claudiofedele93
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sabato 23 gennaio 2016
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steve jobs : think different.
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Prendete Danny Boyle, il regista di The Millionaire, del cult Trainspotting, dello struggente 127 Ore, aggiungeteci uno sceneggiatore il cui nome non passa inosservato, Aaron Sorkin, vincitore di un premio Oscar per una delle pellicole più apprezzate degli ultimi anni, The Social Network di David Fincher, e, infine, date loro tutto il tempo e lo spazio necessario per raccontare la storia di una delle personalità più emblematiche, discusse, osannate ed odiate degli ultimi decenni, un uomo capace di essere il nuovo volto dei computer e dell’informatica ed al tempo stesso l’icona di una rivoluzione nata dalla voglia di auto-imporsi come una vera e propria figura di spicco della società moderna: Steve Jobs.
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Prendete Danny Boyle, il regista di The Millionaire, del cult Trainspotting, dello struggente 127 Ore, aggiungeteci uno sceneggiatore il cui nome non passa inosservato, Aaron Sorkin, vincitore di un premio Oscar per una delle pellicole più apprezzate degli ultimi anni, The Social Network di David Fincher, e, infine, date loro tutto il tempo e lo spazio necessario per raccontare la storia di una delle personalità più emblematiche, discusse, osannate ed odiate degli ultimi decenni, un uomo capace di essere il nuovo volto dei computer e dell’informatica ed al tempo stesso l’icona di una rivoluzione nata dalla voglia di auto-imporsi come una vera e propria figura di spicco della società moderna: Steve Jobs.
Attraverso l’attenta regia di Boyle, Steve Jobs è un film che riesce ad alternare diversi momenti della vita del CEO della Apple racchiudendoli in precisi e determinati spazi, senza mai ricercare un intreccio lineare o di raccontare la storia come una biografia classica, pur attingendo in toto ad una delle più lette negli ultimi tempi, quella ufficiale scritta da Walter Isaacson; L’intero lungometraggio si svolge, infatti, in tre fasi ben precise della storia del guru dell’informatica: la prima durante la presentazione del Macintosh nel 1984, la seconda durante la presentazione del computer prodotto dalla Next nel 1988 e l’ultima, ma non meno importante, nel 1998 durante il lancio dell’iMac.
Tre date chiave e di grande valore, all’interno delle quali Sorkin da vita al suo film più personale, che in alcuni frangenti ricorda tanto un’opera teatrale, a cui riesce, tramite il linguaggio e la caratterizzazione dei protagonisti, a tratteggiare sapientemente un ritratto umano e profondo di uno degli uomini più influenti del nostro tempo. Lo sceneggiatore premio Oscar era già riuscito nell’impresa nel 2010, con The Social Network, sebbene la macchina da presa comandata da Fincher avesse limitato la potenza narrativa mettendo in primo piano quella visiva, ma stavolta, Boyle, il quale sembra aver capito appieno le intenzioni di quest’ultimo, ha optato per un’impostazione che, non a caso, si mette fin da subito al servizio della narrazione e dei dialoghi, scritti, di certo, in uno stato di grazia tale da aver messo Sorkin in condizioni adatte a scrivere la sua più brillante rivisitazione di un testo scritto, riuscendo a dare alla luce una sceneggiatura limpida, cristallina, dal ritmo sostenuto, elegante, piena di brio, intellettuale e leggera al tempo stesso.
La magia del cinema che si ritrova in Steve Jobs sta proprio nella sua particolarità, un film chiuso in se stesso, nei teatri o nelle maestose sale in cui Steve presenterà alcune delle sue creazioni più acclamate o discusse, ed a contribuire a questo ingranaggio costruito alla perfezione, incapace di incepparsi anche negli attimi più tesi e concitati vi è un montaggio certosino ed efficace, che coglie ogni sfumatura necessaria per collegare diversi momenti della crescita di un’azienda e del suo fondatore con cui da anni abbiamo dimestichezza e che è entrata nella vita di gran parte degli esseri umani.
Non fosse che il tocco di Danny Boyle è comunque avvertibile, con la sua personalità e la sua maestria tecnica, Jobs resta un progetto da lodare anche per il cast di cui è composto, ove ad avere la meglio restano Michael Fassbender e Kate Winslet, i quali riescono a dominare la scena in ogni momento e dimostrano tutta la loro infinita bravura dando vita a due delle più drammatiche e sentite interpretazioni dell’anno. Steve e la sua assistente Joanna Hoffman camminano da una parte all’altra del palco come due attori in un teatro, costantemente alla ricerca di dare una svolta all’Universo e decisi a lasciare un marchio nella Storia.
Questo Jobs, tuttavia, non vuol essere assolutamente un’operazione di mercato, non ne ha la retorica necessaria né tanto meno la volontà, è, nella sua semplice essenza, un dipinto astratto di una persona che della sua vita è riuscito a farne una leggenda, un racconto mitologico da tramandare ai posteri, rivelandosi una macchina calcolatrice infallibile ed al tempo stesso incapace di saper cogliere gran parte degli aspetti migliori a cui un uomo possa fare appello. Egoista, narcisista e spietato, Micheal Fassbender coglie tutti i particolari e le fragilità della sua controparte per conferirle un tocco delicato, ma deciso, il ritratto perfetto di un genio a cui manca qualcosa, che sente di essere diverso dagli altri ed al tempo stesso migliore.
Steve Jobs non è mai stato un programmatore, né un vero informatico, né tanto meno uno studente modello, qualcuno potrebbe azzardare a dire, magari scalfendo la superficie di una verità che in fondo non è poi così importante, ma il Jobs di Boyle e Sorkin è un grande direttore che non mostra alcun dubbio nell’aver consapevolezza delle proprie capacità e della propria visione del mondo, che non vedo l’ora di arrivare a quel momento in cui, salito sul palco, si prepara a suonare l’orchestra che lo porterà alla tanto osannata consacrazione. In questo struggente e realistico modo di vedere il fondatore della Apple, sceneggiatore e regista non si dimenticano di quello che è sempre stato accanto alla vita di quest’ultimo, a partire dal difficile rapporto con la figlia, a quello con la moglie, dai miti a cui Steve si ispirava, ai torti ed alla poca tolleranza rivolta a colleghi e amici. Spogliato di tutto il non necessario, analizzato nella sua più umana essenza, giudicato con criterio e saggezza, Steve Jobs è un lungometraggio emozionante e intelligente, un’opera capace di pensare differente dalle altre e amalgamare al suo interno elementi tipici del cinema d’autore, con altri ricercati da una cerchia di pubblico meno esigente. Un lavoro che arriva a tutti, che lascia il segno, come colui che oggi ha permesso, a chi scrive questa recensione, di avere tra le mani un oggetto che porta il marchio di una mela mangiata, simbolo per eccellenza della scienza e della conoscenza, delle favole e della vita.
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[+] la rivoluzione digitale e l'anima del suo fautore
(di antonio montefalcone)
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laurence316
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martedì 31 gennaio 2017
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steve jobs: l'uomo dietro al mac e all'iphone
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Il terzo film dedicato al CEO della Apple, dopo Jobs (2013) e il documentario Steve Jobs: The Man in the Machine (2015), il film doveva inizialmente essere realizzato dalla stessa squadra di The Social Network ma, a seguito dell'abbandono di David Fincher, la regia è passata a Boyle che, schiacciato sotto il peso dell'"ingombrante" sceneggiatura di Sorkin, non si fa troppo notare, dirigendo il tutto piuttosto in sordina, soprattutto in paragone ad altri suoi più celebri film.
E’ infatti lo script di Sorkin a farla da padrone, strutturato, con impianto fortemente teatrale, in tre atti corrispondenti a tre momenti cardine nella carriera di Jobs (le presentazioni del primo Macintosh nel 1984, del NeXT nel 1988 e dell’iMac nel 1998), che procede tipicamente con dialoghi a mitraglietta instancabili e frenetici (lo stile caratteristico dello sceneggiatore americano, già popolarizzato in The Social Network): un lungo “walk and talk” in cui i personaggi, braccati dalla macchina da presa, non fanno altro che discutere, inveire e confrontarsi l’un l’altro.
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Il terzo film dedicato al CEO della Apple, dopo Jobs (2013) e il documentario Steve Jobs: The Man in the Machine (2015), il film doveva inizialmente essere realizzato dalla stessa squadra di The Social Network ma, a seguito dell'abbandono di David Fincher, la regia è passata a Boyle che, schiacciato sotto il peso dell'"ingombrante" sceneggiatura di Sorkin, non si fa troppo notare, dirigendo il tutto piuttosto in sordina, soprattutto in paragone ad altri suoi più celebri film.
E’ infatti lo script di Sorkin a farla da padrone, strutturato, con impianto fortemente teatrale, in tre atti corrispondenti a tre momenti cardine nella carriera di Jobs (le presentazioni del primo Macintosh nel 1984, del NeXT nel 1988 e dell’iMac nel 1998), che procede tipicamente con dialoghi a mitraglietta instancabili e frenetici (lo stile caratteristico dello sceneggiatore americano, già popolarizzato in The Social Network): un lungo “walk and talk” in cui i personaggi, braccati dalla macchina da presa, non fanno altro che discutere, inveire e confrontarsi l’un l’altro.
Il problema è che, attorno al protagonista, aleggia ancora un alone mitico che ne impedisce un corretto approfondimento: certo è rappresentato come un uomo con mille ombre e debolezze, ma fondamentalmente non si dice nulla di nuovo sul suo conto. Sono comunque sintetizzati bene (ed anche esasperati, a detta dei colleghi) i caratteri distintivi della sua personalità: altezzoso e arrogante, non mostra alcuna riconoscenza nei confronti dei collaboratori più stretti (vedi il caso del team Apple II e dello stesso Steve Wozniak, cofondatore della Apple insieme a Jobs [e ad un semi-sconosciuto Ronald Wayne il quale, appena la società ricevette la sua prima commessa, vendette la propria quota azionaria per 800 dollari: tale quota adesso varrebbe almeno 60 miliardi di dollari]), e, inizialmente, manca di riconoscere quella che è quasi sicuramente sua figlia, Lisa. Anche se “c’è un pizzico di didascalicità nel fargli ammettere di ricercare la perfezione nelle macchine che progetta perché si sente imperfetto come individuo, o quando riconduce il proprio bisogno di controllo al senso di impotenza legato all’abbandono da parte dei genitori naturali” (Mereghetti).
Eccezionali, comunque, le interpretazioni degli attori: Fassbender, per quanto non strettamente somigliante fisicamente a Jobs, è ammirevole per immedesimazione, la Winslet altrettanto e anche la gran parte dei comprimari sono assolutamente notevoli, da Rogen (Wozniak) a Daniels (che interpreta John Sculley, CEO della Apple dal 1983 al ’93) a Stuhlbarg (che interpreta Andy Hertzfeld, ingegnere del software, membro chiave del team di sviluppo del primo Macintosh) alla Snook ([la straordinaria Jane di Predestination], che qui interpreta invece Andrea “Andy” Cunningham, responsabile del lancio del Macintosh e [solo nel film] dell’iMac). Un cast sorprendente per un biopic svelto e ben realizzato, basato sull’omonima biografia scritta da Walter Isaacson nel 2011, che potrebbe risultare di un qualche interesse anche ai "non fanatici" della Apple.
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debboschi
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sabato 23 gennaio 2016
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steve jobs
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“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998).
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“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998). Ma è proprio quello stare “dietro le quinte”, nei momenti che precedono l’entrata in scena, in un auditorio, a suggerire il punto di vista attraverso il quale si è deciso di presentare la figura del creatore di Apple. Il film, non a caso, si situa “al di qua” del palcoscenico, come a voler rappresentare “dal di dentro” una vita vissuta lungo una linea di confine invalicabile. E’ un personaggio complesso quello che ci viene presentato da Michael Fassbender in un’altra delle sue strabilianti interpretazioni.Padroneggiando i dialoghi incalzanti della sceneggiatura di Sorking, che hanno la funzione di un flusso di coscienza, l’attore irlandese, senza mai eccedere, riesce a dirigere armoniosamente un’orchestra di emozioni contrapposte mostrandoci ciò che “sta dietro” all’immagine di Steve Jobs: un uomo che vede il mondo in modo diverso, un artista geniale e cinico, smisuratamente egocentrico e, al tempo stesso, preda della sua stessa mania di controllo, intrappolato in un sistema chiuso come i computer che crea e, proprio per questo, così profondamente “umano”. Steve Jobs è un film coraggioso, che riesce a raccontarci la vita straordinaria del suo protagonista in modo estremamente originale e senza mai scivolare nella retorica ce ne da un’immagine che potremmo riassumere in un dialogo tra Jobs e “Woz”, nel 1988, sulla musica classica, tra citazioni di Haendel, di Vivaldi e del maestro Qzawa che spiegò a Jobs come: “gli orchestrali suonano gli strumenti. Io suono l’orchestra”.
“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998). Ma è proprio quello stare “dietro le quinte”, nei momenti che precedono l’entrata in scena, in un auditorio, a suggerire il punto di vista attraverso il quale si è deciso di presentare la figura del creatore di Apple. Il film, non a caso, si situa “al di qua” del palcoscenico, come a voler rappresentare “dal di dentro” una vita vissuta lungo una linea di confine invalicabile. E’ un personaggio complesso quello che ci viene presentato da Michael Fassbender in un’altra delle sue strabilianti interpretazioni.Padroneggiando i dialoghi incalzanti della sceneggiatura di Sorking, che hanno la funzione di un flusso di coscienza, l’attore irlandese, senza mai eccedere, riesce a dirigere armoniosamente un’orchestra di emozioni contrapposte mostrandoci ciò che “sta dietro” all’immagine di Steve Jobs: un uomo che vede il mondo in modo diverso, un artista geniale e cinico, smisuratamente egocentrico e, al tempo stesso, preda della sua stessa mania di controllo, intrappolato in un sistema chiuso come i computer che crea e, proprio per questo, così profondamente “umano”. Steve Jobs è un film coraggioso, che riesce a raccontarci la vita straordinaria del suo protagonista in modo estremamente originale e senza mai scivolare nella retorica ce ne da un’immagine che potremmo riassumere in un dialogo tra Jobs e “Woz”, nel 1988, sulla musica classica, tra citazioni di Haendel, di Vivaldi e del maestro Qzawa che spiegò a Jobs come: “gli orchestrali suonano gli strumenti. Io suono l’orchestra”.
“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998). Ma è proprio quello stare “dietro le quinte”, nei momenti che precedono l’entrata in scena, in un auditorio, a suggerire il punto di vista attraverso il quale si è deciso di presentare la figura del creatore di Apple. Il film, non a caso, si situa “al di qua” del palcoscenico, come a voler rappresentare “dal di dentro” una vita vissuta lungo una linea di confine invalicabile. E’ un personaggio complesso quello che ci viene presentato da Michael Fassbender in un’altra delle sue strabilianti interpretazioni.Padroneggiando i dialoghi incalzanti della sceneggiatura di Sorking, che hanno la funzione di un flusso di coscienza, l’attore irlandese, senza mai eccedere, riesce a dirigere armoniosamente un’orchestra di emozioni contrapposte mostrandoci ciò che “sta dietro” all’immagine di Steve Jobs: un uomo che vede il mondo in modo diverso, un artista geniale e cinico, smisuratamente egocentrico e, al tempo stesso, preda della sua stessa mania di controllo, intrappolato in un sistema chiuso come i computer che crea e, proprio per questo, così profondamente “umano”. Steve Jobs è un film coraggioso, che riesce a raccontarci la vita straordinaria del suo protagonista in modo estremamente originale e senza mai scivolare nella retorica ce ne da un’immagine che potremmo riassumere in un dialogo tra Jobs e “Woz”, nel 1988, sulla musica classica, tra citazioni di Haendel, di Vivaldi e del maestro Qzawa che spiegò a Jobs come: “gli orchestrali suonano gli strumenti. Io suono l’orchestra”.
“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998). Ma è proprio quello stare “dietro le quinte”, nei momenti che precedono l’entrata in scena, in un auditorio, a suggerire il punto di vista attraverso il quale si è deciso di presentare la figura del creatore di Apple. Il film, non a caso, si situa “al di qua” del palcoscenico, come a voler rappresentare “dal di dentro” una vita vissuta lungo una linea di confine invalicabile. E’ un personaggio complesso quello che ci viene presentato da Michael Fassbender in un’altra delle sue strabilianti interpretazioni.Padroneggiando i dialoghi incalzanti della sceneggiatura di Sorking, che hanno la funzione di un flusso di coscienza, l’attore irlandese, senza mai eccedere, riesce a dirigere armoniosamente un’orchestra di emozioni contrapposte mostrandoci ciò che “sta dietro” all’immagine di Steve Jobs: un uomo che vede il mondo in modo diverso, un artista geniale e cinico, smisuratamente egocentrico e, al tempo stesso, preda della sua stessa mania di controllo, intrappolato in un sistema chiuso come i computer che crea e, proprio per questo, così profondamente “umano”. Steve Jobs è un film coraggioso, che riesce a raccontarci la vita straordinaria del suo protagonista in modo estremamente originale e senza mai scivolare nella retorica ce ne da un’immagine che potremmo riassumere in un dialogo tra Jobs e “Woz”, nel 1988, sulla musica classica, tra citazioni di Haendel, di Vivaldi e del maestro Qzawa che spiegò a Jobs come: “gli orchestrali suonano gli strumenti. Io suono l’orchestra”.
“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998). Ma è proprio quello stare “dietro le quinte”, nei momenti che precedono l’entrata in scena, in un auditorio, a suggerire il punto di vista attraverso il quale si è deciso di presentare la figura del creatore di Apple. Il film, non a caso, si situa “al di qua” del palcoscenico, come a voler rappresentare “dal di dentro” una vita vissuta lungo una linea di confine invalicabile. E’ un personaggio complesso quello che ci viene presentato da Michael Fassbender in un’altra delle sue strabilianti interpretazioni.Padroneggiando i dialoghi incalzanti della sceneggiatura di Sorking, che hanno la funzione di un flusso di coscienza, l’attore irlandese, senza mai eccedere, riesce a dirigere armoniosamente un’orchestra di emozioni contrapposte mostrandoci ciò che “sta dietro” all’immagine di Steve Jobs: un uomo che vede il mondo in modo diverso, un artista geniale e cinico, smisuratamente egocentrico e, al tempo stesso, preda della sua stessa mania di controllo, intrappolato in un sistema chiuso come i computer che crea e, proprio per questo, così profondamente “umano”. Steve Jobs è un film coraggioso, che riesce a raccontarci la vita straordinaria del suo protagonista in modo estremamente originale e senza mai scivolare nella retorica ce ne da un’immagine che potremmo riassumere in un dialogo tra Jobs e “Woz”, nel 1988, sulla musica classica, tra citazioni di Haendel, di Vivaldi e del maestro Qzawa che spiegò a Jobs come: “gli orchestrali suonano gli strumenti. Io suono l’orchestra”.
“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998). Ma è proprio quello stare “dietro le quinte”, nei momenti che precedono l’entrata in scena, in un auditorio, a suggerire il punto di vista attraverso il quale si è deciso di presentare la figura del creatore di Apple. Il film, non a caso, si situa “al di qua” del palcoscenico, come a voler rappresentare “dal di dentro” una vita vissuta lungo una linea di confine invalicabile. E’ un personaggio complesso quello che ci viene presentato da Michael Fassbender in un’altra delle sue strabilianti interpretazioni.Padroneggiando i dialoghi incalzanti della sceneggiatura di Sorking, che hanno la funzione di un flusso di coscienza, l’attore irlandese, senza mai eccedere, riesce a dirigere armoniosamente un’orchestra di emozioni contrapposte mostrandoci ciò che “sta dietro” all’immagine di Steve Jobs: un uomo che vede il mondo in modo diverso, un artista geniale e cinico, smisuratamente egocentrico e, al tempo stesso, preda della sua stessa mania di controllo, intrappolato in un sistema chiuso come i computer che crea e, proprio per questo, così profondamente “umano”. Steve Jobs è un film coraggioso, che riesce a raccontarci la vita straordinaria del suo protagonista in modo estremamente originale e senza mai scivolare nella retorica ce ne da un’immagine che potremmo riassumere in un dialogo tra Jobs e “Woz”, nel 1988, sulla musica classica, tra citazioni di Haendel, di Vivaldi e del maestro Qzawa che spiegò a Jobs come: “gli orchestrali suonano gli strumenti. Io suono l’orchestra”.
“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998). Ma è proprio quello stare “dietro le quinte”, nei momenti che precedono l’entrata in scena, in un auditorio, a suggerire il punto di vista attraverso il quale si è deciso di presentare la figura del creatore di Apple. Il film, non a caso, si situa “al di qua” del palcoscenico, come a voler rappresentare “dal di dentro” una vita vissuta lungo una linea di confine invalicabile. E’ un personaggio complesso quello che ci viene presentato da Michael Fassbender in un’altra delle sue strabilianti interpretazioni.Padroneggiando i dialoghi incalzanti della sceneggiatura di Sorking, che hanno la funzione di un flusso di coscienza, l’attore irlandese, senza mai eccedere, riesce a dirigere armoniosamente un’orchestra di emozioni contrapposte mostrandoci ciò che “sta dietro” all’immagine di Steve Jobs: un uomo che vede il mondo in modo diverso, un artista geniale e cinico, smisuratamente egocentrico e, al tempo stesso, preda della sua stessa mania di controllo, intrappolato in un sistema chiuso come i computer che crea e, proprio per questo, così profondamente “umano”. Steve Jobs è un film coraggioso, che riesce a raccontarci la vita straordinaria del suo protagonista in modo estremamente originale e senza mai scivolare nella retorica ce ne da un’immagine che potremmo riassumere in un dialogo tra Jobs e “Woz”, nel 1988, sulla musica classica, tra citazioni di Haendel, di Vivaldi e del maestro Qzawa che spiegò a Jobs come: “gli orchestrali suonano gli strumenti. Io suono l’orchestra”.
“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998). Ma è proprio quello stare “dietro le quinte”, nei momenti che precedono l’entrata in scena, in un auditorio, a suggerire il punto di vista attraverso il quale si è deciso di presentare la figura del creatore di Apple. Il film, non a caso, si situa “al di qua” del palcoscenico, come a voler rappresentare “dal di dentro” una vita vissuta lungo una linea di confine invalicabile. E’ un personaggio complesso quello che ci viene presentato da Michael Fassbender in un’altra delle sue strabilianti interpretazioni.Padroneggiando i dialoghi incalzanti della sceneggiatura di Sorking, che hanno la funzione di un flusso di coscienza, l’attore irlandese, senza mai eccedere, riesce a dirigere armoniosamente un’orchestra di emozioni contrapposte mostrandoci ciò che “sta dietro” all’immagine di Steve Jobs: un uomo che vede il mondo in modo diverso, un artista geniale e cinico, smisuratamente egocentrico e, al tempo stesso, preda della sua stessa mania di controllo, intrappolato in un sistema chiuso come i computer che crea e, proprio per questo, così profondamente “umano”. Steve Jobs è un film coraggioso, che riesce a raccontarci la vita straordinaria del suo protagonista in modo estremamente originale e senza mai scivolare nella retorica ce ne da un’immagine che potremmo riassumere in un dialogo tra Jobs e “Woz”, nel 1988, sulla musica classica, tra citazioni di Haendel, di Vivaldi e del maestro Qzawa che spiegò a Jobs come: “gli orchestrali suonano gli strumenti. Io suono l’orchestra”.
“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998). Ma è proprio quello stare “dietro le quinte”, nei momenti che precedono l’entrata in scena, in un auditorio, a suggerire il punto di vista attraverso il quale si è deciso di presentare la figura del creatore di Apple. Il film, non a caso, si situa “al di qua” del palcoscenico, come a voler rappresentare “dal di dentro” una vita vissuta lungo una linea di confine invalicabile. E’ un personaggio complesso quello che ci viene presentato da Michael Fassbender in un’altra delle sue strabilianti interpretazioni.Padroneggiando i dialoghi incalzanti della sceneggiatura di Sorking, che hanno la funzione di un flusso di coscienza, l’attore irlandese, senza mai eccedere, riesce a dirigere armoniosamente un’orchestra di emozioni contrapposte mostrandoci ciò che “sta dietro” all’immagine di Steve Jobs: un uomo che vede il mondo in modo diverso, un artista geniale e cinico, smisuratamente egocentrico e, al tempo stesso, preda della sua stessa mania di controllo, intrappolato in un sistema chiuso come i computer che crea e, proprio per questo, così profondamente “umano”. Steve Jobs è un film coraggioso, che riesce a raccontarci la vita straordinaria del suo protagonista in modo estremamente originale e senza mai scivolare nella retorica ce ne da un’immagine che potremmo riassumere in un dialogo tra Jobs e “Woz”, nel 1988, sulla musica classica, tra citazioni di Haendel, di Vivaldi e del maestro Qzawa che spiegò a Jobs come: “gli orchestrali suonano gli strumenti. Io suono l’orchestra”.
“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998). Ma è proprio quello stare “dietro le quinte”, nei momenti che precedono l’entrata in scena, in un auditorio, a suggerire il punto di vista attraverso il quale si è deciso di presentare la figura del creatore di Apple. Il film, non a caso, si situa “al di qua” del palcoscenico, come a voler rappresentare “dal di dentro” una vita vissuta lungo una linea di confine invalicabile. E’ un personaggio complesso quello che ci viene presentato da Michael Fassbender in un’altra delle sue strabilianti interpretazioni.Padroneggiando i dialoghi incalzanti della sceneggiatura di Sorking, che hanno la funzione di un flusso di coscienza, l’attore irlandese, senza mai eccedere, riesce a dirigere armoniosamente un’orchestra di emozioni contrapposte mostrandoci ciò che “sta dietro” all’immagine di Steve Jobs: un uomo che vede il mondo in modo diverso, un artista geniale e cinico, smisuratamente egocentrico e, al tempo stesso, preda della sua stessa mania di controllo, intrappolato in un sistema chiuso come i computer che crea e, proprio per questo, così profondamente “umano”. Steve Jobs è un film coraggioso, che riesce a raccontarci la vita straordinaria del suo protagonista in modo estremamente originale e senza mai scivolare nella retorica ce ne da un’immagine che potremmo riassumere in un dialogo tra Jobs e “Woz”, nel 1988, sulla musica classica, tra citazioni di Haendel, di Vivaldi e del maestro Qzawa che spiegò a Jobs come: “gli orchestrali suonano gli strumenti. Io suono l’orchestra”.
“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998). Ma è proprio quello stare “dietro le quinte”, nei momenti che precedono l’entrata in scena, in un auditorio, a suggerire il punto di vista attraverso il quale si è deciso di presentare la figura del creatore di Apple. Il film, non a caso, si situa “al di qua” del palcoscenico, come a voler rappresentare “dal di dentro” una vita vissuta lungo una linea di confine invalicabile. E’ un personaggio complesso quello che ci viene presentato da Michael Fassbender in un’altra delle sue strabilianti interpretazioni.Padroneggiando i dialoghi incalzanti della sceneggiatura di Sorking, che hanno la funzione di un flusso di coscienza, l’attore irlandese, senza mai eccedere, riesce a dirigere armoniosamente un’orchestra di emozioni contrapposte mostrandoci ciò che “sta dietro” all’immagine di Steve Jobs: un uomo che vede il mondo in modo diverso, un artista geniale e cinico, smisuratamente egocentrico e, al tempo stesso, preda della sua stessa mania di controllo, intrappolato in un sistema chiuso come i computer che crea e, proprio per questo, così profondamente “umano”. Steve Jobs è un film coraggioso, che riesce a raccontarci la vita straordinaria del suo protagonista in modo estremamente originale e senza mai scivolare nella retorica ce ne da un’immagine che potremmo riassumere in un dialogo tra Jobs e “Woz”, nel 1988, sulla musica classica, tra citazioni di Haendel, di Vivaldi e del maestro Qzawa che spiegò a Jobs come: “gli orchestrali suonano gli strumenti. Io suono l’orchestra”.
“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998). Ma è proprio quello stare “dietro le quinte”, nei momenti che precedono l’entrata in scena, in un auditorio, a suggerire il punto di vista attraverso il quale si è deciso di presentare la figura del creatore di Apple. Il film, non a caso, si situa “al di qua” del palcoscenico, come a voler rappresentare “dal di dentro” una vita vissuta lungo una linea di confine invalicabile. E’ un personaggio complesso quello che ci viene presentato da Michael Fassbender in un’altra delle sue strabilianti interpretazioni.Padroneggiando i dialoghi incalzanti della sceneggiatura di Sorking, che hanno la funzione di un flusso di coscienza, l’attore irlandese, senza mai eccedere, riesce a dirigere armoniosamente un’orchestra di emozioni contrapposte mostrandoci ciò che “sta dietro” all’immagine di Steve Jobs: un uomo che vede il mondo in modo diverso, un artista geniale e cinico, smisuratamente egocentrico e, al tempo stesso, preda della sua stessa mania di controllo, intrappolato in un sistema chiuso come i computer che crea e, proprio per questo, così profondamente “umano”. Steve Jobs è un film coraggioso, che riesce a raccontarci la vita straordinaria del suo protagonista in modo estremamente originale e senza mai scivolare nella retorica ce ne da un’immagine che potremmo riassumere in un dialogo tra Jobs e “Woz”, nel 1988, sulla musica classica, tra citazioni di Haendel, di Vivaldi e del maestro Qzawa che spiegò a Jobs come: “gli orchestrali suonano gli strumenti. Io suono l’orchestra”.
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elpanez
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venerdì 22 gennaio 2016
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una pellicola frenetica da far venire i brividi!
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NO SPOILER: Sarò sincero, guardando dal trailer mi aspettavo di vedere una biografia su Steve Jobs nel quale viene narrato il suo successo ed il come sia diventato un tale pilastro della tecnologia a livello mondiale (siccome non ho letto il libro), ma quando sono entrato in sala mi son ritrovato davanti ad un’ opera completamente diversa. Il nuovo film di Boyle scava dentro i sentimenti del personaggio, facendoti capire che cosa sta dietro a quello che oggi conosciamo tutti come il Mac e la Apple stessa, delle insidie e dei rapporti fra i personaggi che vanno dall’amore altalenante per quella che potrebbe, o forse è sua figlia, e tra l’attenzione che dai ad una persona dopo che essa, o tu stesso, hai cambiato ed evoluto la visione della tecnologia umana.
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NO SPOILER: Sarò sincero, guardando dal trailer mi aspettavo di vedere una biografia su Steve Jobs nel quale viene narrato il suo successo ed il come sia diventato un tale pilastro della tecnologia a livello mondiale (siccome non ho letto il libro), ma quando sono entrato in sala mi son ritrovato davanti ad un’ opera completamente diversa. Il nuovo film di Boyle scava dentro i sentimenti del personaggio, facendoti capire che cosa sta dietro a quello che oggi conosciamo tutti come il Mac e la Apple stessa, delle insidie e dei rapporti fra i personaggi che vanno dall’amore altalenante per quella che potrebbe, o forse è sua figlia, e tra l’attenzione che dai ad una persona dopo che essa, o tu stesso, hai cambiato ed evoluto la visione della tecnologia umana.
La regia di Boyle, va da piani sequenza estremamente efficaci da un ritmo incalzante a sovrapposizioni di varie scene incastrate fra di esse tali da formare una catena dinamica. L’unica pecca è che il film parte bene, e nei successivi 30 minuti, verso metà, si spegne leggermente.
La sceneggiatura è il punto forte, strabiliante, si crea un rapporto tra i personaggi complicato e per niente scontato, molto interessante, per poi passare ad aforismi sull’amicizia, sul lavoro e sulla famiglia da far venire i brividi come una lama che ti sfiora la pelle, impressionante.
La fotografia è a tratti troppo spenta tale da non rendere efficaci l’espressioni facciali degli attori a bagliori di luce bellissimi, reali e fin troppo estremi, e per il contesto in cui li applicano è una gioia per gli occhi.
Michael Fassbender è estremamente bravo ad affrontare un ruolo così delicato e pieno di emozioni inaspettate e con un carattere molto implicito, magistrale. La Winslet inoltre molto brava, reale ad esprimere emozioni senza esagerare o senza essere troppo piatta. Anche se quest’ultimo personaggio (la moglie di Steve) lo hanno trattato troppo poco per l’importanza che aveva.
La colonna sonora è ottima, con sinfonie che mettono suspance ove c’è né bisogno ed è drammatica al punto giusto e nel momento giusto.
Infine un film che ho trovato inaspettato, con qualche pecca qua e là, ma sempre un’ottima biografia su un personaggio misterioso e particolare, ma comunque un genio che ha modernizzato ed evoluto la tecnologia. La storia ti prende dall’inizio alla fine e i cambi di scena sono inaspettati e molto d’effetto.
Per ulteriori informazioni visitate il mio canale youtube: elpanez
Buona serata!
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luca1968
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martedì 30 maggio 2017
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boh....
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Sicuramente il mio giudizio farà inorridire molti: considero il film Jobs del 2013 molto migliore di questo. Certo, Jobs era un biopic convenzionale e forse un pò scontato, ma per lo meno era interessante in quanto narrava - per chi non la conosceva ancora - la vita di SJ e la creazione, perdita, riconquista ed esplosione di Apple. Inoltre la somiglianza di Ashton Kutcher, che a livello recitativo è stato sorprendentemente all'altezza, al SJ originale era impressionante. In questo film, invece, l'attenzione è concentrata su tre eventi specifici più che sulla vita e sul personaggio Jobs. Se avesse avuto un altro titolo e avessero cambiato i nomi dei prodotti Apple, avrebbe potuto tranquillamente essere "spacciata" come una storia di fantasia.
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Sicuramente il mio giudizio farà inorridire molti: considero il film Jobs del 2013 molto migliore di questo. Certo, Jobs era un biopic convenzionale e forse un pò scontato, ma per lo meno era interessante in quanto narrava - per chi non la conosceva ancora - la vita di SJ e la creazione, perdita, riconquista ed esplosione di Apple. Inoltre la somiglianza di Ashton Kutcher, che a livello recitativo è stato sorprendentemente all'altezza, al SJ originale era impressionante. In questo film, invece, l'attenzione è concentrata su tre eventi specifici più che sulla vita e sul personaggio Jobs. Se avesse avuto un altro titolo e avessero cambiato i nomi dei prodotti Apple, avrebbe potuto tranquillamente essere "spacciata" come una storia di fantasia. Anche perchè il pur bravo Fassbender non è Jobs: complice una (voluta ma incomprensibile) rinunzia al trucco, non ho mai avuto per tutto il film la sensazione di avere a che fare con SJ, nè di conoscerlo meglio. Inoltre, il fatto che la sceneggiatura presenti dialoghi fittissimi non significa affatto che gli stessi siano interessanti. Al contrario, mi è sembrata una verbosità del tutto fine a se stessa, e non finalizzata a raccontare una storia. Questo stile lasciamolo a Tarantino, davvero unico nel sapere utilizzare dialoghi spesso assurdi e fuori contesto pur mantenendo il focus sulla storia (anche se a volte esagera anche lui: il racconto affidato a Samuel Jackson in The hateful eight su quello che aveva fatto al figlio di Dern - chi ha visto il film certamente capisce di cosa parlo - è stato per i miei gusti al limite del disgustoso). In conclusione, Steve Jobs è un'opera interessante e particolare per lo stile narrativo... ma Steve Jobs non c'entra nulla.
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mario nitti
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venerdì 22 gennaio 2016
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perchè solo due candidature?
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Steve Job è raccontato attraverso i tre momenti che hanno preceduto le convention per il lancio dei suoi prodotti. Nel 1984 si inizia con il Macintosh, per proseguire con il NeXT del 1988 e chiudere con l’IMac del 1998. Osserviamo l’evoluzioni questo personaggio visionario, geniale, duro, controverso, intollerante, contraddittorio dietro le quinte, nelle relazioni con i suoi collaboratori ed amici, spesso scontri verbali duri e senza sconti di parole.
Gran film che, anche con una storia nota, grazie ad ottimi attori, in primis Fassbender e Winslet, una regia incalzante, una splendida colonna sonora e una sceneggiatura accurata riesce a catturare ed appassionare lo spettatore.
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Steve Job è raccontato attraverso i tre momenti che hanno preceduto le convention per il lancio dei suoi prodotti. Nel 1984 si inizia con il Macintosh, per proseguire con il NeXT del 1988 e chiudere con l’IMac del 1998. Osserviamo l’evoluzioni questo personaggio visionario, geniale, duro, controverso, intollerante, contraddittorio dietro le quinte, nelle relazioni con i suoi collaboratori ed amici, spesso scontri verbali duri e senza sconti di parole.
Gran film che, anche con una storia nota, grazie ad ottimi attori, in primis Fassbender e Winslet, una regia incalzante, una splendida colonna sonora e una sceneggiatura accurata riesce a catturare ed appassionare lo spettatore. Mi stupisco che non abbia avuto molte più nomination per gli Oscar.
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lukemovie
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martedì 26 gennaio 2016
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terribilmente noiso. tutto bene danny boyle?
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Un film che mi ha deluso profondamente.
Anche se Danny Boyle ha cercato di raccontare a modo suo la vita di Steve Jobs, purtroppo in 2 Noiosissime Ore è riuscito a dirigere un film confusionario, mischiando la carriera professionale del protagonista alla sua problematica situazione famigliare con la figlia Lisa.
Non c'è emozione, non ci sono dialoghi che reggono (lunghi e noiosi). Michael Fassbender purtroppo non riesce a impersonare nulla del diabolico e geniale Ideatore della Apple.
I personaggi dell'intero film sono piazzati a caso, solo per riempire i tremendi spazi vuoti, calcolando che il film è ambientato solo in teatro tutto questo lo rende ancora più deprimente.
Mi domando il perchè di questa scelta narrativa.
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Un film che mi ha deluso profondamente.
Anche se Danny Boyle ha cercato di raccontare a modo suo la vita di Steve Jobs, purtroppo in 2 Noiosissime Ore è riuscito a dirigere un film confusionario, mischiando la carriera professionale del protagonista alla sua problematica situazione famigliare con la figlia Lisa.
Non c'è emozione, non ci sono dialoghi che reggono (lunghi e noiosi). Michael Fassbender purtroppo non riesce a impersonare nulla del diabolico e geniale Ideatore della Apple.
I personaggi dell'intero film sono piazzati a caso, solo per riempire i tremendi spazi vuoti, calcolando che il film è ambientato solo in teatro tutto questo lo rende ancora più deprimente.
Mi domando il perchè di questa scelta narrativa. Non vedo più il meraviglioso Danny Boyle che girava un film più bello dell'altro. Perchè Danny Perchè?
A malincuore devo dire che il film precedente "jobs" è fatto molto bene rispetto a questo.
Ps. 4 stelle è una follia per un film del genere. Cercate di essere veritieri le prossime volte.
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alberto58
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domenica 31 gennaio 2016
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the american dream
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Li ho visti nascere i computer. Nel 1977 perforavo centinaia di schede e le consegnavo all'operatore del centro di calcolo che dopo un po' mi restituiva un tabulato con un lungo elenco di errori di compilazione. Nel 1985 il programma lo scrivevo a video e lo inviavo al sistema operativo che mi rispondeva in pochi minuti. Nel 1990 convinsi il mio capo ad acquistare Windows e Word della Microsoft per produrre testi di adeguata qualità tipografica. Non sapevo che già sei anni prima Steve Jobs aveva creato un computer a interfaccia grafica. Io nel 1984 taglia e incolla lo facevo con forbici spillatrice consegnando poi il tutto alle segretarie.....Insomma la mia intera vita a contatto con l'informatica è chiamata in causa da questo film, come penso la vita di tantissime persone.
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Li ho visti nascere i computer. Nel 1977 perforavo centinaia di schede e le consegnavo all'operatore del centro di calcolo che dopo un po' mi restituiva un tabulato con un lungo elenco di errori di compilazione. Nel 1985 il programma lo scrivevo a video e lo inviavo al sistema operativo che mi rispondeva in pochi minuti. Nel 1990 convinsi il mio capo ad acquistare Windows e Word della Microsoft per produrre testi di adeguata qualità tipografica. Non sapevo che già sei anni prima Steve Jobs aveva creato un computer a interfaccia grafica. Io nel 1984 taglia e incolla lo facevo con forbici spillatrice consegnando poi il tutto alle segretarie.....Insomma la mia intera vita a contatto con l'informatica è chiamata in causa da questo film, come penso la vita di tantissime persone. Ma c'è di più. C'è tutta la magia del miglior cinema amercano, Come in Star Wars. Quando, poco dopo Natale, ho visto Star War VII sono uscito dal cinema su una nuvoletta e poi sono salito in auto ed ho guidato come se pilotassi l'Enterprise, accompagnato dalla colonna sonora del film. Oggi mi e' successa la stessa cosa ed ho vagato a lungo per le strade di Roma accompagnato dalle note di "Shelter from the storm" magistralmente scelto per confezionare il film e consegnarlo alla memoria. Bob Dylan con la sua voce roca e la sua chitarra richioama l'anima stessa dell'America. Del suo sogno. Il pensiero sul sogno americano mi e' arrivato subito, con le prime scene del film, grandiosamente evocative, poi a lungo mi sono chiesto se la sequela di durissimi scontri verbali, quasi al limite dello scontro fisico, tra Steve jobs ed il resto del mondo (soci, collaboratori, moglie e figlia) non fosse un po' eccessiva, ma quel finale sorridente e luminoso, che ricorda un po' Blade Runner, per quel contrasto con l'atmosfera pesante che impera per tutto il reti del film, giustifica quel clima, come una preparazione per quel fantastico finale, che ti permette di uscire dal cinema quasi volando.
Se c'è una cosa che gli americani ci hanno dato è la loro capacità di sognare concretamente, di farsi paladini dell’umanità immaginando un futuro e, molto pragmaticamente, realizzandolo. Dalla vittoria nella seconda guerra mondiale, al fatto di aver portato l’umanità sulla luna, alle figure di John Kennedy e di Martin Luther King, anche quando il sogno si è trasformato in incubo, come in Vietnam o in Iraq, gli americani trasmettono quella fede assoluta nel futuro. Il film presenta subito Steve Jobs come il classico americano sognatore-pragmatico che consacra tutto se stesso al miglioramento della condizione dell’umanità. A chi gli dice che non è un sistema operativo chiuso che il mercato vuole, lui risponde che la gente va guidata e non seguita, lui sa bene quello che SERVE DAVVERO allle persone, all'umanità. In questo suo cammino verso il futuro Jobs è travolgente, e travolge anche la sua vita privata. Il film è prodigo di indicazioni tecniche, di riferimenti alle leggi mercato, chi si intende di informatica e marketing troverà pane per i suoi denti, ma la chiave è molto umana, e risiede tutta nel rapporto di Steve con chi gli sta più vicino ed in particolare, con sua figlia. Cosa può esserci per un padre di più importante dell’unica figlia ? E’ questo il perno su cui ruota il film.
Un film luminoso, straordinario, imperdibile. Con la creazione dell’interfaccia grafica dei computer, poi imitata da Windows, Jobs ha avuto un ruolo fondamentale nel progettare quella realtà in cui oggi siamo tutti immersi. Chiunque abbia uno smartphone ha ogni giorno a che fare con l’intuizione di Jobs e solo per questo dovrebbe andare a vedere il film, tanto più se ha una figlia.
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fabio
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venerdì 5 febbraio 2021
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30 anni in 5 minuti
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Film dal ritmo frenetico: a volte si fa fatica a stare dappresso ai dialoghi sputati fuori come dalla bocca di una mitragliatrice.
Questo aspetto lo considero un limite: una violenza dello spettatore che viene stordito con cifre e nozioni che non è tenuto a conoscere.
A parte questo il film mi è piaciuto. Bravi tutti gli interpreti ed un plauso al regista ed allo sceneggiatore per aver adottato una scelta narrativa originale.
Tutto si svolge sempre dietro le quinte di una qualche presentazione: è come se, a meno di 5 minuti dal debutto, tutti i nodi vengano al pettine, le persone sotto pressione rivelino la loro natura, dicendo veramente ciò che pensano.
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Film dal ritmo frenetico: a volte si fa fatica a stare dappresso ai dialoghi sputati fuori come dalla bocca di una mitragliatrice.
Questo aspetto lo considero un limite: una violenza dello spettatore che viene stordito con cifre e nozioni che non è tenuto a conoscere.
A parte questo il film mi è piaciuto. Bravi tutti gli interpreti ed un plauso al regista ed allo sceneggiatore per aver adottato una scelta narrativa originale.
Tutto si svolge sempre dietro le quinte di una qualche presentazione: è come se, a meno di 5 minuti dal debutto, tutti i nodi vengano al pettine, le persone sotto pressione rivelino la loro natura, dicendo veramente ciò che pensano.
Un'atmosfera da countdown permanente, da rush finale ad ogni scena.
Per il resto, sulla figura di Jobs si è detto molto: imprenditore dotato di grande intuito. Arrogante e presuntuoso ma anche geniale direttore d'orchestra e furbo venditore delle sue creazioni.
Il tipico uomo-solo-al-comando che, nel bene e nel male, è perfettamente consapevole del proprio ruolo-missione; essere in cima vuol dire anche prendersi tutto sulle proprie spalle.
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no_data
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venerdì 22 gennaio 2016
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steve jobs: l'uomo...
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"Steve Jobs" ci porta nei backstage pochi minuti prima dei lanci dei tre prodotti più significativi della carriera di Jobs: il Macintosh nel 1984, il NeXTcube nel 1988, l'iMac nel 1998. E per tre volte compaiono, in questi minuti, ostacoli e difficoltà, sotto forma delle persone più importanti della sua vita, con le quali Jobs intrattiene intense discussioni, a volte più "accese" e a volte più "temperate", ma comunque mai banali.
Ma quest'opera non è il classico e prevedibile biopic come si potrebbe pensare, anzi tutt'altro, è infatti un biopic atipico e originale, in cui lo spettatore vive i tre momenti più significativi della vita di Jobs come fossero "in diretta", in tempo reale, trovandosi direttamente immerso nell'azione, e ricostruendo il suo burrascoso passato personale e professionale soltanto attraverso i brevi flashback e gli infiniti dialoghi.
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"Steve Jobs" ci porta nei backstage pochi minuti prima dei lanci dei tre prodotti più significativi della carriera di Jobs: il Macintosh nel 1984, il NeXTcube nel 1988, l'iMac nel 1998. E per tre volte compaiono, in questi minuti, ostacoli e difficoltà, sotto forma delle persone più importanti della sua vita, con le quali Jobs intrattiene intense discussioni, a volte più "accese" e a volte più "temperate", ma comunque mai banali.
Ma quest'opera non è il classico e prevedibile biopic come si potrebbe pensare, anzi tutt'altro, è infatti un biopic atipico e originale, in cui lo spettatore vive i tre momenti più significativi della vita di Jobs come fossero "in diretta", in tempo reale, trovandosi direttamente immerso nell'azione, e ricostruendo il suo burrascoso passato personale e professionale soltanto attraverso i brevi flashback e gli infiniti dialoghi. Proprio ai dialoghi è dovuta tutta l'energia di questo film: lunghi, brillanti e articolati, da recitare tutti d'un fiato, senza interruzione e a ritmo sostenuto, come a teatro. E infatti l'intera pellicola può essere paragonata a una pièce teatrale, e in quanto tale gli elementi fondamentali della sua struttura risultano essere la sceneggiatura e le interpretazioni attoriali. Elementi ai quali Danny Boyle si mette al servizio, facendo il poco indispensabile, il giusto per valorizzarli.
A tal proposito, Aaron Sorkin regala uno script formidabile, impeccabile, dal perfetto design strutturale e funzionale, confermando così di essere uno dei migliori sceneggiatori attualmente in circolazione. Egli pone l'accento sul "dietro le quinte" della vita del visionario imprenditore, concentrandosi sull'investimento umano, personale e sentimentale necessario per raggiungere il successo. Quello che emerge è dunque il Jobs-uomo dotato di insicurezze, paure e manie, testardo ed arrogante, "incompatibile" con il resto del mondo ("end-to-end", come i suoi prodotti), prima ancora del Jobs-inventore sicuro di sé, spontaneo e ambizioso, che egli stesso si sforzava di mostrare a tutti. A questo va ad aggiungersi la recitazione sublime da parte di tutti gli attori, su tutti gli strepitosi Michael Fassbender e Kate Winslet. Il primo magnetico ed ipnotico, capace di trasportare lo spettatore all'interno del "mondo", fatto di idee e circuiti, del creatore dell'iPhone; e la seconda irreprensibile e integerrima, a cui è affidato il ruolo morale di portare equilibrio e sedare gli eccessi.
In conclusione, un film di notevole fattura, pregiato e raffinato, il racconto di una delle personalità più importanti della storia recente, di un visionario che aveva la capacità di pensare in modo "differente", di un genio che è stato l'epicentro della rivoluzione digitale che ha cambiato le nostre vite, ma prima di tutto, il ritratto intimo e profondo di un uomo.
Un uomo che aveva come unico obiettivo quello di cambiare il mondo, attraverso i suoi prodotti "perfetti" (esattamente l'opposto di come si considerava lui stesso), ma che, proprio a causa di questo, ha trascurato il "mondo" in cui effettivamente era immerso, un mondo fatto di relazioni umane, un mondo in cui un abbraccio vale più di mille circuiti.
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