stolencar
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lunedì 10 giugno 2013
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golino: meglio attrice
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Dopo tutti i passaggi televisivi promozionali e le sperticate critiche mi aspettavo qualcosa di più. Perché poi la Golino abbia voluto avventurarsi, nella sua prima regia, con un tema già toccato recentemente da Bellocchio con la sua Bella Addormentata, ma anche con i must di riferimento insuperati come Million Dollar Baby di Eastwood, e se non bastasse con il Mare Dentro e le Invasioni Barbariche, resta un mistero.
In ogni caso avrebbe potuto essere un buon film se non fosse stato eccessivamente ripetitivo, e quindi per certi versi scontato, nel presentare la carrellata di casi che la protagonista deve "risolvere". Tutti diversi ma tutti così uguali.
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Dopo tutti i passaggi televisivi promozionali e le sperticate critiche mi aspettavo qualcosa di più. Perché poi la Golino abbia voluto avventurarsi, nella sua prima regia, con un tema già toccato recentemente da Bellocchio con la sua Bella Addormentata, ma anche con i must di riferimento insuperati come Million Dollar Baby di Eastwood, e se non bastasse con il Mare Dentro e le Invasioni Barbariche, resta un mistero.
In ogni caso avrebbe potuto essere un buon film se non fosse stato eccessivamente ripetitivo, e quindi per certi versi scontato, nel presentare la carrellata di casi che la protagonista deve "risolvere". Tutti diversi ma tutti così uguali. Il finale poi era molto prevedibile e per certi versi consolatorio, per un film che avrebbe dovuto trovare il coraggio di dire di più e assumere anche posizioni più scomode e dolorose di quelle mostrate.
Leggasi quando la protagonista - con un'altalenante qualità recitativa - afferma che tutti i suoi clienti non desiderino davvero morire. Sembra che la Golino (o la produzione) non voglia "urtare" la sensibilità dei patrocinatori del film, che come è noto è sponsorizzato da Rai Cinema e dalla regione Lazio, ecc.; lasciando aperto un dibattito senza infierire. In fondo deve essere un film per tutti (come si diceva una volta).
Questo è forse il limite tipico dell'italianità della produzione del duo Golino-Scamarcio. E quindi del film.
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giugy3000
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martedì 7 maggio 2013
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una golino ambiziosa ma poco seducente
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Se ne parlava come il film dell'anno, capace di far resuscitare un cinema italiano in declino, che rarissime volta porta sul piatto tematiche difficili ed attuali come quelli di vita e morte, men che mai da una donna dietro la macchina da presa e perdipiù al suo primo lungometraggio. Premettendo che a tali vicende così drammatiche e dibattute da millenni nella bioetica e fuori è impossibile dare votazioni, è bene segnalare attraverso un 7- del tutto simbolico e giocoso che la Golino ha dato vita ad una pellicola troppo ambiziosa e chi troppo vuole nulla stringe, perchè il risultato non è per nulla armonico, ma ricco di clichè imbarazzanti e bellissimi spunti riflessivi che rimangono ahimè irrisolti e mal abbozzati.
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Se ne parlava come il film dell'anno, capace di far resuscitare un cinema italiano in declino, che rarissime volta porta sul piatto tematiche difficili ed attuali come quelli di vita e morte, men che mai da una donna dietro la macchina da presa e perdipiù al suo primo lungometraggio. Premettendo che a tali vicende così drammatiche e dibattute da millenni nella bioetica e fuori è impossibile dare votazioni, è bene segnalare attraverso un 7- del tutto simbolico e giocoso che la Golino ha dato vita ad una pellicola troppo ambiziosa e chi troppo vuole nulla stringe, perchè il risultato non è per nulla armonico, ma ricco di clichè imbarazzanti e bellissimi spunti riflessivi che rimangono ahimè irrisolti e mal abbozzati.
Irene, nome in codice Miele, svolge una vera e propria doppia vita. Per i parenti, amici e fidanzato è una studentessa in trasferta che divide la stanza con una coinquilina, ma in realtà è un angelo di morte che a seconda delle chiamate di un suo compare (ex fidanzato e amico medico) pratica il suicidio assistito ai malati terminali. Attività balorda che richiede sangue freddo e numerosi spostamenti in Messico, paese nel quale Miele si rifornisce di un farmaco letale ma legale per sopprimere i cani e di cui, ovviamente, fa usufruire le sue vittime che hanno liberamente deciso di porre fine alla loro non-più-vita. Un giorno però si trova di fronte all'ingegner Grimaldi, uomo di mezza età che infrange alcune regole del suo non tanto etico lavoro: non solo non vuole alcun aiuto nella sua pratica di morte, ma non è vittima di nessuna malattia fisica apparente e il motivo alla base della sua scelta parrebbe "solo" una forte depressione. La ruotine di Miele vacilla fortemente e l'interrogativo decisivo è dietro l'angolo: varrà ancora la pena dedicare la sua vita a quell'attività? Lei, che si è sempre creduta sicura ed invincibile, non è forse ancor più fragile dei pazienti che ogni giorno le chiedono una buona morte?
La temeraria Golino ci mette di fronte ad uno dei muri più alti ed invalicabili dei discorsi sociali odierni con due pregi immensi: riesce a non scivolare mai nello stucchevole pur trattando della più lacrimevole delle trame e ci porta all'attenzione del suicidio assistito, tema quasi mai intavolato che differisce dall'eutanasia per il fatto che l'atto finale di togliersi la vita - somministrandosi le sostanze necessarie in modo autonomo e volontario - è compiuto interamente dal soggetto stesso e non da soggetti terzi.
La dispensatrice di morte della regista è un personaggio così lontano e così vicino a noi: ha solo trent'anni, sa cos'è il vero dolore per aver perso un genitore in tenera età, è ferma nel suo agire come una guerriera ma addolcisce i più tragici momenti dell'esistenza altrui, facendo scegliere il sottofondo musicale con cui andarsene, stordendo prima con della vodka il/la malato/a.
Interessantissime alcune scelte di sceneggiatura, una colonna sonora accattivante che stordisce a tratti lo spettatore, come se alzando il volume dell'ipod potessimo sentire meno il rumore del dolore;torna il tema del mare, caro già ad Amenàbar, dove Irene si immerge spesso, per purificarsi dopo ogni "esecuzione" come per lavarsi le ferite dell'animo che i suoi gesti giorno dopo giorno le creano. Altro pregio l'eccellente fotografica e last but not least l'eccezionale interpretazione di Jasmine Trinca, perla del cinema italiano che emanava sentore di successo già nella sua straziante parte in "La meglio gioventù" di Giordana. Arriviamo alle note dolenti. La parte di Carlo Cecchi nell'ingegner Grimaldi è sconnessa, sopra la righe, a tratti insulsa per ciò che riguarda l'intensità di confidenza che raggiungerà con Irene, legata a lui come ad un padre mancato e in certe scene ben oltre il semplice affetto. Tutto il film pare protendere verso un finale e un significato e poi ecco che invece il tutto si ribalta e si ha la sensazione di non comprendere fino in fondo quei sorrisi equivoci che a tratti Miele riserva a sè e al giro di vite che le ruota attorno. Un prodotto confezionato in maniera poco attenta, dove si evita sì il melenso ma si riesca anche di andar lontano da quel dolce trasporto che si deve avere guardando spettacoli così tristi. (difetto, questo, bissato già da Bellocchio). Assurda la velocità dei cambiamenti di vista e prospettive, poco credibili le vicende sentimentali di Miele che anch'esse ruotano continuamente, così come i suoi credi esistenziali che arrivano a sfiorare in ultimo una prospettiva quasi religiosa nel film mai contemplata!
Se dunque ci fermiamo, come fu già per "Bella addormentata" agli interrogativi innumerevoli sollevati da cui in emergono in punta di piedi le convinzioni dei registi, la pellicola è da lodare, ma se andiamo un po' oltre le macrotematiche e ne approfondiamo il loro svolgimento e la loro portata a livello scenografico, la delusione è assai vicina. Prodotto dal compagno Riccardo Scamarcio, il debutto di Valeria Golino purtroppo riesce solo a metà, facendoci ancora una volta riflettere sulla necessità di leggi chiare e necessarie sul non morire come animali nel buio della sofferenza, ma la storia non seduce e quel che è peggio si fa dimenticare presto, troppo presto.
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[+] ottimo commento
(di freerider)
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lisa casotti
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mercoledì 28 agosto 2013
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chapeau!
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Tanto di cappello alla Golino che confeziona, alla sua prima prova di regia, un film equilibrato (su un soggetto imbarazzante) e già segnato da uno stile, si cimenta in inquadrature difficili (come il campo medio nella stanza della prima cliente), forse esagera un po’ coi primi piani… e frutta al meglio la potente arma della colonna sonora.
Se la storia stanca, e sottolineo se (e solo un pochino), è perché è un susseguirsi di episodi simili da cui non ci si scosta, centrata com’è sul tema senza concedere divagazioni. E non si tratta di una disquisizione etica sull’eutanasia: è giusto o sbagliato, i pro e i contro, favorevoli o meno. È un azzardo molto più profondo. Con il personaggio di Miele, grazie ai suoi tratti umani e caratteriali, al suo apparente distacco professionale e al suo delicato calore solidale (e a contraddizioni ed eccessi e bugie quotidiane che la tengono sospesa, come avvolta da una nebbia che impedisce di mettere a fuoco il personaggio, perché lei è nessuno – “Devi essere invisibile” – e tutti noi), la Golino ci conduce alle viscere del problema.
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Tanto di cappello alla Golino che confeziona, alla sua prima prova di regia, un film equilibrato (su un soggetto imbarazzante) e già segnato da uno stile, si cimenta in inquadrature difficili (come il campo medio nella stanza della prima cliente), forse esagera un po’ coi primi piani… e frutta al meglio la potente arma della colonna sonora.
Se la storia stanca, e sottolineo se (e solo un pochino), è perché è un susseguirsi di episodi simili da cui non ci si scosta, centrata com’è sul tema senza concedere divagazioni. E non si tratta di una disquisizione etica sull’eutanasia: è giusto o sbagliato, i pro e i contro, favorevoli o meno. È un azzardo molto più profondo. Con il personaggio di Miele, grazie ai suoi tratti umani e caratteriali, al suo apparente distacco professionale e al suo delicato calore solidale (e a contraddizioni ed eccessi e bugie quotidiane che la tengono sospesa, come avvolta da una nebbia che impedisce di mettere a fuoco il personaggio, perché lei è nessuno – “Devi essere invisibile” – e tutti noi), la Golino ci conduce alle viscere del problema. Ovvero: a livello teorico posso essere favorevole all’eutanasia, ma se mi ritrovassi in una stanza davanti a una persona (nemmeno troppo cara) che ha deciso di morire (perché non può fare altrimenti o perché è quello che davvero desidera, come nel caso dell’ingegner Grimaldi), quale sarebbe, al di là di ogni riflessione e considerazione logica, il mio reale stato d’animo, la mia reazione emotiva alla fine “assistita” (nel significato di accudire, ma soprattutto in quello di essere presente, di vedere)? A livello pratico, insomma, che cosa proverei? Non respiro bene, ho l’affanno, il cuore in tachicardia…
In questo è stata davvero coraggiosa: abbandonata la querelle ci porta dritti alla prova del nove, superando e doppiando la Bella addormentata di Bellocchio, con un’intuizione così sentimentale.
E voglio dire un gran bene anche della Trinca che in Un giorno devi andare non mi aveva affatto convinto (benché la consideri un’ottima attrice), e che invece qui (quanto è vero che un attore è nelle mani del regista!) regge egregiamente il peso del film (forse calca troppo la camminata maschia…) e un ruolo scomodo e complesso.
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zummone
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mercoledì 29 maggio 2013
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ottimo esordio della golino
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Titolo antifrastico per l'esordio alla regia di Valeria Golino. E argomento scivoloso e di scottante attualità: il suicidio assistito.
Irene (Jasmine Trinca), per i suoi "clienti" Miele, è una giovane donna che aiuta a morire le persone malate, con un farmaco che compra in Messico.
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Titolo antifrastico per l'esordio alla regia di Valeria Golino. E argomento scivoloso e di scottante attualità: il suicidio assistito.
Irene (Jasmine Trinca), per i suoi "clienti" Miele, è una giovane donna che aiuta a morire le persone malate, con un farmaco che compra in Messico. Li accompagna, nell'ultimo gesto estremo, con la scelta della musica e le volontà degli ultimi istanti, spesso insieme ai famigliari. Nel resto della sua vita, corre frenetica, forse nel tentativo di esorcizzare quella morte, che ogni giorno affronta: nuota in mare, davanti alla sua piccola casa, ha una relazione randagia con un uomo sposato (Vinicio Marchioni) e un amico/complice infermiere (Libero de Rienzo). Tutto scorre, nel difficile compito che ha scelto di assumere, finchè incontra l'ingegner Grimaldi (Carlo Cecchi): un uomo che vuole morire, ma non per una malattia debilitante o in fase terminale. Grimaldi è solo stanco di vivere, annoiato perennemente, depresso, si direbbe. Irene va in crisi, di fronte a questo anomalo soggetto: ruvido, spigoloso, dalla battuta caustica e piuttosto solitario. I due legano, in maniera rabbiosa e conflittuale, in una situazione strana: Irene pensa che sta commettendo un omicidio e non ne vuole sapere, all'inizio, finendo poi per interessarsi e preoccuparsi dell'uomo scorbutico che ha conosciuto; Grimaldi, forse, non vuole morire così in fretta.
Senza finali consolatori o buonisti, il film affronta il tema con delicatezza e senza giudizi. Ottima opera prima della Golino, navigata attrice italiana, per anni attiva ad Hollywood, tratta dal romanzo "A nome tuo" di Mauro Covacich. Una sceneggiatura stringata, fatta di sottrazioni e sospesi, che non indulge nella lacrima facile. Bravissimi i due protagonisti, in una bella squadra di interpreti: merito di Jasmine Trinca, dallo sguardo triste e la grinta genuina che dà al suo personaggio, e a Carlo Cecchi, vecchia gloria del nostro teatro, dagli occhi dolenti e magnetici e il carisma innato.
Andrà a Cannes, nella sezione "Un certain regard".
Auguri... se li merita tutti!
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jeremiah
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martedì 4 giugno 2013
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"l'aspirante" golino
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Miele ,alias Irene, è una giovane donna che in cambio di cospicue somme di denaro aiuta a morire malati terminali tramite la pratica del suicidio assistito.
Valeria Golino,attrice fuori standard, si cimenta nel lungometraggio prendendo spunto dal romanzo di Marco Covacich "A nome tuo".
Sebbene i punti di forza dell'opera prima della Golino si evidenzino con una buona dose di dimestichezza e rigore nell' uso della macchina da presa ,che la neo regista dimostra con piglio di conoscere ,il film , nella sua complessità,risulta essere poco convincente e coinvolgente, manifestando le noti dolenti proprio nell'impianto narrativo: L'autrice quasi a volersi compiacere troppo nel non mostrare, asciuga eccessivamente il racconto di una storia che forse sul piano emozionale avrebbe meritato un respiro più ampio, sin da subito la narrazione diventa statica ,quasi impersonale , a tratti seccante ,indugia troppo con superflui simbolismi ,personaggi di contorno e scene di vita quotidiana che mal si assortiscono con la storia e il tema centrale del film.
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Miele ,alias Irene, è una giovane donna che in cambio di cospicue somme di denaro aiuta a morire malati terminali tramite la pratica del suicidio assistito.
Valeria Golino,attrice fuori standard, si cimenta nel lungometraggio prendendo spunto dal romanzo di Marco Covacich "A nome tuo".
Sebbene i punti di forza dell'opera prima della Golino si evidenzino con una buona dose di dimestichezza e rigore nell' uso della macchina da presa ,che la neo regista dimostra con piglio di conoscere ,il film , nella sua complessità,risulta essere poco convincente e coinvolgente, manifestando le noti dolenti proprio nell'impianto narrativo: L'autrice quasi a volersi compiacere troppo nel non mostrare, asciuga eccessivamente il racconto di una storia che forse sul piano emozionale avrebbe meritato un respiro più ampio, sin da subito la narrazione diventa statica ,quasi impersonale , a tratti seccante ,indugia troppo con superflui simbolismi ,personaggi di contorno e scene di vita quotidiana che mal si assortiscono con la storia e il tema centrale del film.
insomma, tra luci e molte ombre, "Miele"e l'operato di Valeria Golino vanno ad ascriversi nella media dell'appena accettabile .
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bigio
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mercoledì 9 aprile 2014
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miele per addolcire la morte
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Miele, un nome scelto per addolcire, ma in realtà uccide, Irene, questo il vero nome di Miele, è un killer, procura la morte a pagamento a persone malate che scelgono la fine della loro vita terrena. Il nòcciolo del film è proprio qui, abituata a favorire il trapasso di malati terminali, si imbatte in un uomo non più giovane, ancora in salute, ma tormentato dalla depressione che ugualmente decide di togliersi la vita dolcemente col Nembutal. Irene, trentenne legata ad un uomo sposato, ruba l’amore e viaggia spesso per procurarsi il potente barbiturico, è una ragazza fredda, ma le sue certezze e gli abili psicologici adottati, cominciano a sgretolarsi quando cambiano le procedure. Con il suo inusuale e simpatico cliente, in un certi aspetti simile a lei caratterialmente, nasce un rapporto particolare che tuttavia finisce in tragedia.
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Miele, un nome scelto per addolcire, ma in realtà uccide, Irene, questo il vero nome di Miele, è un killer, procura la morte a pagamento a persone malate che scelgono la fine della loro vita terrena. Il nòcciolo del film è proprio qui, abituata a favorire il trapasso di malati terminali, si imbatte in un uomo non più giovane, ancora in salute, ma tormentato dalla depressione che ugualmente decide di togliersi la vita dolcemente col Nembutal. Irene, trentenne legata ad un uomo sposato, ruba l’amore e viaggia spesso per procurarsi il potente barbiturico, è una ragazza fredda, ma le sue certezze e gli abili psicologici adottati, cominciano a sgretolarsi quando cambiano le procedure. Con il suo inusuale e simpatico cliente, in un certi aspetti simile a lei caratterialmente, nasce un rapporto particolare che tuttavia finisce in tragedia. Due personaggi che si scontrano e si “amano”, con dialoghi che riescono a volte ad essere divertenti. Prima prova positiva alla regia della Golino, che tratta un argomento difficile e scabroso come l’eutanasia, addolcendolo stilisticamente e tecnicamente in maniera elegante. Appropriata anche la colonna sonora, contribuisce spesso a vivacizzare alcuni tratti del film che a volte rallenta. Bene anche Jasmine Trinca, non però al top. Film profondo e di spessore, da non perdere.
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aesse
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sabato 1 giugno 2013
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sciegliere se vivere o morire
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MIELE: SCIEGIERE SE VIVERE O MORIRE
Bisogna sapere trovare gli argomenti deterrenti adeguati alle circostanze: lo leggevo tanti anni fa in alcuni scritti di Cesare Musatti il quale spiegava quanto potesse risultare infausto parlare del pericolo della droga ai drogati che proprio quello, cioè il pericolo e la continua scommessa con la morte cercano. Questo pensiero mi è subito tornato in mente vedendo “ Miele”.
Il miele è una sostanza non solo dolce come la morte che Irene, la ragazza protagonista del film ben poco in pace con sé stessa contraddicendo il proprio nome, induce, ma soprattutto, nutriente.
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MIELE: SCIEGIERE SE VIVERE O MORIRE
Bisogna sapere trovare gli argomenti deterrenti adeguati alle circostanze: lo leggevo tanti anni fa in alcuni scritti di Cesare Musatti il quale spiegava quanto potesse risultare infausto parlare del pericolo della droga ai drogati che proprio quello, cioè il pericolo e la continua scommessa con la morte cercano. Questo pensiero mi è subito tornato in mente vedendo “ Miele”.
Il miele è una sostanza non solo dolce come la morte che Irene, la ragazza protagonista del film ben poco in pace con sé stessa contraddicendo il proprio nome, induce, ma soprattutto, nutriente. Forse è questo l’aspetto che sfugge a Irene, un’intensa e asciutta Jasmine Trinca, quando si “ incaponisce” a voler vaccinare con la vita il desiderio inconvertibile di morte dell’ingegnere Carlo Grimaldi, un così leggero e fresco Carlo Cecchi, che anche noi, seguendo la storia, siamo presi dallo stesso impulso.
Troppo facile sentirsi a posto con la coscienza aiutando il sopravvenire della morte là dove non c’è più vita ma solo respiro e battito cardiaco, seguendo una vocazione conseguente al dolore impotente sofferto di fronte alla prematura morte della madre che ci arriva attraverso immagini di spensieratezza infantile sulla neve. La giovane donna, protagonista del film, corre, nuota, si sfinisce di fatica, viaggi e falsi amplessi, sorda al mondo, sempre con l’auricolare alle orecchie, ma soprattutto a se stessa.
I fatti inarrestabili dimostreranno che potrà avere il nutrimento del miele e la pace a cui rimanda il suo nome Irene, solo accettando la libera scelta di morte che come in natura, rigenerandosi, dona nuova vita.
Argomento forte per questa prima regia di Valeria Golino che ha cercato il difficile cimento superandolo con una regia asciutta, severa, internazionale e che con sguardo laico impone alla discussione un argomento ostico, tutto da derimere per una società come la nostra che di diritto assoluto di scelta sulla propria vita non ne vuole proprio sapere.
ANTONELLA SENSI
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pensierocivile
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sabato 19 ottobre 2013
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vita e morte di un ingegnere stanco
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Miele, nel suo lavoro non è dolce, è fredda, distaccata, impenetrabile. Lo scopo è vegliare sulla procedura che consentirà ai malati, imprigionati in corpi ormai in disfacimento, di porre fine alle proprie sofferenze. Quando però, nella sua vita compare Carlo Grimaldi, un ingegnere semplicemente stanco di vivere, tutte le certezze di Miele-Irene cominciano a sgretolarsi, dal rapporto con i suoi “datori di lavoro”, alla finzione di un amore con un uomo legato ad un'altra donna. Denso e bellissimo questo film di Valeria Golino, tanto feroce nell'analisi dei protagonisti da riuscire a mutare il distacco in sofferenza indicibile, perfino in dolore fisico, in un crescendo naturale, intimo, bisognoso “dell'altro”.
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Miele, nel suo lavoro non è dolce, è fredda, distaccata, impenetrabile. Lo scopo è vegliare sulla procedura che consentirà ai malati, imprigionati in corpi ormai in disfacimento, di porre fine alle proprie sofferenze. Quando però, nella sua vita compare Carlo Grimaldi, un ingegnere semplicemente stanco di vivere, tutte le certezze di Miele-Irene cominciano a sgretolarsi, dal rapporto con i suoi “datori di lavoro”, alla finzione di un amore con un uomo legato ad un'altra donna. Denso e bellissimo questo film di Valeria Golino, tanto feroce nell'analisi dei protagonisti da riuscire a mutare il distacco in sofferenza indicibile, perfino in dolore fisico, in un crescendo naturale, intimo, bisognoso “dell'altro”. I due protagonisti sono lo specchio limpido dei propri drammi e ancora una volta Carlo Cecchi dopo MORTE DI UN MATEMATICO NAPOLETANO si ritrova con un personaggio e il suo rapporto con l'esistenza: nel film di Martone un professore troppo vorace di vita e dunque inadatto alla pochezza della quotidianità, in MIELE un uomo unicamente stanco, senza alcuna ulteriore richiesta da scommettere col destino. Un film importante, che alcuni passaggi leggermente retorici nei dialoghi, non scalfiscono, anzi è nella reazione all'imperfezione che trova una forza maggiore nella compiutezza “dell'omaggio” finale.
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eugenio
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martedì 5 novembre 2013
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cronaca di una morte annunciata
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Mieleovvero Cronaca di una morte annunciata. Così potremmo definire l’esordio alla regia di Valeria Golino vincitrice della scorsa edizione del Festival del Cinema di Cannes sezione Certain Regard. Un film decisamente importante che si occupa di uno dei due aspetti essenziali dell’esistenza: la fine della vita e i rimedi efficaci che possono alleviarla senza evitare inutili sofferenze.
La questione morale è forte e la presenza di illustri passati quali Million Dollar Baby, Il peso della farfalla costituiscono un peso sulla coscienza che l’attrice/regista si è trovata a dover affrontare tentando di declinare, data anche la delicatezza dell’argomento, possibili giudizi in merito a una difficile scelta etica.
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Mieleovvero Cronaca di una morte annunciata. Così potremmo definire l’esordio alla regia di Valeria Golino vincitrice della scorsa edizione del Festival del Cinema di Cannes sezione Certain Regard. Un film decisamente importante che si occupa di uno dei due aspetti essenziali dell’esistenza: la fine della vita e i rimedi efficaci che possono alleviarla senza evitare inutili sofferenze.
La questione morale è forte e la presenza di illustri passati quali Million Dollar Baby, Il peso della farfalla costituiscono un peso sulla coscienza che l’attrice/regista si è trovata a dover affrontare tentando di declinare, data anche la delicatezza dell’argomento, possibili giudizi in merito a una difficile scelta etica. Scelta che dunque trascende da cosa è bene e cosa è male ma pone lo spettatore dinanzi ad una domanda a cui non è preparato a rispondere: come si guarda in faccia alla morte,la vecchia signora dalla quale di solito si distoglie lo sguardo e alla quale si chiede sempre “un minuto in più”.
Con uno stile semplice, asciutto forse troppo dinamico nella descrizione di alcune scene, Golino descrive la parabola discendente di una straordinaria Jasmine Trinca nei panni di Irene, alias Miele che di professione svolge il mestiere di “aiutare” i malati terminali a morire clandestinamente attraverso un farmaco illegale, una medicina per cani, reperita in Messico e ovviamente irregolare in Italia.
Mielenon è una missionaria. E’ un’anima “dannata” che uccide per soldi. Cinica e spregiudicata, non si preoccupa del destino dei malati incontrati ma assiste passivamente i mariti/sorelle/mogli degli incurabili pazienti a somministrare il veleno ai loro cari. E’ una “morte” indifferente dotata tuttavia di un’umanità inaspettata, un cuore debole e solitario che cerca i rapporti fuggendo immancabilmente da essi. Un diafano vetro la sembra separare dalla socialità: le sfuggenti relazioni umane volontariamente rifuggite in discoteca, contrastano con la furia e il bisogno irrefrenabile di vita che traspare nei lunghi giri in bici e nelle nuotate in piscina (l’acqua è un eccellente metafora di cambiamento,di riflusso) come valvola di sfogo delle sue azioni represse e spese in amori fugaci e senza impegno, consumandosi nel suo movimento.
Mieleè quindi malgrado la tematica particolarmente pessimista come si potrebbe erroneamente pensare, un inno alla vita che permea la morte sconfiggendola nella forza dei sentimenti e nella ragione attraverso un lungo cammino di ricerca personale. La protagonista Irene nei suoi molteplici malati troverà in uno di questi (che per un fraintendimento crederà voglia lasciarsi morire), un settantenne ingegnere cinico ma dall’anima goffa e sincera (Carlo Cecchi) una nuova via per guardare l’esistenza da quel punto di vista a lungo sopito ma mai dimenticato.
Lo scontro tra le due correnti di pensieri che si tramuta in un empasse generazionale sul significato di temi “universali” ben presto scandisce in un’amorosa amicizia e comunione, quella di due solitudini “prime” per dirla alla Giordano, che si completano l’uno dell’altra sino a divernirne inscindibili, a necessitare gli uni degli altri.
Malgrado la delicata tematica, Miele non giudica e non manifesta politicamente posizioni per o contro l’eutanasia. Lascia ad ogni uomo il diritto di scegliere sulla propria vita senza vincoli o legami con uno stile cinematografico originale, una musica di repertorio classica che non induce a commuoversi ma lascia nei volti lividi e scavati dalla malattia molto da riflettere. Da un adattamento del libro “A nome tuo” di Mauro Covacich.
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rita branca
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domenica 1 giugno 2014
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“gesti d’amore sotto accusa” di rita branca
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Miele (2013) film di Valeria Golino con Jasmine Trinca, Carlo Cecchi, Libero De Rienzo , Vinicio Marchioni, Iaia Forte, Roberto De Francesco, Barbara Ronchi, Massimiliano Iacolucci, Claudio Guain, Elena Callegari, Teresa Acerbis, Jacopo Crovella, Valeria Bilello, Gianluca De Gennaro.
Un altro film impegnato sul difficile tema dell’eutanasia, diretto da una straordinaria Valeria Golino, che, anche in veste di regista, dà prova di doti di bravura non inferiori a quelle di attrice apprezzata giustamente anche a livello internazionale. In questa opera prima, la Golino tratta con grande sensibilità, serietà e spessore il delicatissimo tema su cui ci si tormenta, dando luogo ad un dibattito inesaurito.
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Miele (2013) film di Valeria Golino con Jasmine Trinca, Carlo Cecchi, Libero De Rienzo , Vinicio Marchioni, Iaia Forte, Roberto De Francesco, Barbara Ronchi, Massimiliano Iacolucci, Claudio Guain, Elena Callegari, Teresa Acerbis, Jacopo Crovella, Valeria Bilello, Gianluca De Gennaro.
Un altro film impegnato sul difficile tema dell’eutanasia, diretto da una straordinaria Valeria Golino, che, anche in veste di regista, dà prova di doti di bravura non inferiori a quelle di attrice apprezzata giustamente anche a livello internazionale. In questa opera prima, la Golino tratta con grande sensibilità, serietà e spessore il delicatissimo tema su cui ci si tormenta, dando luogo ad un dibattito inesaurito. Irene o Miele, la deliziosa e quasi costantemente corrucciata protagonista, interpretata in maniera davvero convincente dalla bravissima Jasmine Trinca, è un’ex studentessa di medicina, con un passato familiare tragico e, forse anche per questo, è motivata ad operare in un’organizzazione clandestina che aiuta i malati terminali a trapassare senza dover soffrire inutilmente, fornendo loro la dose letale di farmaci destinati ad uso veterinario, illegali in Italia ma reperibili all’estero, dietro compenso che le permette di pagare i costosi voli che deve affrontare per acquistarli, rischiando così continuamente di essere arrestata alla dogana. Il compito che svolge scrupolosamente, testando fino alla fine se il paziente che ha deciso di porre fine alla sua insostenibile esistenza, ha cambiato idea sul suo triste intento, le procura molto turbamento, stress e infinita pena poiché assiste alla scena finale che coinvolge anche i parenti più prossimi.
La sua vita si complica ulteriormente quando si imbatte in un “candidato” che, dopo la consegna del farmaco, dichiara di stare benissimo dal punto di vista fisico, che semplicemente non prova più alcun interesse per la vita, e sembra avere tutte le caratteristiche di una creatura fortunata, senza alcun reale motivo di dover anticipare la sua morte. Così la vicenda diventa ancor più stimolante aprendo un inaspettato capitolo e assume toni meno tragici, soffusi di speranza e i colpi di scena mai scontati o banali continueranno a tener desta l’attenzione dello spettatore, commuovendolo profondamente e obbligandolo a porsi quesiti su un tema che sempre più spesso riguarda la società contemporanea.
Davvero il bello abbonda in questo film: splendida la fotografia, bella e opportuna la colonna sonora, tante le inquadrature che inneggiano alla magnificenza della vita e che per contrasto fanno più lacerante il dolore di doverla interrompere quando è impossibile goderla come si meriterebbe.
Applausi.
Rita Branca
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