peer gynt
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domenica 24 maggio 2015
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la paura di dio
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Tutti mentono, in questo film. E inoltre si mente non solo agli altri, ma anche a se stessi. Per credersi sempre nel giusto, per perseguire il proprio utile, per averla vinta sull'altro costi quello che costi. E si continua a mentire anche quando si sa perfettamente che la falsita' che si va costruendo distruggera' la vita dell'altro.
Ma questa umanita' fatta di adulti sempre e pervicacemente bugiardi ha anche una spaventosa paura di Dio. Il Dio in cui credono e' uno spietato vendicatore dei torti, un crudele giustiziere pronto a punire gli adulti in cio' che hanno di piu' caro: i loro figli. Percio' a Dio non si mente, giurare il falso sul Corano non e' possibile nemmeno pensarlo.
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Tutti mentono, in questo film. E inoltre si mente non solo agli altri, ma anche a se stessi. Per credersi sempre nel giusto, per perseguire il proprio utile, per averla vinta sull'altro costi quello che costi. E si continua a mentire anche quando si sa perfettamente che la falsita' che si va costruendo distruggera' la vita dell'altro.
Ma questa umanita' fatta di adulti sempre e pervicacemente bugiardi ha anche una spaventosa paura di Dio. Il Dio in cui credono e' uno spietato vendicatore dei torti, un crudele giustiziere pronto a punire gli adulti in cio' che hanno di piu' caro: i loro figli. Percio' a Dio non si mente, giurare il falso sul Corano non e' possibile nemmeno pensarlo. E il castello di menzogne si infrange su questa religione del terrore e della proibizione, rivelando nei personaggi una schiera di marionette mosse da regole, forme, princìpi, mai da un briciolo di umanita'.
Unica isola di sofferenza e di sincerita' sono i giovanissimi, gli unici a dire la verita', coloro che paradossalmente non hanno praticamente voce. E da qui si origina il riuscito il finale: alla figlia 11enne del protagonista si chiede di scegliere, sinceramente, con chi vuole andare a vivere, visto che i suoi genitori vogliono separarsi: la ragazza esita ma e' sicura della risposta, pero' chiede che i genitori escano dalla stanza. Non sono degni, gli adulti strateghi del proprio utile, di ascoltare le parole della verita' sofferta.
Ma nemmeno noi, del pubblico, siamo degni di ascoltare questa parola. E restiamo fuori della porta, con Nader e Simin in via di separazione, a veder scorrere i titoli di coda.
Film riuscito, dalla scrittura implacabile, sua unica pecca la scelta di quella figura stilistica (la ripresa con macchina a spalla) che dovrebbe aumentare il senso di neorealismo della vicenda. Non ce n'era bisogno: il reale c'e' gia' tutto nella vicenda e nei dialoghi serrati.
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vipera gentile
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lunedì 7 novembre 2011
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l'eterno conflitto della coppia e sociale.
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E' ambientato in Iran e racconta l'eterno conflitto tra uomo e donna e tra classi sociali diverse; c'è tutta la frustrazione della moglie che si sente trascurata dal marito e tenta di risvegliarne i sentimenti minacciando il divorzio; e quella della coppia più bisognosa che si sente ingannata e turlupinata dal ceto benestante. Colpisce particolarmente la sottomissione alla religione islamica che induce la badante a telefonare al rabbino per chiedergli il permesso di cambiare i vestiti all'uomo anziano di cui si deve occupare.
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E' ambientato in Iran e racconta l'eterno conflitto tra uomo e donna e tra classi sociali diverse; c'è tutta la frustrazione della moglie che si sente trascurata dal marito e tenta di risvegliarne i sentimenti minacciando il divorzio; e quella della coppia più bisognosa che si sente ingannata e turlupinata dal ceto benestante. Colpisce particolarmente la sottomissione alla religione islamica che induce la badante a telefonare al rabbino per chiedergli il permesso di cambiare i vestiti all'uomo anziano di cui si deve occupare. Bellissima la parte delle bambine, testimoni dei conflitti tra gli adulti, che giocano comunque insieme, solidali. Soprattutto la più piccola ha gli occhi enormi ed è tenerissima.
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amici del cinema (a milano)
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giovedì 3 novembre 2011
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una separazione fisica e morale.
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Un film di rara intesità e compattezza narrativa. Un immersione totale in un mondo sociale dove i personaggi sono posti davanti a scelte difficili e la soluzione del sopravvivere vince (quasi) sempre su una posizione morale e etica. Tranne nello sguardo puro e senza compromessi dei bambini.
Farhadi continua nella sua rappresentazione di uno spaccato della realtà iraniana, ponendo lo sguardo ancora una volta sulla middle class di Teheran quando normalmente la filmografia internazionale tende a raccontarsi il paese piu' povero e meno acculturato. Cosi' facendo i personaggi assumono quasi una valenza universale (potrebbe tranquillamente anche essere la società europea borghese), anche se in questo film la religione, piu' nell'aspetto di norme di vita quotidiane, ha un grande peso.
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Un film di rara intesità e compattezza narrativa. Un immersione totale in un mondo sociale dove i personaggi sono posti davanti a scelte difficili e la soluzione del sopravvivere vince (quasi) sempre su una posizione morale e etica. Tranne nello sguardo puro e senza compromessi dei bambini.
Farhadi continua nella sua rappresentazione di uno spaccato della realtà iraniana, ponendo lo sguardo ancora una volta sulla middle class di Teheran quando normalmente la filmografia internazionale tende a raccontarsi il paese piu' povero e meno acculturato. Cosi' facendo i personaggi assumono quasi una valenza universale (potrebbe tranquillamente anche essere la società europea borghese), anche se in questo film la religione, piu' nell'aspetto di norme di vita quotidiane, ha un grande peso. Basta vedere la semicomica telefonata per capire se pulire il padre malato di Alzheimer sia o meno peccato.
Mi e' piaciuta la scelta del regista di far parlare le immagini, senza proporci facili interpretazioni o palesi simbolismi (ad esempio uno dei piccoli difetti del film di Sorrentino).
E la scena finale suggella magistralmente questa separazione. Fisica e morale.
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