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I Nibelunghi lottano contro i Vichinghi in questo peplum tardivo che attinge alla mitologia centroeuropea. Emimmo Salvi, un tipo che con leggende e miti si trova a suo agio tanto che l’anno dopo trasporterà in chiave western nientemeno che la vicenda di Edipo con 3 colpi di Winchester per Ringo. Sue sono, per esempio, la riscrittura della vicenda biblica di David e Golia per il film omonimo di Ferdinando Baldi del 1959 o la manipolazione operata insieme a Sergio Leone di alcune vicende storiche narrate dal “Milione” di Marco Polo per la sceneggiatura del film Le sette sfide del 1961 considerata una delle pellicole che in qualche modo hanno anticipato i codici del western all’italiana. Alle prese con una storia difficile da far comprendere al pubblico italiano sceglie un taglio inusuale, molto più vicino alle sceneggiature operistiche (e anche alle scenografie) che alla tradizionali ricostruzioni dei “peplum”. Brunilde e le sue Valchirie insieme a Sigmund difendono il tesoro loro affidato dal padre Wotan. Rispetto ai forzuti semidei della mitologia greca presi in prestito appaiono però fragili, dubbiosi e fisicamente inferiori al massiccio Hunding, capo dei Vichinghi invasori. Quando esce nelle sale viene snobbato da una critica che considera questo genere ormai al tramonto. Solo Morando Morandini ha il coraggio di segnalarlo definendolo “Fumettistico, efficace...”. Nella colonna sonora inevitabile la presenza della Cavalcata delle Valchirie di Wagner. Vedendolo non si può sfuggire a una riflessione: oggi per fare una pellicola come questa si abbonderebbe in computergrafica, colonne sonore ad alto volume ed effetti speciali a non finire. Emimmo Salvi ottiene uno splendido risultato con una regia pulita, attori bravi a reggere il ruolo dei buoni contro i cattivi e poco più.
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