C'era una volta in Anatolia

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Un film di Nuri Bilge Ceylan. Con Yilmaz Erdogan, Taner Birsel, Ahmet Mümtaz Taylan, Muhammet Uzuner, Firat Tanis Titolo originale Bir zamanlar Anadolu'da. Drammatico, durata 150 min. - Turchia 2011. - Parthénos uscita venerdì 15 giugno 2012. MYMONETRO C'era una volta in Anatolia * * * 1/2 - valutazione media: 3,55 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

Venedik de bir zamanlar Valutazione 1 stelle su cinque

di gianmarco.diroma


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domenica 5 agosto 2012

Chissà se il traduttore di Google funziona. Once upon a time in Venice. C'era una volta a Venezia. Una condizione di privilegio, quella di vivere a Venezia, che forse non permette di comprendere però il valore di questo film amato da un'orda di critici: perché vivendo a Venezia, una città dove le storie e le leggende sono scritte sui muri, dove la densità di storie e leggende per metro quadrato è decisamente alta (ed è questa forse la principale differenza tra Venezia e l'Anatolia raccontata da Nuri Bilge Ceylan: lì le storie o la storia viaggiano orizzontalmente lungo paesaggi senza fine, come se si avesse a che fare con la stesura (non la maturazione!) dell'impasto di una pizza napoletana per ben 150 minuti, mentre qui, le storie, corrono sui muri, salgono sù per i palazzi e poi scendono giù, lungo le calli e le fondamenta, e se vogliono prendere il largo, c'è bisogno dell'acqua della Laguna e poi di quella del mare, sempre che non si voglia prendere una boccata di "Libertà" attraversando l'omonimo ponte), diventa difficile abituarsi alla lentezza di questo "capolavoro" contemporaneo della cinematografia turca. Ripeto: sarà colpa di Venezia. Anche qui esiste la lentezza. La velocità corre sulle barche e insieme a chi le ha e a chi le guida. Per il resto, si va a piedi. Ponte dopo ponte, calle dopo calle, fondamenta dopo fondamenta. La lentezza permette di guardare, permette di conoscere, permette di perdersi nella contemplazione (l'otium). Ma a Venezia la conoscenza, la contemplazione si stemperano nel pettegolezzo, la moneta forse più diffusa in una città dove ci si incontra e ci si perde per caso. L'ergonomia tutto sommato a Venezia ha un potere limitato. Non c'è ne tanto bisogno. Perché di tanta tecnologia infondo non ce n'è. Poche pose innaturali, come lo stare inscatolato dentro un automobile. Quindi pochi studi a riguardo. Ed in questa dimensione di privilegio, ci si rende conto di come C'era una volta in Anatolia sia un film sbagliato: ma non sbagliato perché è noioso, troppo lungo, verboso... no! Sbagliato perché se si pone come punto di partenza, come postulato e/o assioma una verità sostenuta (e non "Rivelata") la teoria citata dal Mereghetti per la critica di Casablanca, con la quale, citando nientepopodimeno Umberto Eco, nella quale si dice grossomodo che se 2 o 3 luoghi comuni in un film danno come risultato degli stereotipi, mentre in un film frutto di una sequenza continua di stereotipi il risultato potrebbe essere il mito (ovvero Casablanca e/o Gilda), "donc" guardando "Bir zamanlar Anadolu'da", un film dove più che l'Anatolia, si vedono una serie di persone che l'attraversano, dove più che una terra, si vedono delle persone attraversarla in macchina questa terra, un film dove del mito dell'Anatolia non c'è nulla (mentre Bogart e la Bergman erano miti del cinema e nel cinema come tutti gli attori capaci di essere veramente carne del verbo di un regista e/o di una produzione cinematografica), ecco che qui di mito non ce n'è! Perché di"frasi ad effetto" se ne sentono un'infinità lungo tutto il corso del film. Ma nemmeno una sentita. Nemmeno una vissuta. Frasi dette. Parole vuote! Forse parole e frasi che "pur non mancando di naturalezza, mancano sicuramente di natura"! E vivendo a Venezia, una città che si è fatta storia e leggenda essa stessa, diventa insopportabile resistere al sonno di fronte ad un film dove la "testa" (ovvero il racconto), ha preso il sopravvento sulla materia narrata (ovvero il corpo).

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