dandy
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domenica 9 dicembre 2012
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dark side of the moon and the man.
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Esordio nel cinema del figlio di David Bowie,un soprendente esempio di fantascenza introspettivo e filosofico,nella memoria dei migliori classici(da "2001:Odissea nello spazio" a "Solaris"[di Tarkovskij ovviamente]).La messa in scena è asettica e ovattata,con pochi(ma notevoli)effetti speciali,e il senso di claustrofobia è opprimente.Se all'inizio della "rivelazione"si pensa ad un "Fight Club"spaziale,ben presto emerge una riflessione amara sulla necessità di confrontarsi con gli altri,e in primis,con se stessi.E su un sistema che in nome del profitto è capace veramente di tutto.Sorprendente Rockwell,nel ruolo(doppio,con tanto di differenze caratteriali e psicologiche)di un povero alienato sfruttato nel più disumano dei modi(atroce la scena in cui Sam scopre del tutto la sua natura contattando la figlia sulla terra).
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Esordio nel cinema del figlio di David Bowie,un soprendente esempio di fantascenza introspettivo e filosofico,nella memoria dei migliori classici(da "2001:Odissea nello spazio" a "Solaris"[di Tarkovskij ovviamente]).La messa in scena è asettica e ovattata,con pochi(ma notevoli)effetti speciali,e il senso di claustrofobia è opprimente.Se all'inizio della "rivelazione"si pensa ad un "Fight Club"spaziale,ben presto emerge una riflessione amara sulla necessità di confrontarsi con gli altri,e in primis,con se stessi.E su un sistema che in nome del profitto è capace veramente di tutto.Sorprendente Rockwell,nel ruolo(doppio,con tanto di differenze caratteriali e psicologiche)di un povero alienato sfruttato nel più disumano dei modi(atroce la scena in cui Sam scopre del tutto la sua natura contattando la figlia sulla terra).Il finale lascia comunque un filo di speranza.Uno dei film migliori del 2000,di quelli che ti fanno ancora sperare per il cinema nonostante tutto.Grande successo all'estero.Da noi manco a farlo apposta,distribuzione con i piedi.Da vedere assolutamente.Kevin Spacey da la voce al computer-robot Gerty(che usa gli smile come unica espressione e se inizialmente è una versione insopportabile di "HAL 9000",si rivela infine più umano dei suoi creatori).Nella versione italiana,il suo doppiatore abituale Roberto Pedicini.
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ashtray_bliss
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venerdì 20 gennaio 2017
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fantascienza profondamente umana e toccante.
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Moon, pimo lungometraggio di Duncan Jones, figlio del prematuramente scomparso David Bowie, non vuole e non deve essere il tipico film di fantascienza basata su una lunga serie di effetti speciali e colpi di scena. Contrariamente la pellicola ha aperto la strada ad altri film che trascendono dalla mera fantascienza spettacolare toccando argomenti e tematiche profondamente umane e filosofiche. Scandito da un tempo di narrazione lento ma mai noioso Moon sfrutta sapientemente l'ambientazione lunare dove si svolge la storia per scavare in profondità dell'animo umano e regalarci una parabola che trascende il tempo e lo spazio riguardo la solitudine umana, la desolazione, il cinismo e l'etica.
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Moon, pimo lungometraggio di Duncan Jones, figlio del prematuramente scomparso David Bowie, non vuole e non deve essere il tipico film di fantascienza basata su una lunga serie di effetti speciali e colpi di scena. Contrariamente la pellicola ha aperto la strada ad altri film che trascendono dalla mera fantascienza spettacolare toccando argomenti e tematiche profondamente umane e filosofiche. Scandito da un tempo di narrazione lento ma mai noioso Moon sfrutta sapientemente l'ambientazione lunare dove si svolge la storia per scavare in profondità dell'animo umano e regalarci una parabola che trascende il tempo e lo spazio riguardo la solitudine umana, la desolazione, il cinismo e l'etica. Ricco di esplicite citazioni ed omaggi che variano dall'onnipresente 2001:Odissea nello spazio alla letteratura sci-fi di Philip Dick, Moon riesce a coinvolgere lo spettatore facendolo immergere pienamente in quell'atmosfera tecnologicamente all'avanguardia ma pur sempre fredda e asettica della stazione lunare nella quale vive Sam, l'impiegato della Lunar che si occupa di estrazione di minerali dal suolo lunare. Sam e' ormai giunto alla fine dei suoi tre anni di lavoro e non desidera altro che tornare a casa. Nostalgico e desideroso di ritrovare il contatto umano e rivedere la propria famiglia, Sam è in compagnia del robot Gerty il quale lo aiuta e allevia la solitudine dell'uomo. Ma qualcosa è destinato a cambiare e grazie ad un colpo di scena inaspettato verrà svelata una scomoda e disillusa verità che mette a dura prova il protagonista Sam. Ecco allora che dal pretesto fantacientifico Duncan Jones ci pone dei quesiti importanti, diacronici e filosofici riguardo la nostra morale, la manipolazione scellerata della tecnologia e il superamento di ogni confine etico e morale che raggiunge l'apice con la clonazione umana. Ma ci parla anche dei sentimenti che ci guidano nelle scelte di vita e ci rendono ciò che siamo, distinguendosi dalla macchine. Eppure in questa profonda e meravigliosa pellicola anche le macchine, i robot hanno una propria sensibilità, collaborano e cooperano con l'uomo e appaiono certamente più umane delle persone sulla Terra che comunicano con Sam. Sollevando in tal modo questioni che indagano i rapporti tra l'Uomo e la Macchina, quella sempre più evoluta e sofisticata che in alcuni casi, come quello rappresentato dal film, prevale e sostituisce il rapporto fra persone, fra esseri umani. Dulcis in fundo, il film offre molteplici spunti di riflessione riguardo ad una questione interessante quanto intrinsicamente filosofica: cosa faremmo se potessimo incontrare noi stessi? Come ci comporteremmo? E' proprio su quest'argomento fa leva Jones facendo incontrare i due Sam, i due cloni uniti da un'unico inevitabile destino; quello di vivere etenamente in solitudine, in isolamento forzato, estraniati dal resto del mondo terrestre e costretti a vedersi vecchie video-registrazioni di una vita che non c'è più. Ma proprio lì dove pare non esserci più speranza, ecco che sul lato oscuro della luna rifiorisce la possibilità di evadere da quella prigione esistenziale e di affrontare noi stessi.
Emotivamente coinvolgente e coadiuvato da una scenografia e fotografia aprezzabilissime per il budget ridotto con qui è stato creato il film. Le atmosfere algide e cupe, l'alternanza dei colori basilari tra il bianco vivido ma impersonale dell'interno della stazione, contrapposto all'oscuro e pur sempre algido del suolo lunare creano un efficiente contrasto visivo ma aiutano anche ad accentuare le atmosfere di mistero e suspense che accompagnano il protagonista e gli spettatori.
Sam Rockwell è straordinariamente bravo nel reggere tale parte impegnativa da solo e risultare convincente. Altresì buona la sceneggiatura che prendendo spunto dalla narrativa sci-fi ambienta sul suolo lunare un dramma intimo umano che mette a nudo la solitudine umana, per di più imposta, e gli effetti che essa produce. Successivamente, come precedentemente sottolineato il film riesce a far leva in modo delicato e sensibile ma non superficiale sulle questioni etiche e morali che ci guidano e che contemporaneamente mettono alla prova le nostre relazioni sociali. Buona la musica e l'ambientazione ricreata. In definitiva si tratta d'un film di genere notevole che riesce a rispettare i canoni del classico film fantascientifico, con tanto di riferimenti e citazioni, ma riportando la fantascienza sul piano umano per restituire una pellicola densa di intensità emotiva e riflessioni pungenti, attuali e diacroniche sul futuro dell'umanità.
Aprendo la strada al filone di fantascienza umana ed intimista che contempla e fotografa il nostro percorso evolutivo senza tralasciare l'aspetto introspettivo e sentimentale che continuerà a caratterizzarci e guidarci.
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burton99
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sabato 11 giugno 2011
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starordinario, il manifesto dei nuovi sci-fi
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Il capolavoro sci-fi degli ultimi dieci anni. Trovate intelligenti, basso budget ed alta qualità, un concentrato di tensione e luoghi inesplorati in compagnia di Sam Rockwell e Kevin Spacey, che da la voce al robot Gerty. Un finale inaspettato ma geniale allo stesso tempo e tante, tante, come già detto, idee. Questo film dimostra come sono le idee, più che altro, che possono generare un'epopea di fantascienza. "Moon" è il massimo esempio di film di alta qualità girato con povertà di mezzi.
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carlo vecchiarelli
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domenica 6 aprile 2014
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uomo contro uomo dal figlio di starman
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L’ uomo, le macchine e l’universo, un insieme allo stesso tempo lirico e crudele, come lo sono i sogni e il cinismo della specie umana. “I am the one and only” canta la sveglia di Sam Bell, unica parvenza umana nella stazione Selène, che ha il compito di estrarre il gas Helium 3 per una corporation energetica sulla Luna.
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L’ uomo, le macchine e l’universo, un insieme allo stesso tempo lirico e crudele, come lo sono i sogni e il cinismo della specie umana. “I am the one and only” canta la sveglia di Sam Bell, unica parvenza umana nella stazione Selène, che ha il compito di estrarre il gas Helium 3 per una corporation energetica sulla Luna. In un futuro non troppo lontano, da tre anni l’astronauta comunica con la famiglia solo via video, ma è alla fine del suo contratto e l’attesa sta per terminare. A fare compagnia all’uomo c’è Gerty, computer di bordo tuttofare, che ricorda H.A.L. 9000, prima delle tante citazioni ai grandi classici fantascientifici che rendono omaggio a Stanley Kubrick, Ridley Scott e Andrei Tarkovskij. La purezza del bianco della base lunare ricorda infatti la stazione di ”2001: odissea nello spazio”, le atmosfere ambigue sono tipiche di ”Blade Runner” e la solitudine sconfortante del protagonista si avvicina alla psicologia che muove i fili di “Solaris”.
Anche nello spazio extraterrestre il principale nemico dell’uomo è l’uomo stesso, che non pago del progresso acquisito ricade nei suoi errori primordiali, dimenticando l’etica per il triste scopo del profitto. E’ questo il tema di fondo che pur appena accennato riecheggia in tutta la storia, lasciando allo spettatore un retrogusto amaro.
La monotona routine e le verità apparenti sono infatti scardinate da un casuale incidente, mettendo Sam di fronte al proprio dramma. In una disgustosa sensazione di mancata unicità, egli scoprirà di non essere altro che una copia, un clone dalla durata limitata, i cui sentimenti e ricordi personali si riducono a realtà antiche e oramai fittizie. Per i dirigenti del colosso energetico che gestiscono le attività dalla terra, Sam Bell non è molto differente da Gerty, è solo una pedina da sostituire appena le sue capacità si logoreranno, alla mercè di una logica utilitaristica in cui l’umanità perde il suo senso più profondo. In un crescendo drammatico il protagonista ( interpretato dall’ineccepibile Sam Rockwell ) cercherà in tutti i modi di aggrapparsi a barlumi di coscienza che giustifichino la sua stessa esistenza, cercando nel senso di giustizia la forza di resistere a questo sistema perverso.
L’opera prima del regista Duncan Jones ( figlio del musicista David Bowie ) è una piccola perla del cinema indipendente, costato 5 milioni di dollari ed interamente realizzato dentro uno studio di produzione con il vecchio sistema dei modellini. Il risultato è un film che riesce ad unire spettacolarizzazione e analisi introspettiva di grande livello, sorprendente per come si relaziona ai grandi classici del genere senza esserne debitore, che cela una preparazione e una chiarezza di idee notevoli, basti citare la raffinata attenzione data alla colonna sonora, opera di Clint Mansell, che è colonna portante delle principali tematiche del film. L’augurio che si auspica a questo giovane regista è che, continuando a parlare dell’uomo, delle sue paure, dei suoi sentimenti e delle sue amenità, continui ad esternare sempre più il proprio talento, ricalcando le orme che hanno fatto grandi tanti registi, sempre con il nobile intento di farci riflettere.
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jacopo b98
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lunedì 5 maggio 2014
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un piccolo grandissimo film!
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Sam Bell (Rockwell) è un operaio della Lunar Industries e sta per tornare sulla Terra dal satellite dopo un contratto di tre anni. Quando mancano solo 15 giorni al suo rientro comincia ad avere delle strane visioni e allucinazioni. Un giorno, durante un’operazione sulla superficie lunare, ha un incidente e rimane bloccato moribondo all’interno del proprio mezzo di trasporto. Quando si sveglia in infermeria in suo computer Gertie (magistralmente doppiato da Kevin Spacey) gli comunica che ha avuto un incidente e che è riuscito a recuperarlo. Dopo una lunga convalescenza Sam torna a fare il suo lavoro e, quando si imbatte nell’automezzo in cui aveva avuto l’incidente, ha la brillante idea di guardarci dentro.
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Sam Bell (Rockwell) è un operaio della Lunar Industries e sta per tornare sulla Terra dal satellite dopo un contratto di tre anni. Quando mancano solo 15 giorni al suo rientro comincia ad avere delle strane visioni e allucinazioni. Un giorno, durante un’operazione sulla superficie lunare, ha un incidente e rimane bloccato moribondo all’interno del proprio mezzo di trasporto. Quando si sveglia in infermeria in suo computer Gertie (magistralmente doppiato da Kevin Spacey) gli comunica che ha avuto un incidente e che è riuscito a recuperarlo. Dopo una lunga convalescenza Sam torna a fare il suo lavoro e, quando si imbatte nell’automezzo in cui aveva avuto l’incidente, ha la brillante idea di guardarci dentro. E trova…se stesso. Uguale, identico, come se dopo l’incidente non fosse mai stato mosso e non fosse mai stato curato in infermeria. Sceneggiato da Nathan Parker da un soggetto del regista, esordiente figlio di David Bowie, Moon è uno degli eventi cinematografici più eccezionali del 2009. È un film di fantascienza a basso costo (5 milioni di dollari), insomma a tutti gli effetti un film indipendente. Quest’anno è davvero una grande annata per la fantascienza: tra questa chicca e il District 9 di Blomkamp diciamo che possiamo anche essere soddisfatti! Infatti questo film di Duncan Jones è uno degli sci-fi più originali degli ultimi anni, straordinario nel descrivere la vita sulla Luca, si ispira principalmente alla fantascienza di Scott e Kubrik, imitando specie nelle scenografie e nelle musiche, i capolavori dei due cineasti. Ma in realtà Moon è un film profondamente originale, che verrà inevitabilmente plagiato in futuro (l’avete visto Oblivion? Ecco qua da dove saltavano fuori tutti quei Tom Cruise!), e lascerà un segno indelebile nel cinema fantascientifico moderno. Perché in questo film non sono gli effetti speciali a farla da padroni, una volta tanto. Ma sono i dialoghi, i personaggi, le musiche magistrali di Clint Mansell, la performance intensa di Sam Rockwell che meriterebbe di essere promosso a protagonista più spesso. Quella di Jones è una fantascienza vecchio stile, perciò fuori moda. Ma, visti i poveri risultati ottenuti dalla fantascienza moderna, personalmente ritengo che forse un ritorno a questo tipo di fantascienza non sia una cattiva idea. Bravo Duncan Jones: il tuo Moon è una perla, commovente, drammatico, ma anche assolutamente creativo. Grande cinema!
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cress95
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giovedì 10 settembre 2015
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jones sposa introspezione e fantascienza
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E il risultato è sicuramente un buon prodotto anche se non esente da alcuni grossolani difetti. Ma andiamo per ordine. Innanzitutto è bene sottolineare che "Moon" non è un fantascientifico come gli altri, sotto questo profilo, infatti, piuttosto che confezionare l'ennesima pellicola di mera fantascienza commerciale, Duncan Jones ha preferito avvalersi del genere in questione per inscenare il dramma della bipolarità dell'animo umano. La trama, infatti, ruota attorno ad un brutto incidente cui rimane vittima il protagonista, l'astronauta Sam Bell (splendidamente interpretato da Sam Rockwell), sito nella luna da tre anni per curare la raccolta di risorse energetiche, ma che gli permette di venire a capo di un orribile segreto, che lo coinvolge in prima persona: la clonazione umana.
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E il risultato è sicuramente un buon prodotto anche se non esente da alcuni grossolani difetti. Ma andiamo per ordine. Innanzitutto è bene sottolineare che "Moon" non è un fantascientifico come gli altri, sotto questo profilo, infatti, piuttosto che confezionare l'ennesima pellicola di mera fantascienza commerciale, Duncan Jones ha preferito avvalersi del genere in questione per inscenare il dramma della bipolarità dell'animo umano. La trama, infatti, ruota attorno ad un brutto incidente cui rimane vittima il protagonista, l'astronauta Sam Bell (splendidamente interpretato da Sam Rockwell), sito nella luna da tre anni per curare la raccolta di risorse energetiche, ma che gli permette di venire a capo di un orribile segreto, che lo coinvolge in prima persona: la clonazione umana. Ed è proprio in seguito all'incidente che Sam fa conoscenza con Sam, suo clone dal carattere apparentemente opposto.
Jones rigetta la scontata fantascienza da "space opera" perché consapevole che la fantascienza vera e propria riposa nell'infinita desolazione dello spazio profondo e, sopratutto, nella solitudine dei protagonisti, appiglio questo da cui farne scaturire complesse riflessioni metafisiche su essere e umanità.
Ma parlando di cosa proprio non va: gli effetti speciali e la scenografia digitale sono davvero miseri. Certo, bisogna anche sottolineare che il budget di finanziamento della pellicola fu misero anch'esso (solo cinque milioni di dollari), tuttavia non dimentichiamo che "Moon" è un brillante esponente della fantascienza classe 2009, dunque alla luce di ciò non è affatto tollerabile che mostri effetti speciali inferiori ad un "Blade Runner", classe 1982, o ad un "2001: Odissea nello spazio", classe 1968 (paragoni peraltro attinenti al caso poiché grandi principali ispirazioni di Jones nella realizzazione del suo "Moon").
Non tralasciamo poi neanche una certa lentezza di fondo, che dà adito a brutti momenti di stanca, i quali proprio stonano con i più basilari canoni della fantascienza. Forse nella sua cospicua emulazione del capolavoro del Kubrik, Jones avrà fatto il passo più lungo della gamba, chissà.
Per quanto concerne il comparto sonoro nulla da eccepire circa la colonna sonora firmata Clint Mansell, capace di accompagnare perfettamente l'andamento drammatico della vicenda e il crescendo di pathos.
In conclusione ritengo che, nonostante i suoi evidenti difetti, "Moon" non sia un prodotto fallito da mettere al bando, piuttosto, come primo lungometraggio del giovane regista britannico (che fino ad allora si era occupato esclusivamente di regia pubblicitaria) riesce a trasmettere efficacemente il suo seppur criptico messaggio e, perché no, a donare dell'intrattenimento godibile sotto il nome di un genere come la fantascienza che di qualità, oggigiorno, può comunque vantarne davvero ben poca.
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davide chiappetta
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giovedì 17 gennaio 2013
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intrigante fantasioso e tematicamente ambizioso
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Intrigante, fantasioso, e tematicamente ambizioso, 'Moon' dà ampia prova che Duncan Jones è un rarissimo talento da seguire con attenzione avendo dato dimostrazione delle sue eccezionali doti anche con il bel 'Source Code', spingendo i suoi concetti in territori intellettualmente e spiritualmente impegnativi.
Il film traendo chiaramente ispirazione da '2001 odissea nello spazio' per la cura del dettaglio e la tematica filosofica sull'esistenza umana (in 2001 i due protagonisti erano simili, qui sono identici) , anche se l'intelligente messa in scena non è al livello dell'opera kubrickiana, il film cita apertamente 'Sunshine' per la lavorazione sull'energia del sole, '2002 la seconda odissea' per il lavoro solitario cui svolgeva il protagonista e per l'interazione tra lui e i suoi robot assistenti, 'Solaris' per le allucinazioni, e infine ancora più importante ai fini della suspence 'Atmosfera Zero' il countdown che scandisce il tempo rimanente dell'arrivo di altri 3 astronauti (che nel bel film di Hyams era 3 killer assoldati dalla compagnia mineraria)
Interessante come lo sviluppo della trama scorri cosi fluidamente come un bel valzer (siamo nei territori di Odissea 2001) da non marcare in modo palese le svolte narrative, la cesura degli atti, e l'innesto delle scene madri; per citarne alcune: la tranquillità con cui i due Sam superino facilmente lo shock iniziale nell'essersi visti identici, e il modo in cui è trattato l'inversione a U della narrazione principale (che accade a metà film quando il protagonista fa, per caso, un amara scoperta e cambia il suo percorso e di conseguenza la storia prende una piega totalmente diversa) nel film quest'inversione è appena suggerita, infatti il protagonista Sam scopre la verità da una domanda semplice che questi fa al suo assistente robot e alcuni minuti dopo fa un'altra ancora più sconcertante scoperta in base a quelle rivelazioni, credo che sia stato questo stile di narrazione a non essere digerito ad alcuni critici fissati con le solite ricette ormai fossilizzate Hollywoodiane.
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Intrigante, fantasioso, e tematicamente ambizioso, 'Moon' dà ampia prova che Duncan Jones è un rarissimo talento da seguire con attenzione avendo dato dimostrazione delle sue eccezionali doti anche con il bel 'Source Code', spingendo i suoi concetti in territori intellettualmente e spiritualmente impegnativi.
Il film traendo chiaramente ispirazione da '2001 odissea nello spazio' per la cura del dettaglio e la tematica filosofica sull'esistenza umana (in 2001 i due protagonisti erano simili, qui sono identici) , anche se l'intelligente messa in scena non è al livello dell'opera kubrickiana, il film cita apertamente 'Sunshine' per la lavorazione sull'energia del sole, '2002 la seconda odissea' per il lavoro solitario cui svolgeva il protagonista e per l'interazione tra lui e i suoi robot assistenti, 'Solaris' per le allucinazioni, e infine ancora più importante ai fini della suspence 'Atmosfera Zero' il countdown che scandisce il tempo rimanente dell'arrivo di altri 3 astronauti (che nel bel film di Hyams era 3 killer assoldati dalla compagnia mineraria)
Interessante come lo sviluppo della trama scorri cosi fluidamente come un bel valzer (siamo nei territori di Odissea 2001) da non marcare in modo palese le svolte narrative, la cesura degli atti, e l'innesto delle scene madri; per citarne alcune: la tranquillità con cui i due Sam superino facilmente lo shock iniziale nell'essersi visti identici, e il modo in cui è trattato l'inversione a U della narrazione principale (che accade a metà film quando il protagonista fa, per caso, un amara scoperta e cambia il suo percorso e di conseguenza la storia prende una piega totalmente diversa) nel film quest'inversione è appena suggerita, infatti il protagonista Sam scopre la verità da una domanda semplice che questi fa al suo assistente robot e alcuni minuti dopo fa un'altra ancora più sconcertante scoperta in base a quelle rivelazioni, credo che sia stato questo stile di narrazione a non essere digerito ad alcuni critici fissati con le solite ricette ormai fossilizzate Hollywoodiane.
L'unica pecca a mio parere è il non aver approfondito il personaggio del robot Gerty, visto che la sua affezione a Sam va oltre gli obiettivi per cui è stato programmato, anzi vien da pensare che il suo comportamento che dà modo a Sam di scoprire la verità, e poco dopo la sua libertà, sia solo una svista nel codice di programmazione, un bug, piuttosto che una sua libera scelta dettata da emozioni, (da notare anche come il suo, seppur veloce, resettaggio ricordi anche la disattivazione di Hal 9000).
Eccezionale Sam Rockwell nell'interpretare 'contemporaneamente' due personaggi di diverso temperamento.
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eugenio
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sabato 23 febbraio 2013
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the far side of ourselves
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Fantascienza: mezzo di evasione, pratica di divertimento o fondamento razionale per la formulazione di teorie di universi sconosciuti? Sentire solo quel termine fa “viaggiare” la mente a reconditi cassetti del nostro animo dove è custodita la memoria di sempreverdi capolavori quali (tra i tanti) 2001 Odissea nello spazio, ET ,Incontri ravvicinati del terzo tipo, Blade Runner (erede a sua volta dell’immortaleMetropolis) Alien (il primo) e Brazil. Tre diversi “sottogeneri” appartenenti a filoni non omogenei che pur con la loro distinta originalità, hanno fatto e fanno ancora sognare generazioni di aficionados, influenzando molte pellicole successive (vedi Solaris, Outland e l’orrido Cloverfield).
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Fantascienza: mezzo di evasione, pratica di divertimento o fondamento razionale per la formulazione di teorie di universi sconosciuti? Sentire solo quel termine fa “viaggiare” la mente a reconditi cassetti del nostro animo dove è custodita la memoria di sempreverdi capolavori quali (tra i tanti) 2001 Odissea nello spazio, ET ,Incontri ravvicinati del terzo tipo, Blade Runner (erede a sua volta dell’immortaleMetropolis) Alien (il primo) e Brazil. Tre diversi “sottogeneri” appartenenti a filoni non omogenei che pur con la loro distinta originalità, hanno fatto e fanno ancora sognare generazioni di aficionados, influenzando molte pellicole successive (vedi Solaris, Outland e l’orrido Cloverfield).
Tra di esse figura un piccolo gioiello: Moon, del regista Duncan Jones (filosofo sui generis figlio di David Bowie) il quale, rielaborando le teorie esistenzialiste di Kubrick e i motivi orrorifici di Scott, realizza un breve ma dal forte impatto, apologo sull’esistenza umana utilizzando un’ambientazione di eccellenza: la luna. Chi non è mai rimasto affascinato nel vederla nelle notti stellate brillare lassù a 400000 chilometri da noi? Come rimanere impassibili dinanzi all’aura misteriosa che avvolge il deserto satellite? Queste considerazioni sembrano non valere per Sam (Sam Rockwell), impiegato della Lunar Industries, da tre anni in missione presso la base di Sarang allo scopo di estrarre l’Elio-3 isotopo usato come fonte di energia pulita per le centrali elettriche a fusione. Solo, fatta eccezione della metallica presenza di GERTY, “clone” di HAL9000 (2001 Odissea nello Spazio) cervello elettronico della compagnia, l’esistenza di Sam è scandita dalla costruzione di un plastico e da sporadici contatti tramite videocomunicazione satellitare con la moglie e la bambina. A due settimane dalla fine del suo contratto, accade l’imprevisto: un incidente: pare che all’esterno, sulla superficie lunare, in quel misterioso settore oscuro, ci sia qualcuno, una persona ferita che necessita di cure. Chi è veramente ? Come è arrivato sin lì? In quel cono d’ombra che tutto avvolge, Sam si renderà conto come i giorni sinora contati e attesi invano per ritornare a casa, trascorreranno sempre più lunghi verso la scoperta di una agghiacciante verità (la scena della comunicazione satellitare nel cono d’ombra ha una drammaticità confrontabile a quella di un grido muto nello spazio aperto) che comporterà un incremento della paranoia e della sua sensazione di alienazione. Tra allucinazioni e amnesia, lo stralunato (è il caso di dirlo..) protagonista compirà un viaggio a ritroso nei meandri della sua memoria, alla ricerca di sé stesso, tentando di comprendere le mosse di un piano di cui finora era stato solo passiva pedina..
Moon,la luna, realizzato con un risibile budget (“appena” cinque milioni di dollari) costituisce una piacevole scoperta del genere fantascientifico. Senza costosi effetti speciali, Jones, punta all’anima della storia, alla caratterizzazione psicologica della figura dell’astronauta su cui innesta la questione sociale dello sfruttamento di un sistema che bada solo al profitto inneggiando a salvifici “sacrifici” in nome di ciò che è comunemente noto come progresso umano. Il cineasta impara la lezione di Kubrick, di Scott e di Lipstadt (inserendo pure una nota buonista “spielberghiana”) e dimostra di conoscer bene le tecniche per saper stupire lo spettatore, trasmettendogli una crescente inquietudine per buona parte del film in cui la minaccia del “cervello elettronico” di 2001, sembra essere lontana. L’errore tecnologico è qui sostituito da qualcos’altro che non ha giustificazioni: la mano impropria dell’uomo. Lost in space, è il caso dirlo.
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cicciopasticcio7
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sabato 2 novembre 2013
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un piccolo capolavoro
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Moon è il film d'esordio di Duncan Jones, figlio di David Bowie. la trama è trascinante e carica di una forza emotiva unica.
Questa pellicola fa capire come per fare un grande film non servono budget esorbitanti se si hanno buone idee.
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valter di giacinto
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sabato 18 aprile 2020
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fantascienza filosofica e ben congegnata.
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Che la grande fantascienza abbia radici profondamente filosofiche lo dimostra il fatto che uno dei più grandi interpreti del genere, Philip K. Dick, si definiva espressamente filosofo, prima che scrittore di fiction. E in questo bel film si va al nocciolo del concetto filosofico di essere umano come individuo singolo, con il fine di mettero in discussione dalle fondamenta facendo leva sul tema classico della clonazione. Che cosa accadrebbe se un giorno vi trovaste faccia a faccia con un vostro clone, senza poter far finta di nulla e voltarvi dall'altra parte perché costretti dalle circostanze a dover condividere di necessità uno spazio angusto e separato dal mondo come quello di una base lunare? Il film si regge un po' tutto su questa domanda, e la sviluppa in maniera assai convincente.
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Che la grande fantascienza abbia radici profondamente filosofiche lo dimostra il fatto che uno dei più grandi interpreti del genere, Philip K. Dick, si definiva espressamente filosofo, prima che scrittore di fiction. E in questo bel film si va al nocciolo del concetto filosofico di essere umano come individuo singolo, con il fine di mettero in discussione dalle fondamenta facendo leva sul tema classico della clonazione. Che cosa accadrebbe se un giorno vi trovaste faccia a faccia con un vostro clone, senza poter far finta di nulla e voltarvi dall'altra parte perché costretti dalle circostanze a dover condividere di necessità uno spazio angusto e separato dal mondo come quello di una base lunare? Il film si regge un po' tutto su questa domanda, e la sviluppa in maniera assai convincente. All'inizio i due Sam Bell confliggono furiosamente, quasi a voler rimarcare ciascuno la propria unicità nei confronti dell'altro. Ma alla fine saranno in grado di riconoscersi uno nei molti, scopriranno il magazzino dei cloni e se ne serviranno per perseguire, tutti insieme, le finalità proprie dell'unico Sam Bell che sia mai esistito, quell'anima unitaria che sottende le molteplici incarnazioni corporee di cui si serve spietatamente l'orrenda multinazionale di turno per perseguire il proprio profitto. Il singolo, un'entità che esiste unicamente "per accidens", come perfettamente dimostrato dall'infinita possibilità di replicarlo, è divenuto nel pensiero moderno il cardine di tutto il nostro universo di esseri umani. Questo film pare voler ribaltare tale impostazione, mostrando come si possa essere realmente singolari nei confronti del mondo che ci sovrasta solo una volta che si sia riconosciuto il fatto di essere tutti perfettamente uguali uno all'altro.
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