Una comunità accoglie Paola (Ulidi) malata di depressione (la figura centrale del film) i medici, i giovani volontari e altre due ragazze malate. Sull’indimenticabile scia di “Matti da slegare” di Bellocchio, questo regista esordiente costruisce un lungometraggio a metà tra il docu - fiction e il film - inchiesta, non privandosi di sezioni di pura visione (le migliori). Tra queste, degna di nota è la penultima sequenza del film, in cui un gruppo di burattini, su un allegro motivo da circo Rota – Fellini, danza, sostenuto dai fili automatizzati di una giostra a gettoni. Colonna sonora interessante e per una volta non trascurata, nonostante il basso budget.
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Una comunità accoglie Paola (Ulidi) malata di depressione (la figura centrale del film) i medici, i giovani volontari e altre due ragazze malate. Sull’indimenticabile scia di “Matti da slegare” di Bellocchio, questo regista esordiente costruisce un lungometraggio a metà tra il docu - fiction e il film - inchiesta, non privandosi di sezioni di pura visione (le migliori). Tra queste, degna di nota è la penultima sequenza del film, in cui un gruppo di burattini, su un allegro motivo da circo Rota – Fellini, danza, sostenuto dai fili automatizzati di una giostra a gettoni. Colonna sonora interessante e per una volta non trascurata, nonostante il basso budget. La fotografia mostra colpevolmente tutti i limiti delle riprese digitali, ma il presupposto del film (quello di un documentarista che vuole cogliere onestamente la realtà di una comunità di recupero) rende la pecca secondaria. Più che la malattia mentale “Ulidi, piccola mia” mostra, forse involontariamente, quanto spesso un semplice ambiente può forgiare o sconvolgere il carattere delle persone che lo abitano.
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