Gomorra |
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Un film di Matteo Garrone.
Con Toni Servillo, Gianfelice Imparato, Maria Nazionale, Salvatore Cantalupo, Gigio Morra.
continua»
Drammatico,
durata 135 min.
- Italia 2008.
- 01 Distribution
uscita venerdì 16 maggio 2008.
MYMONETRO
Gomorra
valutazione media:
4,02
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Da De Sica a Garronedi MeursaultFeedback: 0 |
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domenica 11 gennaio 2009 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Matteo Garrone è riuscito nell'impresa. Fatta incetta di premi europei, a 10 anni dalla Vita è bella di Benigni il suo film sbarca negli Usa alla conquista dell’Oscar. Dopo il terremoto mediatico scatenato dal libro di Saviano, non era facile riuscire a portare sul grande schermo un tema che balza da tempo agli onori della cronaca e di cui il cinema e la letteratura sembravano esser sazi. I rischi erano tanti. Scadere nella retorica; proporre una trasposizione cinematografica scarsamente attendibile; oppure creare un prodotto poco commerciale, destinato ad un pubblico da salotto. Invece no. Come raramente di questi tempi, la quarta prova del regista romano riesce a metter d'accordo tutti. Ma come definire il film di Garrone? Documentario? Reportage? Neo-neorealista? Un po’ di tutto. Il prodotto che ne è esce è indubbiamente originale. Credo che la ragione del successo non risieda solo nel libro a cui si ispira o allo sfruttamento di un tema di facile presa come quello della camorra, ma nella linea di continuità che Garrone è riuscito ad instaurare con la migliore tradizione del cinema italiano. In particolare Francesco Rosi e i neorealisti. Se i film di Rosi suonavano spesso come delle feroci requisitorie politiche, qui però di politico c’è ben poco. C’è – al contrario – la messa in discussione di un intero sistema umano e sociale che fuoriesce dai semplici confini del potere. Non c’è una linea netta di demarcazione che separa la classe politica dalla gente comune, i giusti dai cattivi. Le responsabilità del disastro materiale in cui versa la Campania ed il popolo napoletano si estendono a tutti gli strati della società, risparmiando giudizi assolutori e possibilità di riscatto. La trama di connivenze delle istituzioni e degli imprenditori con la camorra è così fitta da restituirci l’impressione disarmante di un unico grande sistema affaristico e criminale, che coinvolge tanto il politico quanto il semplice ragazzino di strada. Se le pellicole di Rosi sembravano aprire un’ area di dibattito che individuava dall’altra parte un interlocutore – la classe politica, il potere - sui cui scaricare le responsabilità morali, in Gomorra non c’è dialogo, ma solo un unico, assordante monologo. Si può senz’altro riconoscere che la cifra stilistica di Garrone si richiama alla tradizione neorealista degli anni ’40, quella che ha reso così popolare il nostro cinema sdoganandolo oltreoceano. A De Sica, Rossellini e anche al primo Pasolini appartengono sicuramente la tecnica registica del pedinamento - che ritrae l’azione dal basso, in maniera febbrile, a tratti convulsa -, la scelta di creare una storia corale, l’uso del dialetto. Ma mentre le sceneggiature di Zavattini riuscivano a smorzare la tragedia con i colori della fiaba e la leggerezza della poesia(Sciuscià, Ladri di biciclette)attraverso cui passavano le istanze di redenzione di un’umanità disfatta dalla guerra, in Gomorra Garrone registra una realtà dalle tinte torbide, tragicamente ed inevitabilmente cupe, come già ci aveva abituato con la fotografia de L’Imbalsamatore. Come se la dimensione estetica venisse a coincidere con quella etica. Non ci sono eroi, né colori. Tutte le speranze si raccolgono intorno all’unico personaggio del film – Roberto, omonimo di Saviano – che ha il coraggio di voltare le spalle e andarsene, proiettandosi verso un futuro diverso. Ma non per questo meno oscuro.
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