laurence316
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martedì 3 gennaio 2017
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na e il thriller con risvolti politici e sociali
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A seguito della grande visibilità e risonanza internazionale ottenuta in vari festival con il suo precedente The Chaser (indimenticabile e tragico thriller livido e tenebroso), Na si sente di poter osare ancora di più e, con ambizioni sempre più elevate, torna con questo suo secondo film, un thriller d’azione splatter e violentissimo, tragico e disperato.
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A seguito della grande visibilità e risonanza internazionale ottenuta in vari festival con il suo precedente The Chaser (indimenticabile e tragico thriller livido e tenebroso), Na si sente di poter osare ancora di più e, con ambizioni sempre più elevate, torna con questo suo secondo film, un thriller d’azione splatter e violentissimo, tragico e disperato.
Na, ancora una volta narratore di un’umanità persa, senza vie di scampo e in preda di istinti primordiali, descrive stavolta anche la situazione di un popolo dimenticato, di una parte di umanità relegata in una terra di nessuno stretta tra Corea del Nord, Cina e Russia: la prefettura autonoma di Yanbian. Tra gli abitanti di questo luogo vi sono i cosiddetti Joseonjok, che sono una corposa popolazione di sino-coreani che parlano entrambe le lingue, ma che vengono visti come stranieri dai primi e con ripugnanza dai secondi.
The Yellow Sea di certo conferma le doti del regista Na e le grandi potenzialità del suo cinema, ma è fin troppo discontinuo e parte piuttosto in sordina, mettendoci oltre un’ora per ingranare, e per esplodere in fragorose e spettacolari sequenze d’azione, mentre prima si preoccupa di offrire uno spaccato di terribile realismo che descrive la miserevole situazione in cui versano individui come il protagonista Gu-nam. Frammento interessante, ma tirato troppo per le lunghe (e la versione originale dura addirittura 157’!).
Si passa poi ad un escalation inarrestabile di tensione e violenza che culmina in un finale atroce e sconsolato. Questa è di gran lunga la parte più riuscita, anche se, dopo qualche tempo, le pur perfettamente realizzate scene d’azione inducono a stanchezza. La nervosissima camera a mano bracca i personaggi, e in particolare il protagonista Gu-nam, e lo stile del regista è ancora indubbiamente efficace, anche se non supportato da una trama all’altezza, com’è invece il caso di The Chaser. Rimane comunque il fatto che alcune sequenze sono magistrali: è il caso dell’omicidio o dell’inseguimento in auto tra Gu-nam e Myun-ga, in cui una volta in più la polizia coreana finisce per fare una figura persino più magra del solito. Ed eccellenti sono le prove dei due protagonisti Ha Jung-woo e Kim Yun-seok, a ruoli invertiti rispetto a The Chaser.
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dave san
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giovedì 18 luglio 2013
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un noir "slapstick"
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Il gangster Myun Jung-hak propone a Gu-nam, tassista suo debitore, di recarsi in Corea per eliminare un uomo. Il tassista accetta suo malgrado, attratto soprattutto dalla possibilità di ritrovare la moglie tornata appunto in Corea. Della donna non si sa più nulla e Gu-nam è intenzionato a ritrovarla. La pellicola riporta questo viaggio con realismo e crudezza. Sin dalle prime inquadrature è evidente che il nostro dovrà invischiarsi. Una volta sbarcato, Gu-nam si mimetizza indossando un cappellino alla Glenn Rhee (The Walking Dead) che lo trasforma in una icona spiritosa di “coreanità” per lo spettatore occidentale. La caratteristica scenografica di questo film consiste inoltre nella fisicità degli scontri e degli inseguimenti corpo a corpo.
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Il gangster Myun Jung-hak propone a Gu-nam, tassista suo debitore, di recarsi in Corea per eliminare un uomo. Il tassista accetta suo malgrado, attratto soprattutto dalla possibilità di ritrovare la moglie tornata appunto in Corea. Della donna non si sa più nulla e Gu-nam è intenzionato a ritrovarla. La pellicola riporta questo viaggio con realismo e crudezza. Sin dalle prime inquadrature è evidente che il nostro dovrà invischiarsi. Una volta sbarcato, Gu-nam si mimetizza indossando un cappellino alla Glenn Rhee (The Walking Dead) che lo trasforma in una icona spiritosa di “coreanità” per lo spettatore occidentale. La caratteristica scenografica di questo film consiste inoltre nella fisicità degli scontri e degli inseguimenti corpo a corpo. Abbastanza rare sono le armi da fuoco, contrariamente ad accette e armi da taglio. Automobili e camion sono distruttibili; utilizzati perlopiù come sedie, tavoli o vetrate da saloon. Le fughe, veri e propri congegni d’azione. Gu-nam si trova inseguito da orde di scagnozzi e di volanti della polizia che si tamponano nel traffico e si ribaltano a gruppi per strada. La storia si sviluppa sempre più in discesa, sino allo stremo della resistenza umana per un personaggio costretto a correre e a combattere per i tre quarti della pellicola. Lo stile registico sembra voler infondere un alone grottesco e satirico a un racconto tutt’altro che conciliante. L’atmosfera è feroce, l’umore dei protagonisti è torvo. La storia profondamente disillusa. Gu-gnam riesce alla fine a imbarcarsi sul traghetto per il ritorno. Ci lascerà esausto, cullato dal buio, nel mezzo del mare giallo.
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