Come si può sopravvivere alla perdita del proprio figlio? E si può farlo celando a tutti questo segreto?
Philomena, nel film omonimo di Stephen Frears (tratto da una storia vera, quella di Philomena Lee), ci riesce per quasi mezzo secolo, fino al giorno in cui è sorpresa in lacrime dalla figlia con la foto sbiadita di un bimbetto di tre anni. È Anthony, il figlio che appena sedicenne ha partorito in un convento delle Magdalene dove in Irlanda del Nord fino agli anni Cinquanta venivano segregate le ragazze che con la loro condotta avevano oltraggiato l’onore della famiglia.
La colpa di queste ragazze era d’essersi macchiate del peccato d’aver ceduto al piacere della carne al di fuori dal contesto matrimoniale e, per questo, una volta scoperte erano ripudiate dalle famiglie e mandate nei conventi Magdalene e lì “dimenticate” per sempre. Il loro destino era di stare nella congregazione delle suore che le sfruttavano fino alla maggiore età facendole lavorare nel servizio di lavanderia e stireria gestito all’interno del convento.
Philomena, era una di quelle ragazze che, orfana di madre, durante un giro al Luna Park cede al corteggiamento di un ragazzo incontrato per caso, viene rinchiusa dal padre in convento dove partorisce e qui, dopo tre anni in cui può incontrare il bambino per un’ora algiorno, assiste impotente alla cessione del suo piccolo ad una coppia senza figli, una delle tante che arriva al convento per adottare bambini scegliendoli come al supermercato fra i tanti disponibili figli delle ragazze “recluse”.
Tornata libera, cerca Anthony per decenni tentando di avere dalle suore informazioni sul nome dei genitori adottivi. Invano. Fino a quando la figlia scopre il suo segreto e chiede a un giornalista di aiutarla. Non è un giornalista qualsiasi ma il famoso Martin Sixsmith,coinvolto nello scandalo di insabbiamento di notizie sull’11 settembre e, per questo, costretto a dimettersi da corrispondente della BBC e dall’ufficio stampa del Ministero dei Trasporti nel Governo Blair.
Sixsmith, ancora provato per la sua vicenda lavorativa, accetta per danaro di scrivere un pezzo su di Philomena pregiudizialmente convinto che si tratti di una delle tante “storie vere” da rotocalco in cui persone semplici e prive di una vera profondità interiore raccontano vicende strappalacrime ad un pubblico affamato di emozioni a buon mercato.
Le cose andranno diversamente: Sixsmith conoscerà una donna solo apparentemente fragile e ingenua che, ad una ragionevole rabbia per quanto subìto, saprà contrapporre la pacatezza, la gentilezza e la fede ma scoprirà anche qualcosa di sè stesso.
Nel lungo viaggio negli Stati Uniti, dove Sixsmith attraverso i canali dell’ufficio immigrazione è riuscito a ritrovare il filo di Arianna che li conduce al figlio perduto, il giornalista e Philomena avranno modo di definire i temi che muovono le loro vite fino al drammatico ritorno nel convento irlandese che cela il segreto della sentenza di condanna perpetua per le ragazze e i bambini che ha ospitato.
Qui, Martin, sollecitato da Philomena, sarà costretto a rimettersi in discussione scoprendo che rabbia e rancore rendono la vita infelice.
Philomena, invece, riconsidererà il peccato che ha giustificato il suo destino di gioventù. Finalmente, davanti alla consapevolezza di una maternità naturale della quale è stata privata lei e il suo bambino cresciuto lontano, sotto lo sguardo ancora rancoroso di una vecchia suora, Philomena si interrogherà se il peccato maggiore sia stato il suo di aver partorito non sposata o quello dell’istituzione religiosa che le ha mentito. E davanti allo sguardo stupito di tutti saprà, ancora una volta, offrire una testimonianza non comune.
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