RETROSCENA:
Prima di raccontare e analizzare questo film, occorre ricostruire brevemente il fatto storico messo in scena e i processi che hanno preceduto la realizzazione dell’opera.
Il primo dicembre 1944 a Thiaroye, nella
banlieue di Dakar, 1280 fucilieri senegalesi di ritorno dalla guerra e tenuti da molto tempo in un campo di smistamento in attesa del salario, insorgono. Lo stato maggiore dell’esercito decide di reprimere la rivolta, dando l’ordine di massacrare un numero imprecisato di fucilieri.
L’amministrazione coloniale definisce il fatto una “operazione di disciplina militare” ; il rapporto che viene spedito a Parigi è succinto e vago: si parla di 35 morti, anche se fonti senegalesi denunciano centinaia di dispersi.
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RETROSCENA:
Prima di raccontare e analizzare questo film, occorre ricostruire brevemente il fatto storico messo in scena e i processi che hanno preceduto la realizzazione dell’opera.
Il primo dicembre 1944 a Thiaroye, nella
banlieue di Dakar, 1280 fucilieri senegalesi di ritorno dalla guerra e tenuti da molto tempo in un campo di smistamento in attesa del salario, insorgono. Lo stato maggiore dell’esercito decide di reprimere la rivolta, dando l’ordine di massacrare un numero imprecisato di fucilieri.
L’amministrazione coloniale definisce il fatto una “operazione di disciplina militare” ; il rapporto che viene spedito a Parigi è succinto e vago: si parla di 35 morti, anche se fonti senegalesi denunciano centinaia di dispersi.
In Senegal il massacro di Thiaroye viene ricordato annualmente, e nell’arco degli ultimi cinquant’anni sono state realizzate pièces teatrali, opere discografiche e letterarie (anche il presidente Senghor scrisse una poesia sulla vicenda).
In Francia nessuno, salvo le autorità militari e alcuni storici, sono a conoscenza del massacro.
Nel 1984, un cineasta senegalese, Johnson Traoré, progetta di realizzarne un film. Ma ci sono due problemi principali: il primo è che il tradizionale aiuto economico del ministero francese della Cooperazione concesso ai film africani non verrebbe elargito per un’opera anti-francese; il secondo riguarda la documentazione storica, poichè l’esercito francese conserva gelosamente i suoi archivi e in particolare alcuni suoi protocolli sono
off limits. “Quando pronunciavo la parola Thiaroye, si chiudevano (gli archivi n.d.r.) come delle ostriche” - rivela il regista in un intervista a un setimanale francese.
Anche in patria la realizzazione del film non viene vista di buon occhio, a causa delle relazioni diplomatiche con il paese transalpino. Tuttavia Traoré riesce a trovare un finanziamento a capitale misto franco-algerino e, nell’autunno del 1984, comincia le riprese. Ma, dopo una serie di avvertimenti orali e minacce fisiche arrivate dall’Ufficio per i servizi di informazione franco-senegalesi, il cineasta viene bruscamente dismesso dall’incarico di direttore generale della Società di promozione cinematografica. Poco dopo l’incarico della realizzazione di
Camp de thiaroye gli viene confiscato e affidato a Sembène Ousmane. Il fatto che il presidente Abdou Diouf abbia preferito Sembène, che da sempre non è ben visto dal governo del Senegal (Senghor censurò
Ceddo nel 1977), non è privo di misteri.
Quando Sembène, nel 1987, comincia a lavorare alla sceneggiatura in collaborazione con Thierno Faty Sow, l’esercito francese, tramite alcune riviste, denuncia preventivamente le “menzogne del film”. Riportiamo un estratto della rivista
Raids: “Sembrerebbe che, all’inizio di dicembre del ’44, a Thiaroye, ci sia stato una sorta di ammutinamento di fucilieri senegalesi. Esso fu represso in alcune ore. Quanti morti ci furono? Ce ne furono? Perché si scoprono dei testimoni - scusate, dei sopravvissuti- soltanto oggi? Sono delle questioni che non interessano per niente Sembène Ousmane. Il suo obbiettivo non è storico, ma di realizzare un’opera altamente propagandistica”.
In seguito si tentò di esercitare pressioni sui quattro attori francesi, senza successo.
“Quando ho presentato il film per la prima volta a Dakar, l’ambasciatore francese ha lasciato la sala. Nonostante questo fatto noi non abbiamo realizzato quest’opera per spirito di vendetta, bensì per la storia di tutti i popoli del mondo. E’una testimonianza del nostro passato nella storia”.
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