crisalidea
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mercoledì 29 novembre 2017
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di forme e confini. ovvero intorno alla democrazia
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Nel 2017 escono nelle sale due film che hanno diverse cose in comune di cui una mi ha colpito particolarmente: il titolo è il nome di una figura geometrica.
Un cerchio e un quadrato.
Anzi il cerchio e il quadrato.
Ed anche la forma assume qui un significato inaspettato: gli avvenimenti non riguardano infatti ciò che accade dentro quel quadrato, come si sarebbe portati a credere, ma quasi esclusivamente ciò che accade fuori.
Quello che interessa non è infatti la regione interna di una figura così regolare ma quello che i suoi confini individuano come spazio esterno. C'è un sovvertimento del classico rapporto figura sfondo.
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Nel 2017 escono nelle sale due film che hanno diverse cose in comune di cui una mi ha colpito particolarmente: il titolo è il nome di una figura geometrica.
Un cerchio e un quadrato.
Anzi il cerchio e il quadrato.
Ed anche la forma assume qui un significato inaspettato: gli avvenimenti non riguardano infatti ciò che accade dentro quel quadrato, come si sarebbe portati a credere, ma quasi esclusivamente ciò che accade fuori.
Quello che interessa non è infatti la regione interna di una figura così regolare ma quello che i suoi confini individuano come spazio esterno. C'è un sovvertimento del classico rapporto figura sfondo.
La figura serve per permetterci di vedere lo sfondo.
E lo sfondo in cui si muovono personaggi appartenenti alla borghesia intellettuale di uno dei Paesi che viene considerato tra i più democratici d'Europa si identifica in quella figura, elegante altare del bene, "santuario luminoso di fiducia e altruismo", ma ne resta per tutto il film al di fuori.
Gli unici ad entrare nel quadrato sono bambini, manipolati da adulti che vi proiettano ancora un'idea di purezza. Ma anch'essi aldilà delle proiezioni di cui sono oggetto fanno umanamente parte dello sfondo e lo vediamo negli accenni all'esistenza e ai comportamenti delle due figlie del protagonista.
Ed è sempre un bambino, questa volta scuro di capelli e carnagione che vive in un quartiere popolare, quindi pienamente sullo sfondo di quella società, a mettere fortemente in crisi, a far crollare in un mucchio di immondezza, l'immagine di -quadrato luminoso- che il protagonista sembra inizialmente avere di sé.
L'esterno del quadrato viene a riprendersi ciò che si credeva dentro.
Succede anche nella bellissima performance in cui un uomo agisce come un animale non solo selvatico, ma aggressivo e dominatore.
Gli spettatori prima passivi e preoccupati solo di salvare se stessi esplodono in un impeto di violenza fisica che sembra arrivare ad uccidere un uomo.
La compostezza quadrata si rivela violenza cieca senza possibilità di vie di mezzo, di integrazione di modalità.
Il confine è ben netto ed è l'esistenza di quel confine a rendere possibile a ciò che si trova al di fuori di trascinare con sé ciò che si credeva dentro.
Perché chi crede di appartenere ad un santuario non sa come relazionarsi con la parte oscura di sé e crolla o aggredisce con violenza chi prova a dimostrargli che non è così.
Il quadrato coi suoi confini netti determina l'impossibilità di comportamenti che tengano insieme le due dimensioni, il dentro e il fuori, magari creativamente.
É un'pera d'arte sterile che determina sterilità.
E se qualcuno avesse provato a camminare su quella linea? Ad abitare quel confine?
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nelmatt
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venerdì 24 agosto 2018
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un gran film sacrificato per la satira sociale
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La storia parla di tante cose, tutte che ruotano attorno ad un curatore di un museo d'arte, alla sua cerchia sociale e ad una serie di eventi sempre più grotteschi a cui andrà incontro.
Il film per un 1'30h buona (dura due ore e trenta minuti) procede benissimo, ha un atmosfera spettaccolare, una trama intrigante e diverte con situazioni decisamente grottesche e con una satira pungente su una "società modello". Ed è questo il vero fulcro di tutto il film, la satira, e per la maggior parte della visione ne ero entusiasta, però poi ne diventa anche il problema principale. Perché la maggior parte di tutte le situazioni interessanti che si andavano a creare nella prima parte sfociano in una serie di avvenimenti caotici, interi sviluppi della trama che si accumulano e poi si perdono lungo la strada.
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La storia parla di tante cose, tutte che ruotano attorno ad un curatore di un museo d'arte, alla sua cerchia sociale e ad una serie di eventi sempre più grotteschi a cui andrà incontro.
Il film per un 1'30h buona (dura due ore e trenta minuti) procede benissimo, ha un atmosfera spettaccolare, una trama intrigante e diverte con situazioni decisamente grottesche e con una satira pungente su una "società modello". Ed è questo il vero fulcro di tutto il film, la satira, e per la maggior parte della visione ne ero entusiasta, però poi ne diventa anche il problema principale. Perché la maggior parte di tutte le situazioni interessanti che si andavano a creare nella prima parte sfociano in una serie di avvenimenti caotici, interi sviluppi della trama che si accumulano e poi si perdono lungo la strada. Tutto un film sacrificato per la satira sociale, per quanto intelligente e ben fatta. Un esempio lampante la scena della scimmia, chiamata per tutto il film e poi messa in atto solo per un siparietto di critica alla borghesia. Ed è un po' una paraculata, perché tutti i messaggi che si volevano mandare erano già stati mandati, e sarebbe stato bello se a quel punto il film si preoccupasse anche di dare uno sviluppo (non una spiegazione o un finale, solo uno sviluppo) a tutte quelle situazioni che reggevano la trama della pellicola e creavano quell'atmosfera grottesca e quasi inquietante. Invece proseguendo vengono come dimenticate, facendo capire che erano solo un pretesto per mantenere l'attenzione su una lunga serie di feroci sguardi alla società moderna. Che all'inizio sembrano far parte di un opera ma poi diventano a tutti gli effetti una serie di siparietti. E non sto parlando del finale, lasciato a più interpretazioni (sinceramente mi è anche piaciuto), ma proprio a tutta la trama completamente uccisa. Davvero un peccato perché meritava tantissimo, e cosiglio comunque di vederlo.
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lbavassano
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domenica 19 novembre 2017
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ambizioso, non privo di pecche
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Non privo di pecche, nell'esplicita volontà programmatica di spiazzare lo spettatore, ma anche, all'opposto, in certe scivolate sui luoghi comuni più triti riguardo l'arte contemporanea, e ancora nell'uso del punto di vista infantile. Coraggioso però, nell'incrociare, e far confliggere, estetica ed etica, e fatti e misfatti dei social. Efficace comunque, soprattutto, come già l'ottimo "Forza maggiore", nel farci riflettere sui nostri comportamenti, sull'immagine che vogliamo dare di noi stessi, che di noi stessi abbiamo, posta alla prova della complessità del vivere. Narrativamente fin troppo sfuggente, ambizioso nei tempi più che nei modi, indubitabile la capacità di miscelare immagini e suoni nel solco del grande cinema.
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Non privo di pecche, nell'esplicita volontà programmatica di spiazzare lo spettatore, ma anche, all'opposto, in certe scivolate sui luoghi comuni più triti riguardo l'arte contemporanea, e ancora nell'uso del punto di vista infantile. Coraggioso però, nell'incrociare, e far confliggere, estetica ed etica, e fatti e misfatti dei social. Efficace comunque, soprattutto, come già l'ottimo "Forza maggiore", nel farci riflettere sui nostri comportamenti, sull'immagine che vogliamo dare di noi stessi, che di noi stessi abbiamo, posta alla prova della complessità del vivere. Narrativamente fin troppo sfuggente, ambizioso nei tempi più che nei modi, indubitabile la capacità di miscelare immagini e suoni nel solco del grande cinema.
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l''inquilinadelterzopiano
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domenica 26 novembre 2017
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un nuovo cinema tra metalinguaggio e arte contemp.
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Quello di Ruben Östlund è oggi, come lo era Citizen Kane all'epoca, un vero e proprio nuovo modo di fare cinema, sconvolgente e pervasivo. È il perfetto matrimonio tra sensibilità e sperimentazione autoriali che mi fa accostare il nome di Ruben Östlund a quello di Orson Welles.
The Square è un film che gioca sull'ambiguità delle cose, proprio come la ragion d'essere dell'arte contemporanea con le sue installazioni, performance, opere in generale.
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Quello di Ruben Östlund è oggi, come lo era Citizen Kane all'epoca, un vero e proprio nuovo modo di fare cinema, sconvolgente e pervasivo. È il perfetto matrimonio tra sensibilità e sperimentazione autoriali che mi fa accostare il nome di Ruben Östlund a quello di Orson Welles.
The Square è un film che gioca sull'ambiguità delle cose, proprio come la ragion d'essere dell'arte contemporanea con le sue installazioni, performance, opere in generale. The Square è infatti un film dove i confini (non solo fra ciò che è o non è arte) si fondono e mirano, a loro volta, a confondere, destabilizzare e sorprendere lo spettatore. La pellicola si definisce perfettamente già a partire dalla grottesca e assurda sequenza d'apertura in uno spazio del museo, quella del dialogo/intervista sulla questione esposizione/non-esposizione in un campo/controcampo tra la giornalista Anne (Elisabeth Moss) e Christian (Claes Bang), il curatore di un museo di arte contemporanea. In questa sequenza vengono già gettate tutte le basi sulle quali il film tornerà più volte, in modi differenti, ad analizzare la questione “arte contemporanea” con tutto ciò che la circonda, compresi i destinatari delle opere: la società.
Più che le intenzioni di ogni singolo artista contemporaneo, al regista interessano le reazioni del pubblico di fronte (e in mezzo) alle opere, dunque il tema della ricezione dell'arte, per estensione, diventa una riflessione sulla società contemporanea. Perché il significato dell'arte contemporanea non sta nei confini/non-confini dell'opera in sé, ma nello spazio che si viene a creare tra il fruitore e una data opera, quindi nell'interazione pubblico/oggetto estetico. L'arte contemporanea, più di qualsiasi altra arte, per esistere necessita infatti di un pubblico che ne esperisca e la completi tramite l'interazione. Avendo, tale arte, fra le sue caratteristiche più frequenti quella della pervasività, di qui tutta la questione su dove cominci e dove finisca l'opera d'arte, che di fatto non ha più delimitazioni fisiche nette come può essere per un quadro, uno schermo, un brano musicale... e ancora, quanto influisca e quanto sia importante lo spazio espositivo.
Fin dal titolo The Square pone l'attenzione proprio sullo spazio, “The Square” è infatti sia il nome del film sia il titolo dell'installazione in esso tanto discussa: si tratta di un quadrato delimitato da un perimetro luminoso tracciato nella piazza antistante il museo e la cui targa recita: “il quadrato è un santuario di fiducia e amore al cui interno abbiamo tutti gli stessi diritti e doveri”.
L'opera d'arte, così come il film stesso, è innanzitutto una riflessione, un'analisi critica su quei “confini”, intesi anche come “limiti”, che oggi non sembrano esistere più e sui quali l'arte contemporanea si interroga in modo sempre più provocatorio. Caratteristica che accomuna tanti artisti, a cominciare dall'arte povera: viene da pensare alle opere di Piero Manzoni, come la Base magica dove chiunque può salire e divenire scultura/opera d'arte vivente, e via via a tutte le correnti dell'arte contemporanea: dalla Land Art all'arte concettuale, passando per la Body Art e i Ready-made duchampiani.
The Square è cinema che assorbe e trasuda arte contemporanea: è bizzarro, grottesco, nonsense, estremo, performativo, è un percorso che indaga e mostra non solo i vari spazi espositivi del museo, e di volta in volta le diverse opere che vi si incontrano, ma lo fa inserendoci la macchina da presa, i suoi attori, e facendo difatti interagire la settima arte (il film stesso in tutti i suoi aspetti estetico-narrativi), con l'arte contemporanea (le varie opere all'interno del museo).
Ma ancor di più The Square può essere inteso come una performance lunga oltre 140 minuti, che già a partire dalla sua durata “anticonvenzionale” mette alla prova il suo spettatore, dove la musica non è una componente affatto minore, i diversi brani della colonna sonora infatti donano omogeneità e continuità, come anche le interpretazioni degli attori (Claes Bang primo fra tutti) che, tra peripezie e andirivieni, diventano a loro volta performer di continue performance senza mai annullarsi in uno dei due ruoli ma coesistendo con equilibrio, pertinenza, sensibilità, coerenza unici che fanno di The Square il potenziale capostipite di una nuova corrente cinematografica.
Si può allora parlare di “cinema contemporaneo” con la stessa accezione che all'epoca fu attribuita alla definizione di “cinema moderno” grazie a Citizen Kane? È un interrogativo che per ora può solamente restare aperto, in attesa di ricevere la sua, mi auguro spettante, interazione.
Martina Cancellieri
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genziana
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domenica 26 novembre 2017
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da vedere per discutere e litigare con gli amici
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Un po' bel film, un po'incubo nordico in quello stile brillante-pubblicitario, tangente- in modo più o meno semplificato- all'arte contemporanea, che sta pervadendo il cinema di questi tempi. Pieno di cose belle e al contempo vuoto che mi pare proprio essere il paradigma della pubblicità. Quando in questo vuoto "polished" si affaccia la denuncia (una cosa un po' vaga, tipo diseguaglianze di vario genere) la patina pubblicitaria si fa opaca e si affaccia una sensazione di "sotto il vestito niente". Tuttavia si trascorrono due ore e venti piacevolmente - questa è la trovata planetaria dello stile pubblicitario che fa un by-pass sulla sgradevolezza o la noia- con un picco veramente notevole nella sequenza del performer-scimpanzé.
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Un po' bel film, un po'incubo nordico in quello stile brillante-pubblicitario, tangente- in modo più o meno semplificato- all'arte contemporanea, che sta pervadendo il cinema di questi tempi. Pieno di cose belle e al contempo vuoto che mi pare proprio essere il paradigma della pubblicità. Quando in questo vuoto "polished" si affaccia la denuncia (una cosa un po' vaga, tipo diseguaglianze di vario genere) la patina pubblicitaria si fa opaca e si affaccia una sensazione di "sotto il vestito niente". Tuttavia si trascorrono due ore e venti piacevolmente - questa è la trovata planetaria dello stile pubblicitario che fa un by-pass sulla sgradevolezza o la noia- con un picco veramente notevole nella sequenza del performer-scimpanzé. Da vedere per discutere e litigare con gli amici.
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enricodanelli
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lunedì 27 novembre 2017
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che difficile far del bene !!!
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Tematica veramente sentita a livello sociale e individuale: bisogna aiutare il prossimo, ma attenzione ad aiutare chi non se lo merita o addirittura morde la mano di chi offre aiuto. Capita di tutto al povero Christian (il nome è indicativo, rappresenta "IL" cristiano moderno che, pur con mille difetti, ha l'ambizione costante non istintiva, ma razionale di amare il prossimo): aiuta gli altri, ma quando nel bisogno cerca una sponda a suo favore quasi sempre viene respinto. Dopo una serie infinita di disavventure sempre causate dal suo altruismo e dal suo spirito di brillante sopportazione (ogni disavventura a sua volta sottende una problematica sociale molto sentita: la violenza sulle donne, il disagio mentale, il disagio economico, gli infidi rapporti fra colleghi, la potenza devastante di internet, etc.
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Tematica veramente sentita a livello sociale e individuale: bisogna aiutare il prossimo, ma attenzione ad aiutare chi non se lo merita o addirittura morde la mano di chi offre aiuto. Capita di tutto al povero Christian (il nome è indicativo, rappresenta "IL" cristiano moderno che, pur con mille difetti, ha l'ambizione costante non istintiva, ma razionale di amare il prossimo): aiuta gli altri, ma quando nel bisogno cerca una sponda a suo favore quasi sempre viene respinto. Dopo una serie infinita di disavventure sempre causate dal suo altruismo e dal suo spirito di brillante sopportazione (ogni disavventura a sua volta sottende una problematica sociale molto sentita: la violenza sulle donne, il disagio mentale, il disagio economico, gli infidi rapporti fra colleghi, la potenza devastante di internet, etc.) finalmente gli si prospetta di chiedere scusa ad un emarginato, per di più bambino, involontariamente offeso dallo stesso Christian: la conclusione di questa vicenda è il succo di tutto il film. Dopo mille frustrazioni nell'aiutare il prossimo, Christian, probabilmente stanco e deluso, non sa riconoscere chi è veramente meritevole del suo aiuto e il tardivo ed inutile tentaivo di sistemare le cose gli lascerà per sempre un grande rimorso, fra l'atro condiviso con le figlie. Ottimo film dopo il buonissImo FORZA MAGGIORE (senz'altro più consolatorio nel finale), ma attenzione a non farsi distrarre: l'arte qui c'entra poco (diciamoci la verità: l'arte moderna fatta di mucchietti di ghiaia sparsi sul pavimento viene chiaramente derisa in una occasione), qui c'entra solo la coscienza delle persone che esce quasi sempre dilaniata di fronte all'eterno dilemma di riconoscere il bene dal male.
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mauro2067
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sabato 12 maggio 2018
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profondo ed inquetante
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Il titolo è “Il quadrato”. Un opera d’arte che invita a riflettere, "Il quadrato è un santuario di fiducia e amore al cui interno abbiamo tutti gli stessi diritti e doveri”.
Solo che per tutto il film nel quadrato non entra nessuno, tranne la bambina per motivi pubblicitari e fa anche una brutta fine. Tutto invece si svolge fuori dove la fiducia e l’amore sono sentimenti inesistenti, e dove viene sottolineato più e più volte la netta distinzione sociale tra poveri e ricchi. Christian approfitta dei suoi dipendenti, diffida delle persone che abitano in quartieri più poveri, approfitta delle donne che provano sentimenti per lui, elargisce facili elemosine come se bastasse per giustificare e approvare il suo essere benestante.
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Il titolo è “Il quadrato”. Un opera d’arte che invita a riflettere, "Il quadrato è un santuario di fiducia e amore al cui interno abbiamo tutti gli stessi diritti e doveri”.
Solo che per tutto il film nel quadrato non entra nessuno, tranne la bambina per motivi pubblicitari e fa anche una brutta fine. Tutto invece si svolge fuori dove la fiducia e l’amore sono sentimenti inesistenti, e dove viene sottolineato più e più volte la netta distinzione sociale tra poveri e ricchi. Christian approfitta dei suoi dipendenti, diffida delle persone che abitano in quartieri più poveri, approfitta delle donne che provano sentimenti per lui, elargisce facili elemosine come se bastasse per giustificare e approvare il suo essere benestante. In conclusione fuori dal quadrato il mondo vero non ama, non si ferma se qualcuno chiede aiuto, ti classifica. L'ho trovato un film forte, inquietante ma sicuramente originale e profondo.
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bergat
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giovedì 31 maggio 2018
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chi è quadrato può divenire tondo?
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Non so cosa si sia proposto il regista. Forse credo bonariamente a prendere in giro l'arte moderna contemporanea e non avrebbe certo torto. Dove un Fontana stabilisce con un taglio sulla tela il concetto spaziale, si è andati sempre di più progressivamente a mettere in scena qualsiasi cosa normale, che non ha alcuna valenza per chi l'osserva, o meglio l'unico valore è quello che rappresenta cioè un paio di scarpe usate, dei mucchietti di terra o qualsiasi altra cosa banale come un quadrato dai bordi luminosi. l'artista è tale se con la sua opera trasmette senza aiuti esterni il messaggio che aveva in animo di trasmettere, e non lo sono quindi dei mucchietti di terra o un quadrato, La scelta quindi di Ruben Ostlund è di rappresentare la vacuità, quindi, di una certa arte moderna, e lo fa in maniera sottile facendo assumere al personaggio principale, l'artista del quadrato, rappresentato dall'attore Claes Bang, la parte dello scemo, dello svagato che non si interessa minimamente di un battage pubblicitario per la propria opera, fatto in maniera assurda e disumana da persone fuori di cervello.
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Non so cosa si sia proposto il regista. Forse credo bonariamente a prendere in giro l'arte moderna contemporanea e non avrebbe certo torto. Dove un Fontana stabilisce con un taglio sulla tela il concetto spaziale, si è andati sempre di più progressivamente a mettere in scena qualsiasi cosa normale, che non ha alcuna valenza per chi l'osserva, o meglio l'unico valore è quello che rappresenta cioè un paio di scarpe usate, dei mucchietti di terra o qualsiasi altra cosa banale come un quadrato dai bordi luminosi. l'artista è tale se con la sua opera trasmette senza aiuti esterni il messaggio che aveva in animo di trasmettere, e non lo sono quindi dei mucchietti di terra o un quadrato, La scelta quindi di Ruben Ostlund è di rappresentare la vacuità, quindi, di una certa arte moderna, e lo fa in maniera sottile facendo assumere al personaggio principale, l'artista del quadrato, rappresentato dall'attore Claes Bang, la parte dello scemo, dello svagato che non si interessa minimamente di un battage pubblicitario per la propria opera, fatto in maniera assurda e disumana da persone fuori di cervello. E l'artista non si arrabbia certo del furto del proprio cellulare e portafoglio, anzi se ne compiace, e preferisce tracciarlo via internet per scoprire che è all'interno di un condominio. Invece di denunciarne il furto, preferisce consegnare ai vari condomini lettere di minacce, tranne poi infastidirsi se un ragazzino di 10/12 anni , in maniera assurda e irreale reclama la propria onorabilità, perchè estraneo al furto. Il film giocato su sense no sense, raggiunge quindi la sua fine E' una denuncia della vacuità dell'arte moderna o un film finemente comico? Ecco se volete sapere secondo voi a quale domanda risponde, vedetelo pure. Per me comunque è una tavanata galattica.
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nigel mansell
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domenica 13 gennaio 2019
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the square di ruben ostlund
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Creare la società perfetta, rispettosa di tutto e tutti, e poi chiudersi e ghettizzarsi per paura degli altri?
Ascoltare tutti e poi emarginarli per preservare la propria superiorità?
Credere nell’altro ma poi temere di essere indifeso rispetto a lui?
Società apparentemente impeccabili come quelle scandinave e per la precisione quella svedese protagonista della pellicola, devono fare i conti con tutto questo, ma le contraddizioni sono molte e non facili da superare.
The Square ci parla di tutto questo, anche se per noi italiani non è facile comprenderlo a pieno, siamo ancora ben lungi da arrivare ai traguardi delle civiltà del nord dell’Europa.
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Creare la società perfetta, rispettosa di tutto e tutti, e poi chiudersi e ghettizzarsi per paura degli altri?
Ascoltare tutti e poi emarginarli per preservare la propria superiorità?
Credere nell’altro ma poi temere di essere indifeso rispetto a lui?
Società apparentemente impeccabili come quelle scandinave e per la precisione quella svedese protagonista della pellicola, devono fare i conti con tutto questo, ma le contraddizioni sono molte e non facili da superare.
The Square ci parla di tutto questo, anche se per noi italiani non è facile comprenderlo a pieno, siamo ancora ben lungi da arrivare ai traguardi delle civiltà del nord dell’Europa.
Ottimo attore il protagonista, Claes Bang, e superlativa la performance di Terry Notary nella parte di Oleg il “selvaggio”
Regia attenta e precisa, con la camera che si muove molto nel seguire i protagonisti. Mi è piaciuta molto la sequenza delle scale del quartiere popolare.
Sapiente il dosaggio di comicità e drammaticità per affrontare un tema non facile.
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noia1
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domenica 2 agosto 2020
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la visione di un cinico regista.
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Il direttore di un museo è alle prese con l’allestimento di una nuova opera, intanto tra i suoi collaboratori c’è fermento per la nuova pubblicità atta a rilanciare la reputazione del celebre edificio.
Film svedese fino al midollo dove i tempi rarefatti ne fanno da padrone, qui c’è una società intera alla berlina, una società all’avanguardia fino all’assurdo più puro tipo il dirigente che in riunione si coccola il figlio neonato, quest’ultimo portato al lavoro con culla e tutto il resto perché giustamente anche la moglie lavora e l’amore di entrambi per il piccolo rende impossibile la presa in considerazione dell’assumere una badante; una Svezia pacata e corretta, che non ha la minima idea di come comportarsi davanti all’imprevisto, che teme lo scomporsi della propria immagine più ancora della figuraccia in sé stessa.
Un film che ragiona di arte, sul fatto che un’opera valga a prescindere dalla sua presenza o meno in un museo, il ragionamento su un’arte sempre più sensazionalistica e nella quale il filo di collegamento al significato di quell’opera è sempre più labile, quasi forzoso; un’arte paradossalmente intrappolata nei canoni d’un perbenismo che fa a botte col bisogno di sangue popolare di persone che, per salvare quel perbenismo, spesso si ritrovano a fare di peggio, si ritrovano inaspettatamente a fare quelle stesse figuracce che temono come la peste.
Un’ironia assurda che in fondo è pura e semplice messinscena, una pura e semplice costruzione tanto semplice da diventare irresistibile, incredibile come un dettaglio fuori posto possa essere devastante nella programmatissima realtà di oggi; una realtà talmente programmata da diventare insensata, ci si chiede verso dove stia andando lo scrupoloso protagonista, impeccabile fuori di casa ma che alle figlie capita conceda sfuriate insospettate, chi è veramente il signor Christian?
The square è pieno zeppo di tematiche collassanti tra loro, un tempo prolungato usato per un’ora e tre quarti in modo ironico, che effetto fa se lo uso per una scena drammatica? Diventa brutale, diventa orrore; un artista morto di fame, cosa succede se lo chiudo in una stanza coi suoi stessi mecenati?
Un film, arte, che ragiona sull’arte attraverso i suoi stessi meccanismi cinematografici; una società all’avanguardia, quella svedese, che con tutte le sue forze cerca di uscire dai suoi stilemi senza però voler sfigurare: poteva essere un capolavoro.
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