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Così, scriveva Jerome Seymour Bruner.
Ed è un po' quel che accade a Kristian Gianfreda alla sua prima opera, già ben riuscita, e per la quale gli viene riconosciuta una certa audacia.
Una casa famiglia occupa un antico palazzo sfitto da anni, in un borgo situato sulle colline riminesi. Gli abitanti, scossi nel loro tran-tran benestante e dediti alla campagna elettorale per il nuovo sindaco, si agitano mettondosi sulla difensiva: tutti tranne Benedetta, figlia del sindaco. All'interno della casa famiglia, oltre alla mamma, al papà e al loro figlio naturale, vivono una ex prostituta, un rifugiato africano, un bambino cinese affetto da paralisi di tipo spastico, e Kevin. E' quest'ultimo ad attrarre più di tutto, l'attenzione di Benedetta, tanto da inimicarsi le sue compagne di scuole e della squadra di pallavolo, e soprattutto diventa la ragione delle continue punizioni restrittive impartite dai genitori, il sindaco e consorte, in quanto proprio non tollerano che la figlia frequenti "certa gente".
Gianfreda vuole mostrare certamente l'operato così importante messo in piedi dalle Comunità, ma anche di come il nostro atteggiamento, volto a proteggere chi amiamo, sia solo apparenza. In fondo, nessuno di noi pare disposto a condividere ricchezze e tempo, se non riceve nulla in cambio e se non ci promettono - con tanto di spergiuro - che dopo sarà meglio per tutti.
Alcuni tra i protagonisti vivono davvero presso una delle comunità di accoglienza Papa Giovanni XXIII nel riminese, quindi ulteriore lode al regista che ha diretto persone reali e non solo attori protagonisti.
Il coraggio di Kristian Gianfreda va premiato andando al cinema, facendo la nostra piccola parte di spettatori per sostenere questo film indipendente, che viene proiettato molto spesso nelle sale emiliano-romagnole alla presenza del cast.
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