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Il film non solo ricostruisce una pagina fondamentale nella configurazione politica, sociale e culturale dell’Europa di oggi, ma si restituisce nei suoi tratti meno edulcorati, più drammatici e violenti.
Proprio tra le strade, i quartieri poveri, i luoghi di sfruttamento del lavoro femminile nelle città inglesi prende le mosse Suffragette. Il contrasto tra le forme, le istituzioni, i riti della moderna democrazia occidentale e la condizione di sfruttamento, sottomissione delle donne è troppo violentemente ipocrita e stridente. I settori più avanzati del Parlamento britannico, rappresentati da Lloyd George, cercano di fare propria la spinta della rivendicazione suffragista solo per rafforzarsene politicamente, senza, però, concedere un solo passo in avanti verso il suo ottenimento. Di qui nasce la determinazione delle donne inglesi a rendersi soggetto politico e sociale autonomo, nella propria rappresentanza e forme di lotta. Questo determina lo scontro aperto, frontale, tra l’aspetto da autentico Ancien Régime della democrazia inglese e una necessaria estensione dei diritti universali alle donne.
Contrasto magistralmente rappresentato dai due grandi, veri protagonisti del film. Da una parte c’è la mite lavandaia Maud Watts, dall’altra Steed, il mastino capo della polizia cittadina. Nessuno conosce e meglio capisce quel mondo di operaie sottomesse, sfruttate e abusate che si ribella al falso regime democratico che il brutale poliziotto comandato a reprimerle, punirle, picchiarle, spiarle, imprigionarle con qualsiasi mezzo. Steed nasce dal ventre di una di loro e da un nucleo familiare di donne come quelle è stato cresciuto. È come se tutta la nazione fintamente democratica prendesse brutalmente a manganellate e a calci il ventre della sua stessa madre.
La scelta della regista e della sceneggiatrice di imperniare e sviluppare la ricostruzione della vicenda storica soprattutto dal punto di vista di queste semplici ma determinate operaie è dettata proprio da tale dover restituire i suoi veri, vasti termini sociali e inesorabilmente drammatici. L’ottenimento del pieno suffragio universale in Inghilterra, nel 1928, non è stato un tè di gala ma il frutto di un parto violento, tra ingiustificate sofferenze e patimenti crudeli che hanno subito le donne. Il film dedica solo riferimenti indiretti e un cammeo seppure prestigioso alla figura della fondatrice del Women's Social and Political Union, Emmeline Pankhurst, sensibilmente interpretata da Meryl Streep.
L’interprete principale, Carey Mulligan, riesce a mettere sul volto della sua Maud Watts, tutta la dolcezza, la sofferenza, il livido, sordido squallore di abusi e sfruttamento che la interna nazione delle donne inglese subiva ancora all’inizio del secolo scorso, ricordando che il termine nazione attiene a quello propriamente femminile di nascita. Come ogni lingua, in ogni parte e tempo, è sempre una madrelingua: la sua voce ci genera alla presenza, al presente detto e pensato del mondo.
I ripetuti casi di femminicidio, stupro abuso, sfruttamento lavorativo e sessuale, anche in versione virtuale, informatica in Occidente; la negazione totale di diritti, il soffocamento di ogni loro voce, possibilità di conoscenza ed espressione, l’eliminazione fisica diretta, l’imposizione di aberranti soprusi e umiliazioni personali a ogni età in altre parti del mondo contemporaneo, ci dicono che Suffragette non è un bel film da sistemare nelle teche del nostro passato ma una vicenda dell’ora presente.
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