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