I villeggianti

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Le crudeltà della borghesia raccontate alla Renoir

di Emiliano Morreale La Repubblica

Che, come regista, Valeria Bruni Tedeschi faccia sempre lo stesso film, è lei stessa a confessarlo, in una scena molto divertente all'inizio dei Villeggianti: un'audizione al Ministero in cui la protagonista Anna, regista di origini alto-borghesi, deve presentare il suo nuovo progetto, e scoppia in lacrime davanti alla commissione. Appena lasciata dal marito (Scamarcio), Anna raggiunge la famiglia in una sontuosa vista sulla Costa Azzurra. Nevrotica, fragile, egocentrica, si trova a fare i conti con la madre, la sorella (Golino), il marito di lei, industriale cinico e fraudolento, i parenti e gli amici. Dovrebbe scrivere il nuovo film, ma a occupare la sua mente è l'abbandono appena subìto, e a cui lei non si rassegna. A salvare il film, come gli altri della regista, dai rischi di narcisismo, è la feroce autoironia con cui racconta sé stessa e il proprio mondo. Qui ancora più che altrove: i personaggi sono mostrati nel loro oggettivo orrore, ma senza odio, e risultano interessanti e divertenti grazie alla ridicolaggine della loro meschinità. Costruito teatralmente per atti composti da brevi scene, con dialoghi precisi e personaggi ben tracciati, il copione guarda alla lontana a Cechov ma soprattutto al modello irraggiungibile di ogni film sulla borghesia, La regola del gioco di Jean Renoir. Anche qui servi e padroni si incrociano in un racconto corale e di sottile crudeltà, con una prospettiva interna ai ricchi che però scarta verso il basso e di lato, assumendo ad esempio lo sguardo di un'amica sceneggiatrice, o del personale di servizio. La regia tiene in piedi in maniera egregia fin quasi alla fine un racconto corale non semplice (oltre due ore), e perde colpi solo in un epilogo stonato, che è un vero peccato. Anna si aggira in questo lussuoso inferno in preda a una continua inquietudine fisica e facciale: sobbalza, ride isterica, si tormenta le mani, come a parare colpi che le piovono continuamente intorno. Il suo personaggio può risultare irritante o irresistibile (per chi scrive, la seconda delle due) ma è innegabile che Valeria Bruni Tedeschi sia un'attrice comica trascinante, con tempi perfetti, e una regista ormai di straordinaria consapevolezza. Non solo per come orchestra gli interpreti (ottima la sintonia con la Golino, che canta Ma che freddo fa, balla e mima il vecchio spot della Peroni), ma per l'elegante ritmo interno alle scene. Un ritmo che mescola, si direbbe, stizza e malinconia, aiutandosi a una miscela musicale di musiche originali molto efficaci (Paolo Buonvino) e di brani vari, da Rossini a Schubert.
Da La Repubblica, 7 marzo 2019


di Emiliano Morreale, 7 marzo 2019

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