laurence316
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martedì 9 aprile 2019
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colui che combatte può perdere...
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... Ma colui che non combatte ha già perso
Dopo la parentesi, se così si può chiamarla, di Una vie, Brizé ritorna ad affrontare tematiche affini a quelle del suo La legge del mercato, costruendo un film del reale talmente efficace da lasciar faticosamente spazio a critiche che non si rivelino pretestuose.
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... Ma colui che non combatte ha già perso
Dopo la parentesi, se così si può chiamarla, di Una vie, Brizé ritorna ad affrontare tematiche affini a quelle del suo La legge del mercato, costruendo un film del reale talmente efficace da lasciar faticosamente spazio a critiche che non si rivelino pretestuose.
Ciò, ovviamente, non significa che si tratti di un film perfetto, ma di certo ricorda la tradizione del cinema civile migliore (risultando più convincente anche del comunque rimarchevole ultimo film di Loach, Io, Daniel Blake), e riesce a rendere presenti allo spettatore tutta una serie di istanze senza per questo praticamente mai risultare didascalico o eccessivamente predicatorio.
Restituisce indubbiamente il senso e l’urgenza di una lotta ed, insieme, la crescente disperazione di chi si trova costretto a considerare di poter perdere tutto. Ancora, con una certa compartecipazione e ingenerando nello spettatore una certa rabbia, mostra senza mezzi termini il muro contro cui ci si trova a scontrarsi nel tentativo di rivendicare semplicemente un diritto sacrosanto (quello al lavoro, ma di più al lavoro ben remunerato, tutelato e non annichilente). Infine, non manca di evidenziare i meccanismi via via sempre più sottili per tramite dei quali la proprietà, l’azienda, riesce a far mantenere il proprio volere, riuscendo addirittura, con il banale rifiuto di trattare, a dividere i dimostranti stessi (il tutto rappresentato in una serie di scene dalla tensione montante che culminano nel tragico, forse eccessivamente melodrammatico, ma certamente efficace, duro e sconvolgente finale).
Forse il messaggio è talvolta un po’ troppo “urlato”, trasmesso senza particolari sottigliezze o lessicali o filosofiche, ma proprio per questo arriva forte e chiaro.
Rimane sempre lecito dubitare del fatto che il cinema possa effettivamente contribuire a cambiare il mondo o quantomeno ad accrescere la consapevolezza, a sensibilizzare al riguardo di certe, vitali, tematiche; e non rischi invece di finire per “predicare ai già convertiti”, mentre coloro che magari trarrebbero maggior giovamento dalla sua visione non avranno mai occasione di vederlo effettivamente, ma questo in alcun modo costituisce un argomento a sfavore della realizzazione di film come questo In guerra (il cui titolo è già di per sé più che eloquente, al pari della citazione iniziale di Brecht). Anzi. Qualora riuscisse a far aprire gli occhi sullo stato delle cose anche ad una sola persona o ad una sola, ristretta, cerchia di persone, potrà a ragione ritenere di aver assolto appieno al suo compito. E, in tal caso, probabilmente a ritenersi soddisfatto sarebbe anche il regista in persona.
Che ha saputo costruire un film serratissimo e avvincente, aiutato in questo naturalmente da un immenso Lindon, che offre una prova memorabile, circondato per altro da uno stuolo di attori non professionisti altrettanto convincenti. Ma da non dimenticare sono anche i fondamentali apporti resi dalla fotografia e, in particolare, dalla colonna sonora.
In concorso a Cannes (dove a vincere la Palma d’Oro sarà poi l’altrettanto eccezionale Un affare di famiglia, di Kore-eda), In guerra è un film necessario, mai così attuale e, di conseguenza, mai così significativo.
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vanessa zarastro
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venerdì 16 novembre 2018
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en lutte
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“En guerre” – in originale - è un film militante, impegnato e impegnativo, che tratta delle lotte operaie dei lavoratori della fabbrica Perrin ad Agen, capoluogo di Lot-et-Garonne nel Sud Ovest della Francia. La fabbrica sta per essere chiusa per essere delocalizzata in Romania e 1100 lavoratori stanno per essere licenziati, in una Regione economicamente in crisi.
La fabbrica fa parte di un gruppo tedesco che aveva firmato un accordo con i lavoratori dove garantiva cinque anni di occupazione a fronte di una riduzione salariale, ma dopo due anni la proprietà non ha mantenuto fede al contratto.
Laurent Amedeo (interpretato da Vincent Lindon), è un operaio militante e un rappresentante del sindacato CGT, fermamente intenzionato a non far chiudere la fabbrica e a non perdere il lavoro.
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“En guerre” – in originale - è un film militante, impegnato e impegnativo, che tratta delle lotte operaie dei lavoratori della fabbrica Perrin ad Agen, capoluogo di Lot-et-Garonne nel Sud Ovest della Francia. La fabbrica sta per essere chiusa per essere delocalizzata in Romania e 1100 lavoratori stanno per essere licenziati, in una Regione economicamente in crisi.
La fabbrica fa parte di un gruppo tedesco che aveva firmato un accordo con i lavoratori dove garantiva cinque anni di occupazione a fronte di una riduzione salariale, ma dopo due anni la proprietà non ha mantenuto fede al contratto.
Laurent Amedeo (interpretato da Vincent Lindon), è un operaio militante e un rappresentante del sindacato CGT, fermamente intenzionato a non far chiudere la fabbrica e a non perdere il lavoro. Laurent è un uomo appassionato, tutto d'un pezzo, indignato, che considera lo sciopero l'unico strumento valido a difesa dell’impiego dei compagni e della loro dignità. Guida le manifestazioni di piazza, cerca con caparbietà un incontro con i rappresentati del Governo prima, poi con il sig. Hauser, l’amministratore delegato dell’azienda che continua a negarsi.
Il Tribunale presso il quale gli operai si erano rivolti ha dato ragione alla proprietà e dopo mesi di battaglie il comitato di lotta, che vede sigle sindacali diverse, inizia a disunirsi fomentato anche da offerte di buonuscita allettanti da parte del gruppo aziendale. Laurent riuscirà a ricucire le discordie e a ottenere un incontro presso il Governo.
Nel film c’è poco spazio per i sentimenti individuali, i più evidenti sono la speranza prima, la rabbia e la delusione poi per un accordo saltato, e la preoccupazione per l’incertezza del futuro. La conclusione del film è molto dura e non fornisce alcune possibilità, nessuno spiraglio e Amedeo si dimostrerà un uomo tutto di un pezzo, duro e puro.
Tutto il film è incentrato su picchetti, riunioni discussioni e manifestazioni. Non c’è spazio per il privato. Si intuiscono le difficoltà economiche delle famiglie in sciopero e qua e là problemi di coppia nel periodo delle battaglie. Amedeo ha una figlia incinta e una ex moglie cui ha lasciato la casa, di più non si saprà. Il film è ossessivo, ipnotico, claustrofobico, e comunica un senso d’intrappolamento e inesorabilità
Sembrerebbe che l’obiettivo di Stéphan Brizé sia quello di essere considerato il Ken Loach francese. Infatti, aveva già diretto un altro film, “La legge del mercato” nel 2015, sempre con il bravissimo Vincent Lindon nella parte di Thierry un uomo cinquantenne impegnato nell'affannosa e umiliante ricerca di un nuovo impiego. Tra agenzie di collocamento, corsi di formazione inutili, colloqui degradanti, Thierry compie una corsa contro il tempo con la speranza di poter continuare a sostenere la famiglia, gli studi e le cure necessarie al figlio affetto da paralisi cerebrale.
L’anno dopo Stéphan Brizé ha diretto “Une vie”, film tratto dal romanzo di Guy de Maupassant, dove la sceneggiatura ne livellava le premesse, le spiegazioni, gli antefatti mostrando solo l’essenza dei fatti e i loro effetti.
Così il film “In guerra” è privo di orpelli: nella Francia di oggi si va a trattare, così come allora, non c’è il populismo, non ci sono le derive xenofobe, ma c’è la crisi dell’occupazione, la perdita del lavoro che se ne va in zone del mondo più convenienti e meno costose.
Così in nuovocinemalocatelli.com: «…[L’assenza del lavoro è una] questione lancinante che preme sulle esistenze e le cambia e reindirizza e devasta, trattata stavolta da Stéphane Brizé in una sorta di film-manifesto, di storia esemplare che ne riassume infinite altre capitate qua e là nell’Europa della deindustrializzazione e della delocalizzazione. Ma dire, come ho sentito dopo la proiezione a Cannes, che Brizé ricalca se stesso e che già tutto stava in La legge del mercato, dove un cinquantenne colpito da disoccupazione era costretto a reinventarsi la vita, è un abbaglio. In guerra non racconta una storia ma storie plurime che si intrecciano lungo un asse narrativo che ingloba e sovrasta le individualità, e lo fa con una forma cinema e uno stile assai audaci che mimano e riproducono i linguaggi visivi caotici e informi delle news tv, di youtube, dei video postati sui social e spediti via whatsapp. Qualcosa che porta In guerra molto al di là dei tanti film sulla stessa questione» scrive Luigi Locatelli.
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cardclau
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domenica 25 novembre 2018
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arbeit macht frei
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Nel film In Guerra Stéphane Brizé torna a trattare il tema del lavoro. Perdiana, non ascoltatelo, si permette di dire certe cose, è un uomo pericoloso! State tranquilli, niente ingiustificate inquietudini, accendete la televisione e guardatevi rilassati l’ultima puntata del grande fratello. Questo Stéphane Brizé è un veterocomunista! Dal dizionario Treccani: veterocomunismo s. m. [comp. di vetero- e comunismo]. “Nel linguaggio politico, comunismo di impostazione ideologica e operativa ormai vecchia e superata, non più adeguato alla situazione moderna”. Inoltre è sicuramente di parte, lui francese, se la prende con una multinazionale tedesca, la quale, poveretta, obbedisce suo malgrado solo alle leggi del mercato, e alle lecite aspirazioni degli investitori.
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Nel film In Guerra Stéphane Brizé torna a trattare il tema del lavoro. Perdiana, non ascoltatelo, si permette di dire certe cose, è un uomo pericoloso! State tranquilli, niente ingiustificate inquietudini, accendete la televisione e guardatevi rilassati l’ultima puntata del grande fratello. Questo Stéphane Brizé è un veterocomunista! Dal dizionario Treccani: veterocomunismo s. m. [comp. di vetero- e comunismo]. “Nel linguaggio politico, comunismo di impostazione ideologica e operativa ormai vecchia e superata, non più adeguato alla situazione moderna”. Inoltre è sicuramente di parte, lui francese, se la prende con una multinazionale tedesca, la quale, poveretta, obbedisce suo malgrado solo alle leggi del mercato, e alle lecite aspirazioni degli investitori. Cosa sarà mai se nel processo devono essere sacrificati 1100 schiavi, ops, volevo dire lavoratori? Intanto cita Bertold Brecht: “un uomo che lotta può perdere, un uomo che non lotta ha già perso”. Poi riprende Karl Marx che osserva che gli imprenditori si sbranano a vicenda, senza esclusione di colpi, per il profitto, ma sono incredibilmente uniti quando si tratta di essere contro i lavoratori. Inoltre si permette di suggerire che anche la legge sta un pochino dalla parte del potere. Ma non ci hanno insegnato che la legge è uguale per tutti? E si permette di mormorare che anche la classe politica al potere è un tantino serva di chi detiene il potere economico. Intanto per incominciare, vediamo cosa dicono le diverse costituzioni nazionali. Dall’articolo 1 della Costituzione Italiana: “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Dalla Costituzione Francese: “… ognuno ha il dovere di lavorare e il diritto di ottenere un’occupazione. Nessuno può essere danneggiato, nel suo lavoro o nel suo impiego, a causa delle sue origini, opinioni o credenze. La Costituzione Tedesca (1949), articolo 9, comma 3: “Il diritto di formare associazioni per la conservazione ed il miglioramento delle condizioni di lavoro ed economiche è garantito per ogni individuo e per tutte le professioni. Accordi che cerchino di limitare o impedire questo diritto sono nulli, e illegali sono i provvedimenti diretti a tale scopo. Non è chiaro cosa succeda nella civilissima Gran Bretagna, ma a vedere l’ultimo film di Ken Loach, Io Daniel Blake, per carità di parte, uno ha il sospetto che non sia tutto immacolato e che abbiano gli stessi nostri problemi, indipendentemente dalla nazionalità. La povertà uno svantaggio. Il sindacalista Laurent Amédéo (l’ottimo Vincent Lindon) porta alle estreme conseguenze quello che afferma Bertold Brecht: “un uomo che lotta può perdere …”. Lui perde tutto, ma vince tutto.
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fabiofeli
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martedì 20 novembre 2018
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il rispetto dei patti e le "ragioni" del profitto
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IN GUERRA di Stéphane Brizé
Laurent (lo straordinario Vincent Lindon) è un sindacalista della CGT, organizzazione francese analoga alla CGIL italiana, che fronteggia il direttore di una azienda metalmeccanica, la Perrin, che appartiene al gruppo multinazionale tedesco Dinke: la Perrin non rispetta il patto di un accordo firmato 2 anni prima e vuole spostare la produzione in Romania, chiudendo gli stabilimenti in Aquitania (Sud Ovest della Francia).
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IN GUERRA di Stéphane Brizé
Laurent (lo straordinario Vincent Lindon) è un sindacalista della CGT, organizzazione francese analoga alla CGIL italiana, che fronteggia il direttore di una azienda metalmeccanica, la Perrin, che appartiene al gruppo multinazionale tedesco Dinke: la Perrin non rispetta il patto di un accordo firmato 2 anni prima e vuole spostare la produzione in Romania, chiudendo gli stabilimenti in Aquitania (Sud Ovest della Francia). L’accordo precedente prevedeva che il lavoro sarebbe continuato per almeno 5 anni con la contropartita di 5 ore in più a settimana per operaio a parità di salario. Pur di non perdere il lavoro gli operai avevano accettato l’accordo-capestro a tutto vantaggio dei congrui dividendi degli azionisti della Dinke. I tentativi di Laurent di far rispettare il patto, nonostante l’iniziale fermezza dei 1100 operai e l’alleanza con quelli dello stesso gruppo in una fabbrica vicina si scontra con “le ragioni” del profitto …
Chi ha presentato il film come “La Legge del Mercato. 2” , giudicandolo una inutile coda per il fatto che regista e attore principali sono gli stessi del film di tre anni fa, sbaglia. Il modo di filmare e il ritmo di In Guerra, ora lento, ora precipitoso sono completamente diversi. C’è un uso massiccio di telegiornali (costruiti, è ovvio) e di filmati simili a quelli “postati” su youtube, convulsi e confusi: manifestazioni sindacali, picchetti, sgomberi, scontri sono di una verosimiglianza perfetta. Il tutto è alternato a brevi accenni sulle situazioni personali di alcuni protagonisti, quasi fossero mascherati da una sorta di pudore; Brizé vuole focalizzare tutto sullo scontro tra chi rinnega canagliescamente la firma sull’accordo e chi ne chiede il rispetto. L’effetto è quello di comunicare che è ineluttabile che la situazione claustrofobica ed oppressiva si concluda male come in un incubo. Il fronte operaio si sfalda. Ricordate gli accordi separati già verificatisi, anche in Italia, in diversi settori industriali? La spaccatura tra chi spera di limitare i danni già subiti e la perdita del lavoro con una liquidazione che neanche copre i costi già sopportati con il taglio di salario e chi non transige si allarga. Chiedere il rispetto dei patti è il rifiuto di essere considerati una merce di nessun valore, uomini inferiori, non-uomini; si può dare torto a chi ha solo la sua occupazione per vivere mantenendo se stesso e la sua famiglia? Se si perde il lavoro, si perde tutto: la dignità, l’autostima e il rispetto di se stessi; a volte la vita stessa. Citiamo due soli film precedenti che ci hanno commosso, con il tema della perdita del lavoro, ma con situazioni e sviluppo abbastanza differenti: Due giorni, Una notte dei fratelli Dardenne con Marion Cotillard (2014) e Io, Daniel Blake di Ken Loach (2016, Palma d’oro a Cannes).
La storia inventata da Brizé va in scena sempre più spesso nel mondo industrializzato e purtroppo è già accaduta e continua ad accadere con una tale frequenza che chi non è direttamente coinvolto, dimentica e rimuove quasi si trattasse di una fatalità ineluttabile. Questo film angosciante ha il merito di indurre al ricordo e alla riflessione: da non mancare.
Valutazione *** e ½
FabioFeli
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flyanto
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giovedì 22 novembre 2018
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lottando per il proprio lavoro
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Torna al cinema, dopo “La Legge del Mercato”, nuovamente la coppia Stephane Brizé e Vincent Lindon con il film “In Guerra” dove, ancora una volta viene affrontato un tema sociale e, precisamente, quello dello sciopero, sfociato in rivolta, degli operai di una fabbrica, minacciati di un quanto mai prossimo e certo licenziamento.
L’attore Vincent Lindon interpreta il capo di un movimento sindacale che guida, appunto, alla contestazione gli operai di una fabbrica di componenti automobilistici la quale intende chiudere definitivamente i battenti poichè non riesce a far fronte alla concorrenza, nonostante la produzione degli ultimi due anni risulti positiva per l’azienda, e nonostante la precedente promessa fatta ai dipendenti della certezza del lavoro per cinque anni.
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Torna al cinema, dopo “La Legge del Mercato”, nuovamente la coppia Stephane Brizé e Vincent Lindon con il film “In Guerra” dove, ancora una volta viene affrontato un tema sociale e, precisamente, quello dello sciopero, sfociato in rivolta, degli operai di una fabbrica, minacciati di un quanto mai prossimo e certo licenziamento.
L’attore Vincent Lindon interpreta il capo di un movimento sindacale che guida, appunto, alla contestazione gli operai di una fabbrica di componenti automobilistici la quale intende chiudere definitivamente i battenti poichè non riesce a far fronte alla concorrenza, nonostante la produzione degli ultimi due anni risulti positiva per l’azienda, e nonostante la precedente promessa fatta ai dipendenti della certezza del lavoro per cinque anni. Così il protagonista, guidando l’intero gruppo del personale operaio, si muove alla ricerca di un confronto verbale con i vari dirigenti dell’azienda al fine di ottenere un accordo soddisfacente, confronto che per svariate ragioni viene sempre o rimandato od alla fine ottenuto ma con esiti inconcludenti in quanto inaccettabili. Cosicchè si assiste alla sempre più crescente tensione tra il gruppo operaio e quello dirigenziale come anche alla spaccatura all’interno dello stesso primo gruppo, dove alcuni elementi preferiranno ‘allontanarsi’ dalla parte restante conducendo a loro modo la contestazione ed accettando soluzioni palliative e ben lontane da quelle prefisse della rivolta iniziale. Il tragico epilogo riuscirà a smuovere la situazione.
Come “La Legge del Mercato”, anche “In Guerra” è un film crudo e, purtroppo, quanto mai realistico che affronta ancora una volta la difficile ed attuale problematica concernente il mondo del lavoro e la sua crisi. Il titolo, “In Guerra”, (tradotto esattamente uguale all’originale francese) denota già di per sè l’alta drammaticità della situazione presentata sullo schermo dove la vicenda, nel suo svolgersi, si snoda in un crescendo sempre più elevato di tensione, di drammaticità e di violenza sino a scaturire nella tragicità assoluta del gesto finale del protagonista, che qui è bene non rivelare per non togliere l’effetto sorpresa allo spettatore. Per il regista Brizé che ben conosce ed ha profondamente analizzato in molte sue pellicole la problematica della chiusura delle aziende ed il conseguente licenziamento della classe operaia, non vi è soluzione, se non quella di un gesto estremo al fine di risvegliare le coscienze e, forse, di poter risolvere qualcosa al meglio. Nel film, dividendo su due schieramenti, come, appunto, due eserciti opposti in un conflitto bellico, le due fazioni, la classe operaia da una parte e quella dirigente dall’altra, Brizé in maniera del tutto obiettiva e realistica mette in evidenza ed allo stesso tempo denuncia soprattutto la mancanza di dialogo tra esse e soprattutto le differenti motivazioni di ognuna di loro che le inducono ad agire in un determinato modo a proprio favore. La precisa, lucida, e sempre più incalzante regia del regista francese, racchiusa, peraltro, in una tempistica ottimale, rende la pellicola molto avvincente ed interessante evitando così di cadere in una ridondanza di avvenimenti e di violenza eccessiva che potrebbero inevitabilmente condurre alla noia a discapito anche del messaggio trasmesso. Del resto, Brizé è un maestro nel presentare, registicamente parlando, le proprie storie e vi riesce affrontando anche tematiche diverse nel corso della sua produzione (basti pensare al suo “Una Vita”) senza mai cristallizzarsi in un argomento.
In aggiunta, in una perfetta collaborazione e sintonia con Vincent Lindon che ormai è divenuto il suo attore feticcio e che anche in questa ennesima occasione si è rivelato sempre all’altezza dei suoi più svariati ruoli, Brizé riesce ancora una volta a consegnare un prodotto di qualità da essere inserito tra i più interessanti usciti in questo periodo nelle sale cinematografiche.
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jl
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giovedì 25 aprile 2019
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la classe operaia non riesce ad andare in paradiso
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Vincent Lindon prosegue nella sua personale ricerca dal retrogusto antropologico e riguardante gli ultimi della specie. Dopo aver sondato il tema degli immigrati e quelli di un uomo che pur di lavorare è disposto a essere guardia giurata all’interno di supermercato, questa volta l’attore francese, ancora una volta diretto dal registaStéphane Brizé, letteralmente rappresenta una fascia, il mondo degli operai, impegnati in una lotta impari contro una multinazionale intenta a lasciare 1100 persone senza stipendio e nonostante le molte promesse spese in precedenza. Lindon, ormai avvezzo a parti di tale tipo, riesce nuovamente incastonare il suo viso tagliato con l’accetta in quello di un operaio intento a dichiarare guerra al suo posto di lavoro aggiungendoci non solo le trattative che sfociano spesso in rivalità personali ma anche la vita privata di un manipolo di uomini con le loro speranze appese a un semplice filo.
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Vincent Lindon prosegue nella sua personale ricerca dal retrogusto antropologico e riguardante gli ultimi della specie. Dopo aver sondato il tema degli immigrati e quelli di un uomo che pur di lavorare è disposto a essere guardia giurata all’interno di supermercato, questa volta l’attore francese, ancora una volta diretto dal registaStéphane Brizé, letteralmente rappresenta una fascia, il mondo degli operai, impegnati in una lotta impari contro una multinazionale intenta a lasciare 1100 persone senza stipendio e nonostante le molte promesse spese in precedenza. Lindon, ormai avvezzo a parti di tale tipo, riesce nuovamente incastonare il suo viso tagliato con l’accetta in quello di un operaio intento a dichiarare guerra al suo posto di lavoro aggiungendoci non solo le trattative che sfociano spesso in rivalità personali ma anche la vita privata di un manipolo di uomini con le loro speranze appese a un semplice filo. Una pellicola candidata alla palma d’oro del festival di Cannes 2018, dal retrogusto amaro senza molte chiavi di lettura che vadano poco oltre il titolo. Un film che rapisce per la cruda realtà filtrata dalle finestre di una fabbrica e dalla vita di un gruppo di persone.
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felicity
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giovedì 6 giugno 2019
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grande cinema politico
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En guerre è un film di impatto poderoso, dal ritmo martellante e dalla tensione inesausta, con pochissime distensioni e parentesi personali, che non cerca appigli per piacere, ma che emoziona e coinvolge con la giustezza di una posizione morale e ideologica chiara e giusta, ma allo stesso tempo trattata con intelligenza anti-propagandistica.
Il francese Stéphane Brizé è un regista con cui chi ama il grande cinema deve necessariamente fare i conti.
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carloalberto
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lunedì 6 settembre 2021
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un prometeo moderno
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Film claustrofobico con immersione totale, dall’inizio alla fine e senza un attimo di tregua, in un collettivo di lavoratori che lottano per difendere il posto di lavoro. Chiusura della fabbrica da parte di una multinazionale, delocalizzazione in un altro Paese dove la manodopera costa meno, scioperi e manifestazioni pubbliche di operai, il potere politico che fa da mediatore impotente, licenziamenti di massa, uno schema che si ripete uguale in Francia come in Italia.
Brizè documenta ciò che accade senza aggiungere pathos se non nelle sequenze finali. L’oggettività del racconto produce l’effetto opposto e lo spettatore, calato sul palco nel mezzo dell’azione scenica, non assiste dal di fuori, facendosi coinvolgere empaticamente, ma finisce per prendere egli stesso parte al dramma dal di dentro, come se fosse uno dei tanti lavoratori anonimi e senza voce che partecipa all’impari lotta contro il mostro della globalizzazione sperando nelle parole del sindacalista tribuno, interpretato da Vincent Lindon.
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Film claustrofobico con immersione totale, dall’inizio alla fine e senza un attimo di tregua, in un collettivo di lavoratori che lottano per difendere il posto di lavoro. Chiusura della fabbrica da parte di una multinazionale, delocalizzazione in un altro Paese dove la manodopera costa meno, scioperi e manifestazioni pubbliche di operai, il potere politico che fa da mediatore impotente, licenziamenti di massa, uno schema che si ripete uguale in Francia come in Italia.
Brizè documenta ciò che accade senza aggiungere pathos se non nelle sequenze finali. L’oggettività del racconto produce l’effetto opposto e lo spettatore, calato sul palco nel mezzo dell’azione scenica, non assiste dal di fuori, facendosi coinvolgere empaticamente, ma finisce per prendere egli stesso parte al dramma dal di dentro, come se fosse uno dei tanti lavoratori anonimi e senza voce che partecipa all’impari lotta contro il mostro della globalizzazione sperando nelle parole del sindacalista tribuno, interpretato da Vincent Lindon.
A tratti, in alcune scene, ritornano alla mente le immagini del bellissimo La classe operaia va in paradiso di Petri, ma erano gli anni settanta e lo scenario era totalmente diverso, allora si lottava per un salario migliore, oggi in ballo è il posto di lavoro. Il paragone finisce qui. Petri è stato un regista visionario, tragico, profetico. Brizè è piuttosto un documentarista.
Il suo cinema verità ha il merito di far riflettere sulle spietate leggi del mercato che impassibili governano il nostro mondo, come le implacabili leggi divine agli albori della nostra civiltà, contro le quali cade sconfitto il Prometeo moderno, l’uomo che lotta per i suoi simili fino al sacrificio della sua stessa vita.
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