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-"Era pur sempre un mio amico..."- Così Jean Gabin (il commissario Joss) parla del suo amico ispettore assassinato da poco. Questo straordinario "polar" è reso grande dalla formidabile accoppiata Jean Gabin/Georges Lautner. Il regista, in una delle sue prime opere, dirige in modo magistrale il "mostro sacro" Gabin in una delle sue ultime apparizioni. Tutto gira alla perfezione. Protagonisti, comprimari, musiche (secche ma orecchiabili), scenari nebbiosi e suggestivi della periferia francese, dialoghi brevi e pungenti. La storia: un commissario giunto alle soglie della pensione e un suo ispettore amico d'infanzia che viene assassinato. Il commissario Joss (Jean Gabin) non sopporta di finire così la carriera, tanto più che lui e l'ucciso avevano condiviso da ragazzi sogni, fantasie e inquietudini dell'età e tra loro si era formata una solida, fraterna amicizia fondata, è ovvio, sulla lealtà reciproca. Parte l'indagine a seguito di un colossale furto ai danni di una gioielleria, dove l'ispettore era a capo del servizio di scorta ma, stranamente, se la cava solo con molta paura e nemmeno un proiettile in corpo. Joss sente subito qualcosa di poco chiaro e, in modo neppure troppo velato, dimostra le sue perplessità all'anziano funzionario, che si dimostra alquanto indispettito. Dopo qualche indizio dagli informatori e una "visita" piuttosto violenta da parte del commissario in un locale equivoco la storia comincia a venire a galla ma, improvvisamente, l'ispettore viene trovato morto in casa, pare mentre puliva la pistola (a notte fonda...) e non si tratta di una disgrazia ma di un probabile assassinio. Joss parte allora all'attacco insieme a suoi giovani aiutanti e riesce a ottenere un discreto, anche se forzato, appoggio dal suo diretto superiore, che lo stima e sa di potersi fidare di lui (lo invita anche a cena quando l'indagine sarà conclusa). Alla fine Joss vincerà e il finale è freddo, crudo, senza discussioni. Uno dei punti di forza di questo film è la figura del protagonista, un Jean Gabin a tratti distaccato, malinconico ma perseverante nel portare a termine la sua ultima, e forse più difficile, indagine. Tante le sequenze memorabili. L'azione dell'agguato al furgone portavalori, studiata nei minimi dettagli fino all'esplosione del mezzo in un campo innevato. I commoventi ricordi che il commissario propina ai suoi collaboratori mentre sono all'interno della Matra 530 della Polizia Francese, una vettura sportiva dove Jean Gabin sembra quasi "intrappolato" nel piccolo abitacolo. Le riflessioni, sempre di Joss, sul suo grande amico appena scomparso. L'ispettore infatti non era proprio un mostro in fatto di coraggio, anzi era piuttosto un "fifone" e in più aveva la debolezza di apprezzare molto la compagnia di "donne facili", cosa che Joss gli rinfaccia senza mezzi termini (anche se in modo... indiretto). Ma, nonostante tutto, come lui stesso ammette -"Che ci posso fare? Era un mio amico..."- E poi la bellissima performance di Serge Gainsbourg: l'attore/chansonnier francese appare mentre è al lavoro, concentratissimo, in sala d'incisione. Fino alla fine, dove le parole di Jean Gabin di fronte all'assassino, che ha i minuti contati, sono tra le più belle e spietate mai sentite in un film poliziesco. Il titolo italiano è completamente diverso dall'originale francese (Le Pacha), ma questa volta bisogna riconoscere che è perfettamente adatto all'opera, anzi forse ancor più coinvolgente. Da vedere, difficile rimanere delusi. - di "Joss" -
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