
Titolo originale | Kreuzweg |
Titolo internazionale | Stations of the Cross |
Anno | 2014 |
Genere | Drammatico, |
Produzione | Germania |
Durata | 107 minuti |
Regia di | Dietrich Brüggemann |
Attori | Lea Van Acken, Franziska Weisz, Florian Stetter, Lucie Aron, Moritz Knapp Michael Kamp, Hanns Zischler, Birge Schade, Georg Wesch, Ramin Yazdani, Chiara Palmeri, Linus Fluhr, Anna Brüggemann, Michael Kurras, Lena Lessing, Pierre Londiche, Sven Taddicken, Andreas Warmbrunn. |
Uscita | giovedì 29 ottobre 2015 |
Tag | Da vedere 2014 |
Distribuzione | Satine Film |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 3,52 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 29 ottobre 2015
Maria ha 14 anni. La sua famiglia fa parte di una comunità cattolica fondamentalista e lei ha la ferma intenzione di diventare una Santa. Il film è stato premiato al Festival di Berlino,
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CONSIGLIATO SÌ
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Maria è una quattordicenne figlia di una famiglia devota alla Società di S. Pio XII, organizzazione religiosa ortodossa che rinnega le innovazioni del Concilio Vaticano II e rivendica una dimensione stretta e oscurantista del cristianesimo. L'adolescente si trova quindi intrappolata tra le pulsioni della sua età, i corteggiamenti di alcuni ragazzi a scuola e i duri insegnamenti familiari che l'hanno convinta a mantenersi pura nel cuore per il signore. Serve a poco la presenza di una ragazza alla pari, anch'essa religiosa ma in maniera più ragionevole, Maria è convinta che i durissimi rimproveri della madre siano giusti e che il peccato sia ovunque, ad ogni angolo, in ogni parola, in ogni uomo. In armonia con tutto ciò ha infatti preso una decisione che non ha confessato ancora a nessuno.
È scandito in diversi capitoli che hanno come titolo le diverse stazioni della via crucis (come indica il titolo) questo film tedesco di rara limipidità. Si tratta di una dichiarazione d'intenti immediata.
Il cinema ci ha raccontato molto spesso percorsi di santità laica, cioè donne (meno di frequente uomini) che senza alcun interesse o spunto religioso decidono di intraprendere un percorso faticoso, immolandosi in maniere non diverse da quelle tipiche dei martiri poi diventati santi, in una sorta di purificazione laica del proprio animo che è sempre contigua in maniera interessante a quella religiosa. Dietrich Brüggemann compie il percorso opposto e mostra apertamente quel brandello di vita della protagonista di cui si occupa il film come un vero e proprio percorso di santificazione religioso, con l'obiettivo dichiarato fin dalla caratterizzazione bigotta della famiglia di smontare tutto questo, salvo poi tirare un ultimo beffardo calcio nel finale.
Station of the cross non lascia nulla intentato e sembra voler spiazzare lo spettatore ad ogni svolta (o ad ogni stazione) e, mentre lo conduce su un percorso di deduzione dei valori in campo abbastanza semplice (lo capiamo immediatamente, fin dalla prima stazione, chi è la vittima, chi il carnefice e chi l'aiutante), non rinuncia ad instillare dubbi e complicare la questione. Perchè se qualcosa ci dice sul cinema questo film colmo di insofferenza per la religione, è che esso non deve essere come la fede, non deve vivere di dogmi e non deve convincere nessuno delle proprie tesi; il regista non è un prete che evangelizza le proprie tesi ma un uomo che racconta storie con l'obiettivo di mettere in crisi (quindi far riflettere lo spettatore).
A tutto vantaggio e rispetto di Dietrich Brüggemann poi va il fatto che sebbene giri il suo Station of the cross in piccoli quadri (raramente le scene di ogni singola stazione contengono un montaggio che non sia interno), con una forma quindi austera, rispettosa delle rigide strutture rappresentate nel racconto nonchè inquadrata dentro un racconto che mette in scena l'immobilismo umano e l'unica forza (quella dell'ingenuità) in grado di scoperchiarne la violenza orrenda, riesce lo stesso a non rinunciare ad una forma peculiare di umorismo grottesco. Non rinuncia cioè alla complessità del mondo che anche quando mostra la sua faccia più tragica non riesce ad evitare il ridicolo insito nella vita di ognuno.