Superstar

Un film di Xavier Giannoli. Con Kad Merad, Cécile De France, Louis-Do de Lencquesaing, Alberto Sorbelli, Pierre Diot.
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Commedia, durata 112 min. - Francia, Belgio 2012. MYMONETRO Superstar * * - - - valutazione media: 2,35 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Divo per caso

di Natalia Aspesi La Repubblica

È un uomo di mezza età, di aspetto dimesso, senza famiglia: ogni giorno prende il metrò, con in mano un sacchetto di plastica che non molla mai e va in un laboratorio di elettronica dove sovrintende al lavoro di ragazzi disabili. Persone come lui, come Martin Kazinski, non le vede nessuno, sono invisibili, e proprio per questo liberi, sereni. Ma un mattino, di colpo, senza ragione, la gente sulla metro, e poi in strada, comincia a fotografarlo con gli smartphone, a gridare il suo nome, a inseguirlo; Internet lancia notizie su di lui, Facebook si riempie di sue fotografie anche di quand' era bambino, su Twitter furoreggiano commenti su di lui, si formano muri di fotoreporter, la folla lo assale, la polizia interviene: c' è un inseguimento dentro un tunnel parigino, con decine di scooter che non mollano l' auto dove ha trovato rifugio, che ricorda quello che nel 1997 causò la morte della principessa Diana. Kazinski è terrorizzato: non capisce perché gli stia succedendo tutto questo, cosa ha fatto per diventare, ovunque, anche in un supermercato, una preda, un miraggio, una star, di quelle a cui tutti chiedono l' autografo, di cui s' impossessano i media perché è una celebrità che i media stessi hanno inventato. Superstar, del quarantenne regista francese Xavier Giannoli, in concorso, ci fa precipitare nel mondo horror e grottesco in cui viviamo senza quasi più percepirlo,e che pure dice il regista «sta per fortuna diventando obsoleto: quello in cui tutto si sbriciola nell' incultura e nel superfluo», che nel terrore della mediocrità tenta di cancellare le eccellenze, riducendo anche la politica al pettegolezzo, e l' arte al gioco, e la letteratura all' illetteratura, togliendo alla televisione e agli altri media la realtà per umiliarla con i reality. Giannoli si è ispirato a un romanzo di Serge Joncour, The Idol che però risale al 2005, e infatti per fortuna, questo infausto tipo di celebrità del nulla, che per esempio fa di una ragazza che pubblicizza mutande e di un politico corrotto due divi ovunque applauditi, «sta già diventando obsoleto. Lo ritengo una forma molto pericolosa di adeguamento al peggio che non solo distrugge la cultura e il pensiero, ma può preparare a forme morbide di dittatura». Quindi ha inventato questo personaggio, «star per caso, che dichiara guerra alla sua inquietante, assurda celebrità, e la rifiuta, con tutte le sue forze, con il potere della sua ingenuità e della coscienza orgogliosa di essere nessuno». Ma ormai, il Guantanamo mediatico lo ha afferrato, una bella produttrice televisiva (Cecile de France), se ne prende cura per il proprio successo, e lui si ritrova, col suo maglioncino e la sua calvizie, in uno di quei talk show che esaltando il suo grigiore, lo rendono ancora più popolare. Il presentatore, giovane, bello e ambizioso rischia il licenziamento per averlo definito in diretta "banale", mentre tutti i banali di Francia, gridando appunto "je suis banall", si sentono superstar. Quando il solito filosofo scemo da talk show gli rivolge altezzose domande ingarbugliate, il divo riluttante che non sa che dire, spalanca la bocca in un lunghissimo grido di strazio e ribellione: e tutti i francesi lo imitano, in un assordante clamore liberatorio di casalinghe e cantanti, medici e partorienti, mendicanti e monache. Il film dovrebbe finire qui, con questo grido di soddisfatto, allegro rifiuto, e allora sarebbe quasi perfetto, oltre che molto divertente. E invece prosegue per altri venti minuti, per raccontarci l' ovvia caduta dell' idolo, con ultime scene che contrariamente a tutta la tesi del film, consentono all' omino qualunque un legame d' amore che non sarebbe mai nato se non ci fossero stati quei giorni folli di notorietà. Il protagonista è l' attore di origine algerina Kad Merad, celebre in Francia per film come Giù al Nord, che invece al suo successo tiene molto «perché me lo sono sudato e ho impiegato anni a conquistarlo, appartengo cioè alla vecchia stirpe di chi se lo merita». Sono terrorizzanti, anche se molto realiste, le scene delle trasmissioni televisive in diretta col pubblico osannante, il caos, l' eccitazione, le nevrosi, i terrori, l' assenza di gioco e di ironia, che trasformano ogni minuzia in un momento di epico trambusto; e la serietà con cui si discute su notizie aberranti e personaggi terrificanti, e la scena meravigliosa del produttore televisivo «che crede di aver finalmente trovato il nuovo personaggio di successo in questo omino che continua a rifiutarsi, e che per questo farà audience. La dittatura mediatica può essere tale da stritolare la volontà delle persone». Giannoli definisce il suo personaggio kafkiano, cioè una persona che si ritrova ad essere altro, spodestato da se stesso come il Gregor Samsa di La Metamorfosi. Dei tanti film che hanno affrontato il tema del potere televisivo e della sua invadenza nelle vite delle persone, ha amato soprattutto Quinto potere di Sidney Lumet, che risale al 1976 e già allora ne raccontava i suoi deliri.
Da La Repubblica, 31 agosto 2012


di Natalia Aspesi, 31 agosto 2012

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