pedro
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giovedì 21 settembre 2017
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noir-comico
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Insomma...un film che può anche intrattenere (funzione primaria del cinema) ma con troppe pecche. Insomma: non si capisce se è un film noir-comico, un drammatico-noir-arti marziali. Mah?
Che ci siano carneficine, alcune di queste perpetrare addirittura a colpi di femore di vacca, che in corea si entri nei porti senza alcun controllo, che la polizia sia inetta od assente, che le bande criminali usino solo armi da taglio, tutto ci può stare, in quadro noir-comico.
Ma che i due protagonisti siano quasi immortali...ecco, forse qualche dubbio ci vorrebbe. Insomma, vedibile ma nessun capolavoro.
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laurence316
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martedì 3 gennaio 2017
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na e il thriller con risvolti politici e sociali
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A seguito della grande visibilità e risonanza internazionale ottenuta in vari festival con il suo precedente The Chaser (indimenticabile e tragico thriller livido e tenebroso), Na si sente di poter osare ancora di più e, con ambizioni sempre più elevate, torna con questo suo secondo film, un thriller d’azione splatter e violentissimo, tragico e disperato.
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A seguito della grande visibilità e risonanza internazionale ottenuta in vari festival con il suo precedente The Chaser (indimenticabile e tragico thriller livido e tenebroso), Na si sente di poter osare ancora di più e, con ambizioni sempre più elevate, torna con questo suo secondo film, un thriller d’azione splatter e violentissimo, tragico e disperato.
Na, ancora una volta narratore di un’umanità persa, senza vie di scampo e in preda di istinti primordiali, descrive stavolta anche la situazione di un popolo dimenticato, di una parte di umanità relegata in una terra di nessuno stretta tra Corea del Nord, Cina e Russia: la prefettura autonoma di Yanbian. Tra gli abitanti di questo luogo vi sono i cosiddetti Joseonjok, che sono una corposa popolazione di sino-coreani che parlano entrambe le lingue, ma che vengono visti come stranieri dai primi e con ripugnanza dai secondi.
The Yellow Sea di certo conferma le doti del regista Na e le grandi potenzialità del suo cinema, ma è fin troppo discontinuo e parte piuttosto in sordina, mettendoci oltre un’ora per ingranare, e per esplodere in fragorose e spettacolari sequenze d’azione, mentre prima si preoccupa di offrire uno spaccato di terribile realismo che descrive la miserevole situazione in cui versano individui come il protagonista Gu-nam. Frammento interessante, ma tirato troppo per le lunghe (e la versione originale dura addirittura 157’!).
Si passa poi ad un escalation inarrestabile di tensione e violenza che culmina in un finale atroce e sconsolato. Questa è di gran lunga la parte più riuscita, anche se, dopo qualche tempo, le pur perfettamente realizzate scene d’azione inducono a stanchezza. La nervosissima camera a mano bracca i personaggi, e in particolare il protagonista Gu-nam, e lo stile del regista è ancora indubbiamente efficace, anche se non supportato da una trama all’altezza, com’è invece il caso di The Chaser. Rimane comunque il fatto che alcune sequenze sono magistrali: è il caso dell’omicidio o dell’inseguimento in auto tra Gu-nam e Myun-ga, in cui una volta in più la polizia coreana finisce per fare una figura persino più magra del solito. Ed eccellenti sono le prove dei due protagonisti Ha Jung-woo e Kim Yun-seok, a ruoli invertiti rispetto a The Chaser.
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luposilvestro
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domenica 11 agosto 2013
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i coreani sono avanti...
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gli anni '00 del ventunesimo secolo hanno avuto i loro classici del cinema coreano. Solo per dirne un paio "old boy" e "memory of murder" su tutti. Ma cosa rende un film per essere considerato un classico? La mia modesta opinione è che si parla di classico quando un'opera è fruibile da tutti, senza distinzioni. quando non ha bisogno di un supporto stilistico od/e un 'impronta soggettiva del regista per farlo emergere. Basta un minimo di sensibilità artistica e basta. "The Yellow Sea" verrà considerato, tra qualche anno, un classico. L'incredibile di questo film è che riesce a far scorrere le più di due ore di tempo senza annoiare e rimanendo impersonale nella sua personalità... un classico appunto.
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gli anni '00 del ventunesimo secolo hanno avuto i loro classici del cinema coreano. Solo per dirne un paio "old boy" e "memory of murder" su tutti. Ma cosa rende un film per essere considerato un classico? La mia modesta opinione è che si parla di classico quando un'opera è fruibile da tutti, senza distinzioni. quando non ha bisogno di un supporto stilistico od/e un 'impronta soggettiva del regista per farlo emergere. Basta un minimo di sensibilità artistica e basta. "The Yellow Sea" verrà considerato, tra qualche anno, un classico. L'incredibile di questo film è che riesce a far scorrere le più di due ore di tempo senza annoiare e rimanendo impersonale nella sua personalità... un classico appunto. Qualcosa più paragonabile ad un buon libro che ad un film. Da vedere assolutamente come buona parte del cinema coreano.
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dave san
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giovedì 18 luglio 2013
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un noir "slapstick"
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Il gangster Myun Jung-hak propone a Gu-nam, tassista suo debitore, di recarsi in Corea per eliminare un uomo. Il tassista accetta suo malgrado, attratto soprattutto dalla possibilità di ritrovare la moglie tornata appunto in Corea. Della donna non si sa più nulla e Gu-nam è intenzionato a ritrovarla. La pellicola riporta questo viaggio con realismo e crudezza. Sin dalle prime inquadrature è evidente che il nostro dovrà invischiarsi. Una volta sbarcato, Gu-nam si mimetizza indossando un cappellino alla Glenn Rhee (The Walking Dead) che lo trasforma in una icona spiritosa di “coreanità” per lo spettatore occidentale. La caratteristica scenografica di questo film consiste inoltre nella fisicità degli scontri e degli inseguimenti corpo a corpo.
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Il gangster Myun Jung-hak propone a Gu-nam, tassista suo debitore, di recarsi in Corea per eliminare un uomo. Il tassista accetta suo malgrado, attratto soprattutto dalla possibilità di ritrovare la moglie tornata appunto in Corea. Della donna non si sa più nulla e Gu-nam è intenzionato a ritrovarla. La pellicola riporta questo viaggio con realismo e crudezza. Sin dalle prime inquadrature è evidente che il nostro dovrà invischiarsi. Una volta sbarcato, Gu-nam si mimetizza indossando un cappellino alla Glenn Rhee (The Walking Dead) che lo trasforma in una icona spiritosa di “coreanità” per lo spettatore occidentale. La caratteristica scenografica di questo film consiste inoltre nella fisicità degli scontri e degli inseguimenti corpo a corpo. Abbastanza rare sono le armi da fuoco, contrariamente ad accette e armi da taglio. Automobili e camion sono distruttibili; utilizzati perlopiù come sedie, tavoli o vetrate da saloon. Le fughe, veri e propri congegni d’azione. Gu-nam si trova inseguito da orde di scagnozzi e di volanti della polizia che si tamponano nel traffico e si ribaltano a gruppi per strada. La storia si sviluppa sempre più in discesa, sino allo stremo della resistenza umana per un personaggio costretto a correre e a combattere per i tre quarti della pellicola. Lo stile registico sembra voler infondere un alone grottesco e satirico a un racconto tutt’altro che conciliante. L’atmosfera è feroce, l’umore dei protagonisti è torvo. La storia profondamente disillusa. Gu-gnam riesce alla fine a imbarcarsi sul traghetto per il ritorno. Ci lascerà esausto, cullato dal buio, nel mezzo del mare giallo.
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vincenzo iennaco
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venerdì 17 maggio 2013
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ed il naufragar non m'è dolce in questo mare
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E fu così che il Mar Giallo si trasformò in un lago di sangue (e forse “The Red Lake” sarebbe stato un titolo più appropriato).
Per procurare alla moglie un visto d'espatrio per la Corea, il tassista Gu Nam contrae un forte debito con un boss locale e non riuscendolo a saldare accetta l'incarico di andare in Corea ad uccidere un uomo (con la speranza di ricongiungersi anche con la moglie). Dopo questa prima parte dai toni che danno più sul drammatico, il film cambia genere e ritmo e prende il via una lunga teoria di lotte cruente ed inseguimenti estenuanti (e al limite dell'inverosimile), che sembrano portare sempre più verso un finale senza spiragli di redenzione.
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E fu così che il Mar Giallo si trasformò in un lago di sangue (e forse “The Red Lake” sarebbe stato un titolo più appropriato).
Per procurare alla moglie un visto d'espatrio per la Corea, il tassista Gu Nam contrae un forte debito con un boss locale e non riuscendolo a saldare accetta l'incarico di andare in Corea ad uccidere un uomo (con la speranza di ricongiungersi anche con la moglie). Dopo questa prima parte dai toni che danno più sul drammatico, il film cambia genere e ritmo e prende il via una lunga teoria di lotte cruente ed inseguimenti estenuanti (e al limite dell'inverosimile), che sembrano portare sempre più verso un finale senza spiragli di redenzione.
Con questo film Hong-jin Na acuisce ancor più il climax del genere, dando una continuità al fruttuoso filone sudcoreano degli ultimi tempi.
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vincenzo iennaco
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giovedì 16 maggio 2013
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e il naufragar non m'è dolce in questo mar
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Forse sarebbe stato più appropriato intitolarlo "The Red Lake", perchè in fondo si riduce tutto a questo: un grande lago di sangue.
Per aver procurato un visto d'espatrio alla moglie, un tassista contrae un forte debito con un boss locale e non riuscendolo a saldare accetta la proposta di andare in Corea ad uccidere un uomo (con nel cuore la speranza di riuscire a ricongiungersi con la moglie). Ma non è questa una storia di redenzione. Lo attenderanno solo inganni e violenza.
Il film è strutturato in due parti: la prima, con un taglio più sul drammatico, contestualizza e giustifica la seconda, dove si passa all'azione pura (anche se a tratti esasperata ed inverosimile).
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Forse sarebbe stato più appropriato intitolarlo "The Red Lake", perchè in fondo si riduce tutto a questo: un grande lago di sangue.
Per aver procurato un visto d'espatrio alla moglie, un tassista contrae un forte debito con un boss locale e non riuscendolo a saldare accetta la proposta di andare in Corea ad uccidere un uomo (con nel cuore la speranza di riuscire a ricongiungersi con la moglie). Ma non è questa una storia di redenzione. Lo attenderanno solo inganni e violenza.
Il film è strutturato in due parti: la prima, con un taglio più sul drammatico, contestualizza e giustifica la seconda, dove si passa all'azione pura (anche se a tratti esasperata ed inverosimile). Se in fatto di esagerazioni gli americani la fanno da padrone, anche in questo film i coreani non son da meno.
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vincenzo iennaco
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giovedì 16 maggio 2013
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ed il mar giallo divenne un lago rosso
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Un tassista che ha contratto un forte debito con un boss locale accetta di saldare il conto partendo per la Corea dove dovrà uccidere un uomo. Un "plot" scarno e banale che dà inizio al vero intento del film e cioè trasformare il tutto in un cruento gioco al massacro ed "affondare" in un lago di sangue (forse sarebbe stato più appropriato il titolo "The Red Lake").
Se si superano i preamboli contestuali della prima parte, da metà film in poi non ci si annoia di certo, anche se inseguimenti e lotte appaiono inverosimili ed irritanti (come nel caso dei poliziotti piagnucolanti dopo un'inseguimento fallito). Insomma, senza usare l'inflazionato termine "americanata" ci troviamo dinanzi al sorgere di uno nuovo: "coreanata".
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