... Ma colui che non combatte ha già perso
Dopo la parentesi, se così si può chiamarla, di Una vie, Brizé ritorna ad affrontare tematiche affini a quelle del suo La legge del mercato, costruendo un film del reale talmente efficace da lasciar faticosamente spazio a critiche che non si rivelino pretestuose.
Ciò, ovviamente, non significa che si tratti di un film perfetto, ma di certo ricorda la tradizione del cinema civile migliore (risultando più convincente anche del comunque rimarchevole ultimo film di Loach, Io, Daniel Blake), e riesce a rendere presenti allo spettatore tutta una serie di istanze senza per questo praticamente mai risultare didascalico o eccessivamente predicatorio.
Restituisce indubbiamente il senso e l’urgenza di una lotta ed, insieme, la crescente disperazione di chi si trova costretto a considerare di poter perdere tutto. Ancora, con una certa compartecipazione e ingenerando nello spettatore una certa rabbia, mostra senza mezzi termini il muro contro cui ci si trova a scontrarsi nel tentativo di rivendicare semplicemente un diritto sacrosanto (quello al lavoro, ma di più al lavoro ben remunerato, tutelato e non annichilente). Infine, non manca di evidenziare i meccanismi via via sempre più sottili per tramite dei quali la proprietà, l’azienda, riesce a far mantenere il proprio volere, riuscendo addirittura, con il banale rifiuto di trattare, a dividere i dimostranti stessi (il tutto rappresentato in una serie di scene dalla tensione montante che culminano nel tragico, forse eccessivamente melodrammatico, ma certamente efficace, duro e sconvolgente finale).
Forse il messaggio è talvolta un po’ troppo “urlato”, trasmesso senza particolari sottigliezze o lessicali o filosofiche, ma proprio per questo arriva forte e chiaro.
Rimane sempre lecito dubitare del fatto che il cinema possa effettivamente contribuire a cambiare il mondo o quantomeno ad accrescere la consapevolezza, a sensibilizzare al riguardo di certe, vitali, tematiche; e non rischi invece di finire per “predicare ai già convertiti”, mentre coloro che magari trarrebbero maggior giovamento dalla sua visione non avranno mai occasione di vederlo effettivamente, ma questo in alcun modo costituisce un argomento a sfavore della realizzazione di film come questo In guerra (il cui titolo è già di per sé più che eloquente, al pari della citazione iniziale di Brecht). Anzi. Qualora riuscisse a far aprire gli occhi sullo stato delle cose anche ad una sola persona o ad una sola, ristretta, cerchia di persone, potrà a ragione ritenere di aver assolto appieno al suo compito. E, in tal caso, probabilmente a ritenersi soddisfatto sarebbe anche il regista in persona.
Che ha saputo costruire un film serratissimo e avvincente, aiutato in questo naturalmente da un immenso Lindon, che offre una prova memorabile, circondato per altro da uno stuolo di attori non professionisti altrettanto convincenti. Ma da non dimenticare sono anche i fondamentali apporti resi dalla fotografia e, in particolare, dalla colonna sonora.
In concorso a Cannes (dove a vincere la Palma d’Oro sarà poi l’altrettanto eccezionale Un affare di famiglia, di Kore-eda), In guerra è un film necessario, mai così attuale e, di conseguenza, mai così significativo.
[+] lascia un commento a laurence316 »
[ - ] lascia un commento a laurence316 »
|