greatsteven
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sabato 20 ottobre 2018
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il giornalismo televisivo usa diffamato dal senato
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GOOD NIGHT, AND GOOD LUCK (USA, 2005) diretto da GEORGE CLOONEY. Interpretato da DAVID STRATHAIRN, GEORGE CLOONEY, ROBERT DOWNEY JR., FRANK LANGELLA, ALEX BORSTEIN, DAVID CHRISTIAN, PATRICIA CLARKSON, JEFF DANIELS, REED DIAMOND, TATE DONOVAN, JOSEPH DOWD, SIMON HELBERG, GRANT HESLOV, ROBERT JOHN BURKE, THOMAS MCCARTHY, GLENN MORSHOWER, KATHARINE PHILLIPS MOSER, MATT ROSS, RAY WISE
Negli anni ’40 e ’50, concluso il Secondo Conflitto Mondiale e iniziata la Guerra Fredda, negli Stati Uniti il terrore delle infiltrazioni comuniste era alle stelle. Il senatore del Wisconsin Joseph McCarthy diede dunque il là alla cosiddetta caccia alle streghe, per estirpare quello che era considerato un male capace di minare la stabilità della secolare democrazia liberale più potente al di là dell’Atlantico.
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GOOD NIGHT, AND GOOD LUCK (USA, 2005) diretto da GEORGE CLOONEY. Interpretato da DAVID STRATHAIRN, GEORGE CLOONEY, ROBERT DOWNEY JR., FRANK LANGELLA, ALEX BORSTEIN, DAVID CHRISTIAN, PATRICIA CLARKSON, JEFF DANIELS, REED DIAMOND, TATE DONOVAN, JOSEPH DOWD, SIMON HELBERG, GRANT HESLOV, ROBERT JOHN BURKE, THOMAS MCCARTHY, GLENN MORSHOWER, KATHARINE PHILLIPS MOSER, MATT ROSS, RAY WISE
Negli anni ’40 e ’50, concluso il Secondo Conflitto Mondiale e iniziata la Guerra Fredda, negli Stati Uniti il terrore delle infiltrazioni comuniste era alle stelle. Il senatore del Wisconsin Joseph McCarthy diede dunque il là alla cosiddetta caccia alle streghe, per estirpare quello che era considerato un male capace di minare la stabilità della secolare democrazia liberale più potente al di là dell’Atlantico. Nel 1953 Edward R. Murrow, pioniere della televisione statunitense e stimato giornalista televisivo, alla guida di un programma impegnato dipendente dalla Columbia Broadcasting System, insieme al suo valido ed affiatato gruppo e al produttore Fred Friendly, è sempre alla ricerca di storie interessanti da raccontare. Un giorno il suo studio si ritrova fra le mani il caso del tenente dell’aviazione Milo Radulovich, pilota della Marina sospettato di attività antiamericane e radiato senza aver subito un regolare processo. Murrow si convince che il senatore McCarthy possa avere qualche forte responsabilità in merito e decide di mandare in onda l’inchiesta, scatenando la risposta del parlamentare che lo taccia di comunismo. L’attacco di McCarthy getta benzina sul fuoco, ma gli audaci giornalisti non lo temono e decidono di proseguire ugualmente, conducendo in porto una vittoria difficile ma oltremodo soddisfacente. La sceneggiatura del regista scritta col produttore G. Heslov è al servizio di un irripetibile Straitharn (candidato all’Oscar; e lo avrebbe meritato!) che imbastisce l’interpretazione mirabile di un patriota coraggioso che seppe sfidare un avversario che avrebbe potuto facilmente metterlo nei pasticci e invece trionfò con una determinazione flemmatica e imperterrita. Ispirato, com’è ovvio comprendere, a fatti successi davvero, il film affronta la dura battaglia di Murrow contro McCarthy il quale fu propugnatore della lista di proscrizione contro i presunti comunisti, causando perdite di lavoro, incentivazioni alla delazione e perfino suicidi, il tutto in una pagina drammatica e buia della storia americana. Da americano fin nel midollo spinale, Clooney vuole rendere merito a tutti i giornalisti con la scorza difficile da scalfire perché intende che, come tali, debbano essere ricordati, raccontando dell’ieri con una chiara visione dell’oggi. Alla sua seconda prova registica, si affida ad un bianco e nero (direttore della fotografia: il bravissimo Robert Elswit) che accentua la lucidità quanto il livore di questo episodio che per alcuni anni gettò in uno scompiglio di tensione pronta ad esplodere l’intero Paese. Clooney si ritaglia per sé un ruolo di attore di secondo piano per dare spazio all’ottimo Straitharn che recita con un carisma invidiabile, tenendosi prudentemente sotto le righe e assumendo le responsabilità del suo personaggio perfino nelle espressioni facciali, spesso imperturbabili e significative proprio per il precedente motivo. Fra le altre interpretazioni, spiccano: Langella come il senatore Bill Pelley, colui che finanzia il programma televisivo di Murrow da tempo immemorabile e che alla fine gli cambia giorno di trasmissione e gli aumenta in modo sostanzioso i giorni di proiezione sul piccolo schermo, a costo però di non occuparsi più di politica; e Clarkson e Downey jr., rispettivamente i giornalisti Shirley e Joe Wershba, dei quali il secondo viene licenziato in primis perché due coniugi, secondo il regolamento della CSB, non possono lavorare insieme nel medesimo quotidiano, e in secundis perché Joe è considerato a ragione un simpatizzante comunista con un passato piuttosto attivo di cooperazione. In generale, l’opera riporta indietro nel tempo dimostrando come fosse la televisione poco tempo dopo i suoi stessi esordi: densa di spessore culturale, senza frivolezze celebrative, ampia nel trattare argomenti di una pesantezza pur sempre funzionale e molto più intelligente delle emittenti attuali di tutto il mondo, non solo negli USA, nella sua inarrestabile perseveranza. È anche un gesto d’amore verso il giornalismo, osservato con un occhio magari critico e che strizza sé stesso all’orgoglio nazionalistico che il regista-attore non manca comunque di instillare nel suo opus n°2 – e questa è l’unica pecca –, ma parla di tale mestiere con una verità spiazzante, identificandolo come il quarto potere di wellesiana memoria e adducendo a ragioni tutt’altro che giustificanti per la sua invasività il desiderio impellente di far luce sui misteri senza trascurare nulla, dare per scontato alcunché o lasciare in pasto ai negazionisti le loro opinioni erronee. In una sequenza compare Peter Jacobson, che qualche anno dopo avrebbe interpretato con stabilità il ruolo del chirurgo plastico Christopher Taub in Dr. House – Medical Division.
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luca scial�
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martedì 27 maggio 2014
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idea lodevole e interessante, ma film freddo
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America, anni '50, inizia la Guerra fredda con l'Unione sovietica. Il Senatore McCarthy mette in piedi un sistema di controllo e persecuzione di politici, giornalisti, militari e funzionari di qualsiasi settore minimamente sospettati di collaborare o essere simpatizzanti col comunismo. La Cbs, mediante i servizi del presentatore Ed Murrow, decide di occuparsi del caso, accusando il senatore per il suo operato, che passerà alla storia come mccartismo. Il coraggio della redazione, del direttore e dell'editore del canale, porterà ad alcune inevitabili conseguenze, anche drammatiche.
Dopo l'esordio col film drammatico Confessioni di una mente pericolosa, George Clooney ci riprova dietro la cinepresa con una pellicola impegnata, su un argomento storico scottante e scomodo per gli americani.
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America, anni '50, inizia la Guerra fredda con l'Unione sovietica. Il Senatore McCarthy mette in piedi un sistema di controllo e persecuzione di politici, giornalisti, militari e funzionari di qualsiasi settore minimamente sospettati di collaborare o essere simpatizzanti col comunismo. La Cbs, mediante i servizi del presentatore Ed Murrow, decide di occuparsi del caso, accusando il senatore per il suo operato, che passerà alla storia come mccartismo. Il coraggio della redazione, del direttore e dell'editore del canale, porterà ad alcune inevitabili conseguenze, anche drammatiche.
Dopo l'esordio col film drammatico Confessioni di una mente pericolosa, George Clooney ci riprova dietro la cinepresa con una pellicola impegnata, su un argomento storico scottante e scomodo per gli americani. Si affida a un buon cast e al bianco e nero che da' una parvenza del periodo in cui esso è contestualizzato: gli anni '50. Il quale però sembra più un effetto speciale, per non dire ruffianata, per colmare un vuoto registico. Infatti il risultato finale appare freddo e poco coinvolgente emotivamente, un pò come accadde per un altro film su un altro scandalo americano, il Watergate: Tutti gli uomini del Presidente. L'idea è apprezzabile, ma da sola non basta.
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no_data
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lunedì 14 aprile 2014
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due palle
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ha vinto l'oscar davvero?
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ultimoboyscout
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sabato 11 dicembre 2010
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il film più noioso della storia.
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Piatto. Scarno. Pratico. E un piccolo record almeno per me ce l'ha: ero in un piccolo cinema a vederlo a circa un mese dalla sua uscita. A metà primo tempo mi rendo conto che tutti, e dico tutti gli spettatori dormono, compresa la mia dolce metà seduta alla mia destra e solo io, decisamente annoiato, lo sto guardando, cercando di farmi forza e coraggio. A fine primo tempo si accendono le luci e tutti di scatto aprono gli occhi commentando come dei critici o dei grandi esperti il film, decantandone sconosciute (a loro sicuramente) lodi. Ecco questa è stata l'unica parte divertente...e ho detto tutto. Irritante.
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(di dottie)
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paride86
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lunedì 25 ottobre 2010
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molto attuale
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Davvero un bel film, questo di George Clooney regista.
Con un sofisticato bianco e nero racconta la missione e gli scrupoli di un famoso giornalista americano. Le battaglie sue e del suo staff sono, in realtà, una metafora per raccontare il mondo di chi si occupa dell'informazione, ponendo l'accento sulle caratteristiche che deve avere l'informazione in un paese che si definisce democratico.
E' un tema scottante e sempre attuale; Clooney lo affronta con eleganza e raffinatezza, sia per ciò che riguarda i contenuti che per la confezione.
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davidestanzione
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martedì 10 agosto 2010
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america ieri : good night, and good fuck.
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Se per il suo (imperfetto, ma stuzzichevole) esordio dietro la macchina da presa, "Confessioni di una mente pericolosa", si era avvalso della briosamente ipercreativa penna del funambolico Charlie Kaufman, qui invece, per la sua ispiratissima, raffinata, fumosamente sbrilluccichevole seconda regia, dal lapidario, pregnante, esemplificativo titolo odoroso di mantra similprofetico ("Buona notte. E buona fortuna". Appunto.) il beautiful boy George gioca in casa, cosceneggia con l'amicone Grant Heslov e si affida alla solida produzione esecutiva del compagno di merende Steven Soderbergh.Ne vien fuori un film "pacatamente feroce" che, corrosivamente pervaso da una stretta, di fatto sempiterna e polivalente attualità, digrigna i denti contro il rabbuiato, depauperante oscurantismo dell'America maccartista, degli anni della caccia alle streghe e manco a dirlo (complice un organico, vien da dire sinergico arrontondamento per eccesso) dei sistemi politico-ideologici "arroccatamente retrogradi", in generale.
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Se per il suo (imperfetto, ma stuzzichevole) esordio dietro la macchina da presa, "Confessioni di una mente pericolosa", si era avvalso della briosamente ipercreativa penna del funambolico Charlie Kaufman, qui invece, per la sua ispiratissima, raffinata, fumosamente sbrilluccichevole seconda regia, dal lapidario, pregnante, esemplificativo titolo odoroso di mantra similprofetico ("Buona notte. E buona fortuna". Appunto.) il beautiful boy George gioca in casa, cosceneggia con l'amicone Grant Heslov e si affida alla solida produzione esecutiva del compagno di merende Steven Soderbergh.Ne vien fuori un film "pacatamente feroce" che, corrosivamente pervaso da una stretta, di fatto sempiterna e polivalente attualità, digrigna i denti contro il rabbuiato, depauperante oscurantismo dell'America maccartista, degli anni della caccia alle streghe e manco a dirlo (complice un organico, vien da dire sinergico arrontondamento per eccesso) dei sistemi politico-ideologici "arroccatamente retrogradi", in generale. Per poi scagliarsi infine, giustappunto prima del lapidario stacco (ricamato sul titolo), con filologia pedissequamente pasoliniana e dunque inevitabilmente avversa all’assolutizzazione tecnologica della nostra era, contro la tv spersonalizzata, spersonalizzante, falsamente illusoria, custode di cittadini intorpiditi e di atavici, ovattati miraggi incantatori che semplicisticamente confluiscono in quella grande bufala che è “il sogno americano”. Perché d’altronde, come afferma l'anchorman della Cbs Edward R.Murrow (David Strathairn, Coppa Volpi a Venezia) "la tv é solo un inutile groviglio di fili e valvole, se non siamo coscienti dell'uso che ne facciamo".Ammantando il suo film di un'estetica fotografica retro&ad alto tasso di (suggestiva) rievocazione storica, Clooney sciorina una regia classica, impeccabile, solidamente supportata da un script rigonfiato da una verbalità (in)calzante, puntellata ad hoc, con i giusti picchi innalzanti e le (inevitabili) calate di tono.La messa in scena sontuosamente "fittizia" (il cast é così ben amalgamato che un po' tutti sembrano svettare:da Robert Downey jr a Patricia Clarkson, passando per Frank Langella, Jeff Daniels e lo stesso Clooney) è poi inframmezzata da squarci documentaristici (maccartiani), che apportano il valore aggiunto della veridicità "tattile", rigorosamente non artefatta.Il pluripremiato "Good Night and Good Luck" (6 Nomination agli Academy Award e sommi plausi a Venezia, tra cui il Premio Osella per la miglior sceneggiatura alla premiata ditta "ammazzacapre" Clooney-Heslov) si ritaglia un suo magari anche piccolo, ma di sicuro non opalescente e in termini di immaginario collettivo quasi invidiabile cantuccio nella postmoderna età celluloidale, alla luce di una scandagliante, ambiziosa autoanalisi storica (peraltro in merito a uno dei momenti più ombrosamente controversi della storia americana) di fatto terribilmente efficace e per di più "a partire" da una personalità cinematografica che fino a prima di questa folgorante fatica registica aveva legato la sua fama all'avviluppante immagine del belloccio hollywoodiano, magari anche mediamente camaleontico, ma pur sempre belloccio.E invece Clooney si dimostra cantore cinematografico autentico al di là della semplice, autoimprovvisata elevazione a direttore d'orchestra (al momento bruscamente arrestasi, anche se le gloriose premesse c'erano tutte). E' magari sottilmente banale dirlo, ma se non esistesse, ci toccherebbe proprio cloonarlo.
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cindowen
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giovedì 11 marzo 2010
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bellissimo
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Un film coraggioso, che narrando la campagna giornalistica promossa da Edward Murrow contro il maccartismo, ci riporta all'informazione addomesticata cui oggi siamo abituati, facendo riflettere con una certa amarezza ma instillando anche qualche goccia di speranza. L'uso del bianco e nero ci proietta direttamente negli anni '50, focalizzando l'attenzione sulla narrazione. Bellissima l'idea di narrare/ricostruire il programma radiofonico nei suoi minuti particolari e di usare i filmati di repertorio in cui compare il senatore McCarthy, la sceneggiatura è scarna ed essenziale, veristica, la scenografia quanto mai fedele (chi ha lavorato nell'ambiente radiofonico in tempi non recenti è in grado di apprezzarlo), niente fronzoli, citazioni o ruffianerie, ottimi gli attori.
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Un film coraggioso, che narrando la campagna giornalistica promossa da Edward Murrow contro il maccartismo, ci riporta all'informazione addomesticata cui oggi siamo abituati, facendo riflettere con una certa amarezza ma instillando anche qualche goccia di speranza. L'uso del bianco e nero ci proietta direttamente negli anni '50, focalizzando l'attenzione sulla narrazione. Bellissima l'idea di narrare/ricostruire il programma radiofonico nei suoi minuti particolari e di usare i filmati di repertorio in cui compare il senatore McCarthy, la sceneggiatura è scarna ed essenziale, veristica, la scenografia quanto mai fedele (chi ha lavorato nell'ambiente radiofonico in tempi non recenti è in grado di apprezzarlo), niente fronzoli, citazioni o ruffianerie, ottimi gli attori. C'è poco altro da dire, bisogna vederlo. Decisamente raffinato.
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fabrizio cirnigliaro
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martedì 2 febbraio 2010
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la fabbrica del consenso
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Clooney, figlio di giornalista, decide di realizzare un film, girato durante il primo mandato dell’allora presidente Bush, per denunciare l’assopimento dei media, troppo accondiscendenti nei confronti dei politici e dei “poteri forti”. La pellicola è girata in bianco e nero, vi sono inseriti dei servizi televisivi originali degli anni 50, infatti nessun attore interpreta McCharty, Clooney utilizza materiale originale di repertorio. Good Night Good Luck è un atto di accusa contro la Tv, perché la storia ha già “giudicato” l’operato di McCarthy, ma anche coloro che fanno televisione verranno giudicati un giorno. Il film si apre e si chiude con un discorso che Murrow tiene ad un gruppo di colleghi in occasione del ritiro di un premio, in cui il giornalista denuncia le “colpe” di un giornalismo e di una televisione, distante dalla realtà del paese, utilizzata per distrarre e divertire la gente, non per informare, per dare le notizie “scomode”, spiacevoli.
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Clooney, figlio di giornalista, decide di realizzare un film, girato durante il primo mandato dell’allora presidente Bush, per denunciare l’assopimento dei media, troppo accondiscendenti nei confronti dei politici e dei “poteri forti”. La pellicola è girata in bianco e nero, vi sono inseriti dei servizi televisivi originali degli anni 50, infatti nessun attore interpreta McCharty, Clooney utilizza materiale originale di repertorio. Good Night Good Luck è un atto di accusa contro la Tv, perché la storia ha già “giudicato” l’operato di McCarthy, ma anche coloro che fanno televisione verranno giudicati un giorno. Il film si apre e si chiude con un discorso che Murrow tiene ad un gruppo di colleghi in occasione del ritiro di un premio, in cui il giornalista denuncia le “colpe” di un giornalismo e di una televisione, distante dalla realtà del paese, utilizzata per distrarre e divertire la gente, non per informare, per dare le notizie “scomode”, spiacevoli. “Cosa succederebbe se un milione di persone fosse più informato su argomenti che potrebbero determinare il futuro di questo paese?” Questa è la domanda che si pone Murrow, quesito che oggi giorno è molto attuale, anche in Italia dove il giornalista, ogni giorno che passa, diventa sempre più una persona il cui unico compito è quello di tenere in mano un microfono. Un operaio in questa fabbrica del consenso. Ma anche con il silenzio si è complici.
Quelli che credono nel loro lavoro di giornalisti in Italia non godono di molta popolarità, almeno da parte di chi governa questo paese. Alcuni sono stati attaccati personalmente da giornali di proprietà del Primo Ministro, basti pensare a Boffo, ad altri invece è stata tolta la copertura legale dalla rai, La Gabanelli e la trasmissione Report, nonostante non abbiano mai perso una causa in tribunale.
Non posso accettare che per ogni storia ci siano 2 versioni ugualmente valide Marrow critica in questo modo quei servizi “sandwich” che sono invece la normalità in Italia, dove ogni servizio prevede l’alternarsi dei commenti dei politici di entrambi gli schieramenti. Parlare di libertà di stampa in Italia oggi non è un azzardo. Il 24 Luglio si è tenuto il primo sciopero dei blogger, per via del decreto…, molti giornalisti prima di pubblicare un articolo devono valutare le conseguenze che queste possono avere nella loro vita privata, motivo per cui spesso si ha un auto censura, per non andare incontro a dei problemi, quasi sempre sono disposti a piegare la schiena.
Come ha detto Saviano, non manca la libertà di stampa, ma la serenità di stampa “La libertà di poter lavorare serenamente, è una libertà ulteriore che una democrazia deve rispettare. Devi sapere che ciò che scrivi non ti costringerà a pagare con la tua vita quotidiana. Quando questo accade, qualcosa sta scricchiolando”.
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ciacci�
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giovedì 2 luglio 2009
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un film piu che deludente
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sarò breve ma coincisa:UN FILM.....DUE PALLE!
[+] uno spettro s''aggira ovunque...
(di dottie)
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mik
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lunedì 7 luglio 2008
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clooney tra libertà e retorica
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E' un film girato in un bianco e nero che più azzeccato non poteva essere, che riesce a rendere l'atmosfera degli anni 50 alla perfezione parlando di temi delicati e fondamentali come la libertà di stampa, il nesso tra giornalismo e democrazia, dissenso e censura. Temi attuali (in italia particolarmente) che Clooney ha il merito di portare sullo schermo riuscendo a non essere mai noioso ne ad appesantire troppo la trama ( a tal proposito sono memorabili gli "stacchetti" musicali, una vera chicca!). Se bisogna trovargli un difetto, è forse nel discorso retorico che il film vuole portare avanti, rivendicando con forza (anche troppa) quei valori fondanti della cultura americana cari al regista, che rendono il film eccessivamente americanizzato, e che è veramente l'unico elemento che rischia di renderlo un pò indigesto.
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