Titolo originale | The Look of Silence |
Anno | 2014 |
Genere | Documentario, Biografico, Storico, |
Produzione | Danimarca, Finlandia, Indonesia, Norvegia, Gran Bretagna |
Durata | 98 minuti |
Regia di | Joshua Oppenheimer |
Attori | Adi Rukun, M.Y. Basrun, Amir Hasan, Inong, Kemat Joshua Oppenheimer, Amir Siahaan, Ted Yates, Volker Hanisch, Achim Schülke. |
Tag | Da vedere 2014 |
Distribuzione | I Wonder Pictures |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 3,88 su 14 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 1 giugno 2016
Una famiglia che sopravvive al genocidio in Indonesia avvenuto negli anni '60 confronta chi ha ucciso uno di loro. Il film ha ottenuto 1 candidatura a Premi Oscar, Il film è stato premiato al Festival di Venezia, 1 candidatura agli European Film Awards, 1 candidatura a Critics Choice Award, Al Box Office Usa The Look of Silence ha incassato 46,1 mila dollari .
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ASSOLUTAMENTE SÌ
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Indonesia, 2012: il regista Joshua Oppenheimer, statunitense trapiantato in Danimarca, ha appena finito di girare in loco The Act of Killing. Un film nel film, che racconta come i paramilitari della Gioventù di Pancasila, tuttora al potere e responsabili del massacro di un milione di militanti comunisti, avvenuto nel 1965-'66 sotto il generale Suharto, si prestino spavaldamente a ricordare e riattualizzare le loro "gesta" efferate per realizzare un lungometraggio di finzione. Durante la preproduzione, iniziata nel 2003, l'uccisione particolarmente violenta di Ramli Rukun da parte del Komando Aksi, attivo nella provincia di Aceh, ricorre spesso nelle testimonianze raccolte dal regista. È grazie al quel girato che il fratello di Ramli, Adi, di professione ottico e nato due anni dopo la sua morte, apprende i dettagli di quell'omicidio. Con un inconsueto, spiazzante cambio di registro, Adi diventa il candidato naturale a protagonista di The Look Of Silence: un sequel molto sui generis la cui troupe è rimasta anonima per motivi di sicurezza.
La dignità di Adi, i suoi modi gentili e pacati nel rivolgersi agli autori, ai sopravvissuti e ai testimoni inerti di quella strage di massa, contattati grazie alle ricerche di Oppenheimer, sono la chiave d'accesso a una serie di sconcertanti ammissioni, imbarazzanti negazioni e affermazioni deresponsabilizzanti che non appartengono solo agli esecutori materiali dei crimini. Il suo metodo d'indagine è anche il principale motivo per cui The Look Of Silence si distingue dal documentario d'inchiesta storica classicamente inteso. Non solo il regista limita l'uso di materiale d'archivio a un unico notiziario statunitense di trionfante propaganda anticomunista (1967), ma "abbassa" la Storia dalla rappresentazione che i media ne hanno dato al dialogo domestico tra fratelli, vicini, parenti. Tutti accomunati da un enorme tabù, a parlare del quale si temono ritorsioni: uno sterminio sistematico, negato e giustificato ancora oggi dalle istituzioni e dagli insegnanti dei figli di Adi.
Là dove The Act of Killing è stato un processo catartico di riflessione su uno sterminio, The Look Of Silence riscrive la storia attraverso l'empatia, portandola nei cortili, nelle stanze private, nei teatri naturali di morte. La scelta di campo è chiara è coerente: nessun abbellimento o drammatizzazione sonora o musicale ma illuminazione ambientale, suono in presa diretta e montaggio antispettacolare, fatto di simmetrie invisibili e rimandi interni.
Il silenzio del titolo è l'inevitabile indicibilità di un male prossimo, palese eppure nascosto, o forse anche di una resistenza costante, come pare suggerire l'immagine delle larve che saltano nelle bacche in mano a Rohani, madre di Adi. Il silenzio delle pause tra le domande precise di Adi e le risposte alternativamente evasive e crudeli dei suoi interlocutori è la dimensione, l'unica accettabile, per accogliere e meglio comprendere lutto, violenza, paura, perdono, rimozione.
Temi universali e urgenti in ogni contesto postbellico o postdittatoriale. Lo sbigottimento nel seguire la descrizione delle tecniche criminali corre di pari passo con la compassione del tecnico che misura la ridotta capacità visiva a uomini molto anziani, annullati dalla malattia e regrediti allo stadio infantile, le cui sole vecchie canzoni d'amore cercano di negare quel silenzio. È nel mostrare il passaggio di accudimento ormai avvenuto tra Adi e il suo genitore centenario-bambino e la sua saggia madre, che il film indica un avvicendamento ineludibile e lancia oltre lo schermo la sfida di una nuova umanità.
Alla fine degli anni '60 in Indonesia, a seguito dell'instaurazione di una dittatura, una terribile ondata di repressione contro chiunque fosse sospettato di comunismo (o in generale di essere un oppositore del sistema) ha portato ad efferati omicidi perpetrati da tutti i livelli della scala gerarchica militare. Questi omicidi negli anni non sono mai stati condannati ufficialmente e chi li ha commessi è ancora al potere. Oggi il fratello di una delle vittime gira con una troupe cinematografica per andare a parlare con i responsabili e cercare di ottenere da loro non vendetta ma anche solo un'ombra di pentimento e assunzione di responsabilità.
Era difficile eguagliare la forza, lo stupore e l'incredibile serie di eventi reali che sembrano scritti da uno sceneggiatore di The Act of Killing (senza dubbio uno dei migliori documentari degli ultimi anni), lo stesso però Joshua Oppenheimer ha scelto di non cambiare soggetto e di girare il suo documentario successivo esattamente intorno ai medesimi fatti, cambiando solo la prospettiva e la struttura. Non più un film i cui protagonisti siano i carnefici, incaricati di raccontarsi attraverso la candida brutalità con cui rievocano gesta efferate e mai punite, ma un uomo, parente di una vittima, che decide di andare personalmente a cercare il pentimento nei killer del fratello.
Il cambio è significativo, tanto che il tema di The Look of Silence è radicalmente diverso da quello di The Act of Killing (non più il rapporto tra senso di colpa represso e rievocazione della memoria attraverso la finzione ma quello tra responsabilità e rimozione della memoria) e anche il risultato lo è. Come dice il titolo a regnare nel film sono i silenzi che si stabiliscono tra i due interlocutori, chi chiede conto della tragedia e chi ne era responsabile, i secondi non parlano, si ammutoliscono, spesso non sanno che dire mentre il primo immobile attende anche un minimo segnale di pentimento.
Le interviste condotte dal giovane oculista (gran scelta di messa in scena sottolinearne la professione come fosse un investigatore privato di provincia) sono contrappuntate da immagini più vecchie dei killer che confessano i propri crimini davanti alla videocamera senza nessuna vergogna ma anzi rimettendoli in scena con una certa esaltazione (nella stessa identica maniera che gli avevamo visto fare in The Act of Killing). Quello che si incontra più spesso è un muro, nessuno vuole assumersi le responsabilità, i più negano, molti dicono d'aver eseguito ordini e se messi con le spalle al muro si trincerano nel silenzio.
É alla fine un documentario d'ambiente The Look of Silence, che al dinamismo furioso di The Act of Killing sostituisce le atmosfere rarefatte, alla rabbia incredula la rassegnazione disperata. Ma è anche un film meno riuscito (il paragone, sebbene ingiusto, è inevitabile data la vicinanza che lo fa sembrare un sequel) e in assoluto sembra incapace di reggersi sulle sue gambe. La filiazione del progetto precedente è evidente mentre la struttura e la realizzazione sono efficaci solo quando convenzionali mentre nelle parti più audaci (la connessione con il padre malato del protagonista) sembra annaspare. Nel complesso si ha la sensazione di essere di fronte al lavoro di un altro regista tanto la mano appare differente.
Si può essere costretti a guardare ciò che ti farà star male dentro? Ciò che distruggerà le tue viscere? Verrebbe da dire no. Ma, non è così. Si deve guardare per dovere, per sapere, per cercare di capire qualche cosa che magari contiene una od una infinita quantità di briciole di verità.
Film a taglio documentaristico che racconta una delle innumerevoli carneficine del '900 con una poesia struggente. Alla fine del film vorresti avere al tuo fianco il protagonista ed abbracciarlo per un'ora di fila. Il film tratta di un tema durissimo e davvero poco noto. Nell'arco di pochi mesi un milione di persone (comunisti o presunti tali) sono state trucidate in Indonesia da un despota [...] Vai alla recensione »
Secondo capitolo dell'indagine condotta da Oppenheimer sulla dittatura in Indonesia negli anni '60 e degli efferati omicidi che ne sono seguiti. In questo caso il fratello di una delle vittime cerca risposte e giustizia. Dopo lo straordinario Act Of Killing ecco questo secondo capitolo che chiude un binomio da brividi. Lo spettatore, pur ancora con le immagini ben nitide del primo episodio, [...] Vai alla recensione »
Oscure sagome di camion nella notte. La voce di uno degli assassini spiega: - Carichiamo a bordo i comunisti… -. Sono sindacalisti, agricoltori, intellettuali, semplici oppositori a Suharto, il dittatore asceso al potere in Indonesia negli anni 1965-66. Le immagini del 2014 mostrano un indonesiano ultracentenario sdentato, che canta canzoni d’amore per giovani giavanesi, mentre [...] Vai alla recensione »
Quando le parole feriscono e colpiscono più di una lama o di un proiettile. La feroce repressione che ha portato alla morte di centinaia di migliaia di persone, la maggior parte colpevoli solo di essere "comunisti" come più volte ripetono i carnefici, si è conclusa. Ma non per Adi, uno dei tanti che avuto parenti, famigliari, uccisi, torturati, straziati.
Tutti i paesi che sono stati attraversati da tragedie collettive belliche, rivoluzionarie, si trovano poi a riflettere su colpe, responsabilità per pervenire a una sorta di catarsi collettiva. Di grande civiltà l’esempio del Sud Africa che istituì tribunali che permettevano a tutti coloro che avevano compiuto atrocità e massacri di confessarli apertamente in un aula di tribunale.
Il paesaggio è magnifico, la foresta di palme è lussureggiante, ovunque il colore violento dei fiori illumina i prati: le case brillano di tessuti splendenti, le donne indossano sarong vivaci. Sono le immagini dei paradisi esotici, è il fulgore profumato dell'Indonesia: dove dopo il colpo di stato di Suharto, tra il 1965 e il 1966, un milione di presunti comunisti furono non uccisi ma macellati da [...] Vai alla recensione »
L'imperturbabile Adi fa uno strano lavoro. Batte le campagne del suo paese, un paese tropicale e lussureggiante, con una valigia in cui tiene gli attrezzi necessari a far vedere meglio la gente. Loro si siedono e lui gli mette sulla faccia certi strani occhialoni colorati, cambia una lente, ne aggiunge un'altra, poi chiede al paziente di turno come ci vede.
Anonymous... Anonymous... Anonymous... Quando scorrono i titoli di coda della sconvolgente indagine sul genocidio indonesiano dimenticato contenuta in The Look of Silence di Joshua Oppenheimer si scopre che l'intero elenco dei cineoperatori non ha nome. Ma quell'«anonymous» non è una maschera furba adottata nell'era della globalizzazione online. Bensì, come rivela il regista, «il modo per proteggere [...] Vai alla recensione »
«Se abbiamo ucciso i comunisti è perché l'America ci ha insegnato a odiarli». Indonesia 1965, Sukarto, primo presidente dopo la dichiarazione di indipendenza del paese dal colonialismo olandese, viene rovesciato dal colpo di stato militare guidato dal generale Suharno. Quell'area dell'Asia era troppo ricca e troppo importante per lasciarla a chi voleva ripartire le risorse in modo più equo, impedendo [...] Vai alla recensione »
Il paesaggio è magnifico, la foresta di palme è lussureggiante, ovunque il colore il colpo di stato di Suharto, tra il 1965 e il 1966, un milione di presunti comunisti furono non uccisi ma macellati da feroci squadre della morte, appoggiate dall'esercito e dal nuovo governo. Il contrasto è proprio tra la pace lucente, bucolica di quei luoghi e gli orrori avvenuti quasi 50 anni fa e che vengono raccontati [...] Vai alla recensione »
Storie. Sono tante le storie che racconta il cinema, anche qui, alla settantunesima edizione della Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia che sta entrando ormai nel vivo con una serie di film che intrecciano la grande Storia, quella con lamaiuscola, alle piccole storie della cronaca C'è «Storie» (Ghesseha) della regista iraniana Rakhshan Bani-Etemad, esponente di una cinematografia [...] Vai alla recensione »
Joshua Oppenheimer's The Look of Silence is a stunning companion piece, or possibly narrative development, to that extraordinary 2012 documentary The Act Of Killing. Its enigmatic title may indicate the numb silence which is the only possibly reaction to a certain kind of savagery and inhumanity, but perhaps mean the way that a nation sees but not see, sees in such a selective and slanted way as to [...] Vai alla recensione »
Evidently conceived as an accompanying project all along, "The Look of Silence" is nonetheless a freestanding work, its lyrical tone and measured rhythm entirely distinct from those of "The Act of Killing." That said, its refined aesthetic does nothing to mollify its crushing emotional impact as the impact of history is brought home to guilty and innocent parties alike.
A Venezia non ha vinto il Leone d'Oro, ma il Gran Premio della Giuria. Sa Dio quanto il verdetto sia stato sofferto: non solo dagli spettatori, ma anche da un giurato d'eccezione come Tim Roth, che ha strappato il microfono e il protocollo per dire, nel non dire, che lui il Leone l'avrebbe dato a The Look of Silence. C'è da capirlo, Mr. Orange, quel che è passato sugli schermi del Lido e oggi approda [...] Vai alla recensione »
Ci è mancato poco che rivincesse un documentario a Venezia. E se fosse stato per Tim Roth, The Look of Silente ora sarebbe davvero Leone d'oro. L'attore, solitamente compassato, non si è fatto problemi e ha dichiarato, in barba alla riservatezza a cui dovrebbe attenersi ogni giurato, che a lui non bastava dare il Gran Premio della Giuria all'opera che ha raccontato mirabilmente il massacro dei comunisti [...] Vai alla recensione »
Nel 2012 Joshua Oppenheimer girò "The Act of Killing", uno dei documentari più premiati di sempre. Su Rotten Tomatoes ha il 95 per cento di consensi, misurati in pomodori rossi. A memoria, negli ultimi dieci anni lo battono Andrew Jarecki con "Capturing The Friedmans" (la storia di un presunto pedofilo, raccontata con i filmini di famiglia, 97 per cento) e James Marsh con "Man on Wire" (l'impresa del [...] Vai alla recensione »
Un verso di "la religione del mio tempo" di Pasolini, mentre aspettiamo di vedere la prossima settimana il film di Abel Ferrara, dice: «sono buono come un pazzo». Quanto è cattivo, abnorme e mostruoso, il carnefice indonesiano che ha partecipato allo sterminio impunito di un milione di persone, ammettendo: «Raccoglievo in un bicchiere il loro sangue e lo bevevo, per non diventare pazzo e non finire [...] Vai alla recensione »