farid
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venerdì 1 giugno 2007
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filmone per tutti
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Filmone. Bello, ben girato e con bei riferimenti storici. Non c'è molto da dire, Gibson ha confezionato un ottimo prodotto adatto a tutti. L'indio Maya Zampa di leopardo cerca di sfuggire alla schiavitù ed alla pratica dei sacrifici umani praticati dai nuovi padroni Aztechi di quella zona del nuovo mondo ora chiamata Messico. Si potrebbe obiettare che Gibson indulge in violenza ma la realtà è stata ed è tuttora molto più cruda. Il protagonista è un cacciatore-guerriero, un giovane che corre, caccia, si arrampica, combatte non risulta quindi inverosimile la sua resistenza e l'abilità nel disticarsi nella foresta e curarsi con essa.
Il messaggio romanzato di rispetto, solidarietà, amore raggiunge lo spettatore più che non la violenza delle immagini.
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matt
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mercoledì 30 aprile 2008
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la passione dei maya
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Dopo "La passione di Cristo", Mel Gibson ci ripropone con estremo realismo una vicenda di tormenti e redenzione: la caduta del popolo Maya. Come per la sua precedente opera, il controverso regista americano, utilizza la violenza in modo brutale e altamente esplicito, ma non gratuito o insensato; anche in questo caso infatti essa è uno strumento, un mezzo per dirci qualcosa, qualcosa di scioccante e vitale, un messaggio che può essere colto solamente mediante un canale potente come il messaggio stesso, un canale che ci colpisca nel profondo. La storia che fa da sfondo a tutto questo è un' avventura intensa e emozionante, immaginaria ma allo stesso tempo "vera", perchè dotata di contenuti veritieri e attuali: è la storia di un umile cacciatore che vive con il resto della sua famiglia in un piccolo villaggio; un uomo che di fronte ai segni della decadenza del suo popolo riesce a trovare il coraggio per reagire, la forza di restare in piedi per combatterli; un uomo che si trasforma così da semplice individuo a simbolo, un simbolo protetto da entità divine, perchè rappresenta il Bene, la tenacia, il desiderio di lottare per proteggere la propria casa e per tornare dalla propria famiglia, incarna la consapevolezza che gli errori del passato non vanno dimenticati, ma non bisogna mai lasciar morire la speranza di un Nuovo Inizio, e nel mondo di oggi questi messaggi dovrebbero essere ascoltati e colti, perchè anche la nostra società, seppure con usanze diverse ma al contempo simili, si sta avviando alla decadenza.
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Dopo "La passione di Cristo", Mel Gibson ci ripropone con estremo realismo una vicenda di tormenti e redenzione: la caduta del popolo Maya. Come per la sua precedente opera, il controverso regista americano, utilizza la violenza in modo brutale e altamente esplicito, ma non gratuito o insensato; anche in questo caso infatti essa è uno strumento, un mezzo per dirci qualcosa, qualcosa di scioccante e vitale, un messaggio che può essere colto solamente mediante un canale potente come il messaggio stesso, un canale che ci colpisca nel profondo. La storia che fa da sfondo a tutto questo è un' avventura intensa e emozionante, immaginaria ma allo stesso tempo "vera", perchè dotata di contenuti veritieri e attuali: è la storia di un umile cacciatore che vive con il resto della sua famiglia in un piccolo villaggio; un uomo che di fronte ai segni della decadenza del suo popolo riesce a trovare il coraggio per reagire, la forza di restare in piedi per combatterli; un uomo che si trasforma così da semplice individuo a simbolo, un simbolo protetto da entità divine, perchè rappresenta il Bene, la tenacia, il desiderio di lottare per proteggere la propria casa e per tornare dalla propria famiglia, incarna la consapevolezza che gli errori del passato non vanno dimenticati, ma non bisogna mai lasciar morire la speranza di un Nuovo Inizio, e nel mondo di oggi questi messaggi dovrebbero essere ascoltati e colti, perchè anche la nostra società, seppure con usanze diverse ma al contempo simili, si sta avviando alla decadenza.
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erixon
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domenica 12 giugno 2011
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amare la terra. bioetica del quindicesimo secolo
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Se vi aspettate un documentario sui maya non è il film che cercate. Apocalypto è l'anticamera dell'Apocalypse now del Centro America, una grande fatica a lieto fine che precede una fatica cento volte maggiore e letale. Zampa di giaguaro è protagonista eccelso della cultura maya del XV secolo, testimone unico di violenze inaudite, saggio e paziente in attesa della principale consapevolezza: se sei nella tua foresta, se le capanne bruciano e i fratelli muoiono per mano di altri fratelli, se l'acqua e il fuoco diventano nemici inaspettatamente traditori, se vedi che la morte e la fuga ti circondano, non devi avere paura, perché sei nella tua foresta. Non c'è un buco di riposo, pochi silenzi ma solo per nascondersi.
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Se vi aspettate un documentario sui maya non è il film che cercate. Apocalypto è l'anticamera dell'Apocalypse now del Centro America, una grande fatica a lieto fine che precede una fatica cento volte maggiore e letale. Zampa di giaguaro è protagonista eccelso della cultura maya del XV secolo, testimone unico di violenze inaudite, saggio e paziente in attesa della principale consapevolezza: se sei nella tua foresta, se le capanne bruciano e i fratelli muoiono per mano di altri fratelli, se l'acqua e il fuoco diventano nemici inaspettatamente traditori, se vedi che la morte e la fuga ti circondano, non devi avere paura, perché sei nella tua foresta. Non c'è un buco di riposo, pochi silenzi ma solo per nascondersi. La ormai nota sanguinaria violenza cresce costantemente fino agli ultimi minuti del film, quasi a voler costringere lo spettatore a supplicare la fine durante una tortura. In realtà quello che viene piantato è un seme di vendetta tarantiniano che pianta radici vibranti pure negli animi più puri e pudici. A metà film non si desidera altro che sommossa, resistenza e opposizione. Si è annebbiati dal susseguirsi di azioni tutt'altro che umane, tanto da veder solo sangue che scorre e uomini stolti che fanno pensare a stoltezze d'ogni tempo. Ma Zampa di giaguaro, pian piano, non vede più né sangue né stolti, abbandona la paura, è fermo e solido pur se stremato e, quando è il momento di restituire la violenza ricevuta, non lo fa per vendetta ma per difendere il proprio territorio, per puro istinto, perché si trova nella foresta in cui suo padre cacciava, suo nonno cacciava e i suoi figli cacceranno. Il finale è l'inizio della vera apocalisse ma Zampa di giaguaro, ormai, non può più aver paura, l'anestesia lo ha reso immune. Gibson è molto statico, in pochissime scene mostra dinamiche davvero particolari ma, principalmente, gioca su panoramiche e carrellate moto veloci. Forse nulle le riprese a spalla degne di Apocalypse now, forse troppo pulito il regista rispetto agli sporchi contenuti. Ha lavorato divinamente con la teatralità, costumi, scene e musiche.
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jacopo b98
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mercoledì 21 agosto 2013
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un film coraggioso che colpisce al cuore
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In una piccola tribù maya che vive nella foresta, Zampa di Giaguaro (Youngblood) vive felice con la moglie (Hernandez) e il figlio. Quando una tribù più potente che vive in una città di pietra li attacca il villaggio è distrutto, gli uomini catturati e le donna violentate. Ma il guerriero riesce a nascondere la propria famiglia in un pozzo e a salvarla dalla violenza. Catturato insieme a molti altri è condotto alla città, dove assiste ai tremendi sacrifici umani in onore del dio del sole Kukulkan. Quando la sua sete di sangue è placata, i sopravvissuti, tra cui Zampa di Giaguaro, vengono lasciati andare, ma quando lui uccide il figlio di Lupo Zero (Trujillo), il capo dei guerrieri dalla città, è costretto ad una fuga senza quartiere per la foresta per salvare la propria vita e quella della sua famiglia.
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In una piccola tribù maya che vive nella foresta, Zampa di Giaguaro (Youngblood) vive felice con la moglie (Hernandez) e il figlio. Quando una tribù più potente che vive in una città di pietra li attacca il villaggio è distrutto, gli uomini catturati e le donna violentate. Ma il guerriero riesce a nascondere la propria famiglia in un pozzo e a salvarla dalla violenza. Catturato insieme a molti altri è condotto alla città, dove assiste ai tremendi sacrifici umani in onore del dio del sole Kukulkan. Quando la sua sete di sangue è placata, i sopravvissuti, tra cui Zampa di Giaguaro, vengono lasciati andare, ma quando lui uccide il figlio di Lupo Zero (Trujillo), il capo dei guerrieri dalla città, è costretto ad una fuga senza quartiere per la foresta per salvare la propria vita e quella della sua famiglia. La quarta regia di Gibson ha attirato critiche tremende (specialmente in Italia) per le scene di grande violenza, e piuttosto sanguinolente, tra cui quelle tremende dei sacrifici umani. Il regista non ci nasconde nulla in questa seconda Passione di Cristo, ma se nel film precedente ci costringeva a guardare l’inguardabile, esaltato già di per sé dal suo gusto cinematografico, qui ci fa dare un’occhiata alla realtà dell’epoca. L’arrivo dei conquistadores finale, l’apocalisse del titolo, non è che il colpo di grazia ad un popolo giù di per sé in crisi, distrutto dalla fame e dalle malattie. Questo è il più grande valore dell’opera di Gibson, parlata interamente in Maya Yucateco sottotitolato. Se poi si va a guardare, altri meriti non mancano, come ad esempio proprio la sequenza dei sacrifici che, con il sacerdote che incita la folla fa pensare sul potere della religione, che si trasforma in fanatismo. Come sempre c’è un certo sadismo un po’ eccessivo, incarnato nel Maya che chiama il protagonista “Quasi”, ma bisogna rassegnarsi: è pur sempre Mel Gibson. Magnifica fotografia di Deam Semler. Ottimo successo internazionale con quasi centoventi milioni di incasso. Attori praticamente sconosciuti. Retato "film per tutti", c’è stato un ricorso al TAR del Lazio che l’ha infine (giustamente) vietato ai 14.
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aristoteles
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domenica 31 luglio 2016
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zampa di gallina non ha paura
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Oltre che grande attore,il buon Mel Gibson sa fare anche il regista.
Se siete leggermente deboli di stomaco meglio rivolgersi altrove,perchè le scene sono veramente nude e crude e ti lasciano senza fiato.
Eccessiva violenza ??? Non credo proprio,piuttosto doverosa realtà,quella di vecchie tribù.
La fotografia è semplicemente meravigliosa.
Mai visto così da vicino(perchè le inquadrature spesso sono molto "strette" sui volti e sui corpi dei protagonisti)tanti dettagli,tatuaggi e incisioni.
Anche l'ambientazione vi colpirà, tra villaggi e foreste immense vi sentirete tirati fuori dalle vostre abitazioni,come vi sentirete letteralmente terrorizzati dai sacrifici proposti.
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Oltre che grande attore,il buon Mel Gibson sa fare anche il regista.
Se siete leggermente deboli di stomaco meglio rivolgersi altrove,perchè le scene sono veramente nude e crude e ti lasciano senza fiato.
Eccessiva violenza ??? Non credo proprio,piuttosto doverosa realtà,quella di vecchie tribù.
La fotografia è semplicemente meravigliosa.
Mai visto così da vicino(perchè le inquadrature spesso sono molto "strette" sui volti e sui corpi dei protagonisti)tanti dettagli,tatuaggi e incisioni.
Anche l'ambientazione vi colpirà, tra villaggi e foreste immense vi sentirete tirati fuori dalle vostre abitazioni,come vi sentirete letteralmente terrorizzati dai sacrifici proposti.
Il nostro eroe "Zampa di Gallina" cercherà in tutti i modi di proteggere la propria famiglia,con tutto l'indomito spirito di cacciatore e guerriero che lo accompagnerà in una lunga lotta per la sopravvivenza all'ultimo respiro.
Impossibile annoiarsi,impossibile non rimanere catturati dallo spettacolo proposto.
Assolutamente imperdibile (i bambini lasciateli a dormire).
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massimo
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domenica 7 gennaio 2007
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le farfalle della cera nell'alveare maya
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Kipling in Actions and Reactions racconta una breve parabola intitolata The Mother Hive che è la storia della degenerazione morale e fisica di un alveare. Le api depongono le uova, ma le "farfalle della cera" entrano nell'arnia. Poi nascono degli strani mostri. Le giovani api rifiutano di fare ciò che devono. Costruiscono delle celle circolari. Per un certo tempo l'alveare è senza regina. Finalmente l'apicultore apre l'arnia e distrugge tutto ciò che contiene, salvo un piccolo numero di api superstiti che sciamano fino ad un ramo d'un albero vicino, pronte a ricostruire la loro società.
Si sa che il quadro degli ultimi secoli della storia dei Maya è piuttosto desolante: è la storia del declino nelle arti, nella religione, nella cultura dovuti, prima di tutto, a una deriva verso la mentalità militare portata da tribù barbare del nord del Messico che, dopo aver soggiogato i Maya, trasformarono il dio del sole in un dio della guerra.
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Kipling in Actions and Reactions racconta una breve parabola intitolata The Mother Hive che è la storia della degenerazione morale e fisica di un alveare. Le api depongono le uova, ma le "farfalle della cera" entrano nell'arnia. Poi nascono degli strani mostri. Le giovani api rifiutano di fare ciò che devono. Costruiscono delle celle circolari. Per un certo tempo l'alveare è senza regina. Finalmente l'apicultore apre l'arnia e distrugge tutto ciò che contiene, salvo un piccolo numero di api superstiti che sciamano fino ad un ramo d'un albero vicino, pronte a ricostruire la loro società.
Si sa che il quadro degli ultimi secoli della storia dei Maya è piuttosto desolante: è la storia del declino nelle arti, nella religione, nella cultura dovuti, prima di tutto, a una deriva verso la mentalità militare portata da tribù barbare del nord del Messico che, dopo aver soggiogato i Maya, trasformarono il dio del sole in un dio della guerra.
Gli Spagnoli che giunsero sulle coste dello Yucatan trovarono una civiltà decaduta ad un livello assai basso, in cui scultura, architettura e arte della ceramica erano degnerati di pari passo col degenerarsi del costume secolare e reigioso.
Poi i "conquistadores" e le malattie importate da questi fecero il resto.
In questo quadro storico, il film di Mel Gibson colpisce per il suo realismo che non lascia nulla all'immaginazione. Forse gli occhi degli esperti del settore (storici e archeologi)sapranno cogliere le inesattezze, secondo me inevitabili, nella rappresentazione della civiltà maya dell'epoca, ma lo scopo di Mel Gibson non era certo quella di fare un documentario storico-archeologico, bensì cogliere lo "spirito" di una civiltà raffigurata in un particolare momento della sua parabola. E in questo "spirito" ci sono, ovviamente, elementi positivi e negativi. Alla vita idilliaca della tribù del protagonista, Zampa di Giaguaro, che vive in completa armonia col suo ambiente naturale (la foresta tropicale dello Yucatan) si contrappone la vita della sopravvissuta città Maya dove una casta militare utilizza le antiche conoscenze astronomiche capaci di predire un'eclisse per sostenere una religione ormai degradata alla giustificazione dei sacrifici umani.
Toccanti scene colpiscono la nostra mentalità moderna per l'assoluta mancanza di pietà nei rapporti tra guerrieri e le loro vittime, ma emergono anche i lati più umani che possiamo definire universali: i rapporti padre-figlio, marito-moglie, l'amicizia e la solidarietà nelle avversità più drammatiche.
Il film è comunque tipicamente americano, volto a esaltare la figura di un eroe che deve ritornare al villaggio distrutto per salvare la moglie e il figlio che lui stesso aveva calati in una cavità per nasconderli dagli assalitori. E in questo ritorno che è un'immane corsa nella giungla, si deve difendere da un gruppo di sette-otto inseguitori che reclamano la sua vita per aver ucciso il figlio del capo degli stessi. Ricorrerà alla sua profonda conoscenza della natura acquisita grazie alle sue tradizioni ancestrali per sconfiggere gli inseguitori, ma interverranno anche altri elementi quasi soprannaturali ad aiutarlo in questo suo ritorno, tanto che gli inseguitori stessi ne sono profondamente turbati ad ogni loro manifestazione.
In chiave cristiana, vi si può qui leggere l'esistenza di una "Provvidenza" che aveva destinato Zampa di Giaguaro ad un "nuovo inizio" come è detto nelle parole finali del protagonista.
Senz'altro un film che fa riflettere.
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blogger
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lunedì 8 gennaio 2007
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eterni ritorni
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In Apocalypto l’anziano custode di verità ancestrali illustra alla tribù riunita il dramma della Storia sotto forma di apologo: vedendo l’uomo triste l’aquila gli fa dono della sua vista, il giaguaro della forza, e tutti gli altri animali gli regalano le proprie doti; tuttavia l’uomo non è felice, ha nel fondo dell’anima una voragine oscura che lo induce a desiderare sempre di più e gli impedisce di vivere pacificamente in armonia con la natura, di cui egli è figlio prediletto. La libidine di dominio è il virus che crea gli imperi e li annienta: la citazione di Durant sulle civiltà che si distruggono dall’interno apre l’apocalittica esplorazione della foresta amazzonica del 1518 di Gibson. La visione passatista però non sorprende: si abusa da sempre della semplicistica chiave moralistica per spiegare le alterne vicende dei popoli e per interpretarne i mutamenti comportamentali; le grandi civiltà, hanno pensato spesso poeti e storiografi, crollano quando avidità, sete di potere e crudeltà se ne impadroniscono e una stolida oclocrazia in balia di demagoghi opportunisti sostituisce l’aristocrazia dei competenti.
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In Apocalypto l’anziano custode di verità ancestrali illustra alla tribù riunita il dramma della Storia sotto forma di apologo: vedendo l’uomo triste l’aquila gli fa dono della sua vista, il giaguaro della forza, e tutti gli altri animali gli regalano le proprie doti; tuttavia l’uomo non è felice, ha nel fondo dell’anima una voragine oscura che lo induce a desiderare sempre di più e gli impedisce di vivere pacificamente in armonia con la natura, di cui egli è figlio prediletto. La libidine di dominio è il virus che crea gli imperi e li annienta: la citazione di Durant sulle civiltà che si distruggono dall’interno apre l’apocalittica esplorazione della foresta amazzonica del 1518 di Gibson. La visione passatista però non sorprende: si abusa da sempre della semplicistica chiave moralistica per spiegare le alterne vicende dei popoli e per interpretarne i mutamenti comportamentali; le grandi civiltà, hanno pensato spesso poeti e storiografi, crollano quando avidità, sete di potere e crudeltà se ne impadroniscono e una stolida oclocrazia in balia di demagoghi opportunisti sostituisce l’aristocrazia dei competenti. Sorprendentemente funzionale al suo talento di regista è piuttosto l’ossessività di Gibson nel credere religiosamente a un “’inizio” ovvero a un punto di svolta, all’evento spartiacque in cui decadenza e rinascita, disperazione e speranza coincidono: in The passion la passione di Cristo, in Apocalypto quella di Jaguar, un giovane cacciatore Maya. Nel primo la presenza divina salvifica e rigeneratrice si incarnava nel condannato martoriato, nel secondo essa si rivela in un cosmo solidale con i deboli, nei prodigi favorevoli all’innocente, nel miracoloso vigore concesso al suo corpo. La presenza invasiva del dettaglio raccapricciante è provocatorio complemento di un’umanità ridotta alla pura fisicità: la prestanza di Zampa di Giaguaro non trova sulla sua strada individui, ma marmaglie urlanti e assetate di sangue, assecondate e schiavizzate grottescamente da burattinai truci. Nel carnaio le lingue morte e i capolavori architettonici tornano in vita per segnare l’oblio di un mondo migliore perduto: il latino dei soldati e l’aramaico in The passion, lo yacateco e i templi di pietra in Apocalypto sono malinconiche vestigia di un universo di arte e poesia ucciso dall’orda brutale. Così l’arrogante carnefice, devoto a un idolo sanguinario proiezione di sé, a caccia della preda da sacrificare inquadra l’universale dinamica dei rapporti umani: la ricostruzione del passato remoto dei misteriosi Maya rimanda a un eterno presente, a una società di massa amorale e invasata, a lotte e conflitti per il dominio e per la libera sopravvivenza; la scabra e truculenta tensione dell’action movie ne è la sola immagine efficace, giacché nel ripresentarsi ciclico degli eventi la sacra purificazione è provvisoria.
http://slilluzicando.splinder.com
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silvia
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venerdì 12 gennaio 2007
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lo rivedrei di sicuro!
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Non sono una grande intenditrice di cinema, nè tantomeno di civiltà antiche. Sono in tal senso un avera profana: non so quasi nulla, che non sia scolastico, sui Maya.
A parte ciò, sono di parte perchè adoro la regia di Mel Gibson..
Il film mi è molto piaciuto. Se avessi voluto conoscere i Maya avrei sicuramente scelto un documentario. Invece volevo gustarmi un film, calarmi nei panni del protagonista: e questo è successo. Mi sembrava di essere nella foresta, a correre, a scappare, a soffrire per quella donna che ha strenuamente difeso i suoi "cuccioli".
Il film mi ha dato molto sul piano umano, ha suscitato emozioni profonde che mi sono rimaste.
Ho molto apprezzato la scelta di non doppiare il film: permette di seguire la recitazione degli attori e rende il tutto più credibile.
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Non sono una grande intenditrice di cinema, nè tantomeno di civiltà antiche. Sono in tal senso un avera profana: non so quasi nulla, che non sia scolastico, sui Maya.
A parte ciò, sono di parte perchè adoro la regia di Mel Gibson..
Il film mi è molto piaciuto. Se avessi voluto conoscere i Maya avrei sicuramente scelto un documentario. Invece volevo gustarmi un film, calarmi nei panni del protagonista: e questo è successo. Mi sembrava di essere nella foresta, a correre, a scappare, a soffrire per quella donna che ha strenuamente difeso i suoi "cuccioli".
Il film mi ha dato molto sul piano umano, ha suscitato emozioni profonde che mi sono rimaste.
Ho molto apprezzato la scelta di non doppiare il film: permette di seguire la recitazione degli attori e rende il tutto più credibile.
Per quanto riguarda la violenza, personalmente trovo che altri film siano molto più "fastidiosi": parlo di "Kill Bill", di "Gangs of New York", della stessa "Passione di Cristo". Oltretutto, lavoro in un multisala e lo noto, molti film destinati ai giovanissimi e decisamente esagerati(leggi "Hostel", per citarne solo uno fra i tanti...).
Non voglio essere prolissa, dico solo che Mel Gibson non mi ha deluso nemmeno stavolta e che il film merita di essere visto e rivisto, secondo il mio modestissimo parere.
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riccardo
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sabato 13 gennaio 2007
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film nuovo ed affascinante
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Dopo la "Passione di Cristo" Gibson torna con un nuovo kolossal.Questa volta l'attenzione del regista si sposta sulla fine dell'impero Maya,la sua autodistruzione come dice la solenne frase all'inizio del film:"Una grande civiltà non è distrutta dall'esterno finchè non si è distrutta da sè all'interno".Nuovo argomento,nuove critiche.Ma come aveva già dimostrato con l'opera precedente,Gibson ha talento,e tralasciando l'onnipresente violenza che infastidisce molti,crea una pellicola ritmata,dinamica e affatto noiosa nonostante la durata(139 minuti),puntando sullo sconvolgere ed affascinare il pubblico...e ci riesce alla perfezione!Storicamente il film può essere errato,non rispettando le date,ma se il risultato è uno spettacolo di questo livello,si può anche perdonare.
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Dopo la "Passione di Cristo" Gibson torna con un nuovo kolossal.Questa volta l'attenzione del regista si sposta sulla fine dell'impero Maya,la sua autodistruzione come dice la solenne frase all'inizio del film:"Una grande civiltà non è distrutta dall'esterno finchè non si è distrutta da sè all'interno".Nuovo argomento,nuove critiche.Ma come aveva già dimostrato con l'opera precedente,Gibson ha talento,e tralasciando l'onnipresente violenza che infastidisce molti,crea una pellicola ritmata,dinamica e affatto noiosa nonostante la durata(139 minuti),puntando sullo sconvolgere ed affascinare il pubblico...e ci riesce alla perfezione!Storicamente il film può essere errato,non rispettando le date,ma se il risultato è uno spettacolo di questo livello,si può anche perdonare.Ma la violenza sembra quasi provocatoria(dopo tutte le critiche ricevute per"The Passion"...è ovvio che Gibson voglia"vendicarsi"!)e non risparmia donne e bambini,massacrati.La regia è forse troppo caotica,instabile ma è un modo per riflettere il disordine di quella antica civiltà(che si stava annientando all'interno,attraverso lo scontro tra le varie popolazioni)e raggiunge il culmine in quella che doveva essere la capitale Maya,con i suoi alti templi e un affollamento soffocante!.Un film nuovo ed affascinante,dunque,quello di Gibson che affronta contemporaneamente il tema della vita e della morte(la moglie del protagonista partorisce,in una grotta sotterranea e mentre rischia di annegare,proprio quando la realtà in cui vive si avvicina al termine)!E quella frase che compare all'inizio è ripresa alla fine,quando,dopo che l'antica civiltà ha già cominciato ha disintegrarsi,s'intravedono sul mare le prime navi e i primi "conquistadores",che avrebbero presto incontrato la popolazione indigena;ma Zampa di giaguaro tenta di evitare quel contatto,ritirandosi nella foresta con la famiglia,per tentare un nuovo inizio....un inizio che verrà presto bloccato dall'inevitabile,prossima fine...e questo lo spettatore lo sa.
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(di gennarello)
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pulce canterina
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lunedì 22 gennaio 2007
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i film memorabili sono altri!
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Ma come fate a non immaginare niente di intermedio tra il documentario ed il film storico?
Ve lo suggerisco: il buon cinema.
Si può prendere a pretesto l'ambientazione storica, ottimo per il lancio pubblicitario, ma si deve avere l'onestà intellettuale di dire che è solo un pretesto: le ricostruzioni storiche danno valore alla regia, non la sviliscono; la documentazione puntuale è d'obbligo per qualunque regista che "grande" si voglia far definire.
Perché al cinema ci va la gente normale e non è corretto far passare l'idea che la civiltà precolombiana sia stata solo isteria collettiva e squarciamento di ventri: è la solita vecchia, razzista, ridicola, smentita idea che ciò che è altro da noi sia incivile, brutale, barbaro: i secoli sono passati, gli studi storici compiuti ed approfonditi, ma il devotissimo Mel non riesce a vedere più in là del suo naso.
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Ma come fate a non immaginare niente di intermedio tra il documentario ed il film storico?
Ve lo suggerisco: il buon cinema.
Si può prendere a pretesto l'ambientazione storica, ottimo per il lancio pubblicitario, ma si deve avere l'onestà intellettuale di dire che è solo un pretesto: le ricostruzioni storiche danno valore alla regia, non la sviliscono; la documentazione puntuale è d'obbligo per qualunque regista che "grande" si voglia far definire.
Perché al cinema ci va la gente normale e non è corretto far passare l'idea che la civiltà precolombiana sia stata solo isteria collettiva e squarciamento di ventri: è la solita vecchia, razzista, ridicola, smentita idea che ciò che è altro da noi sia incivile, brutale, barbaro: i secoli sono passati, gli studi storici compiuti ed approfonditi, ma il devotissimo Mel non riesce a vedere più in là del suo naso.. (forse il vero significato del film voleva essere: "L'uomo primitivo prima di incontrare la grazia"... beh, allora, ha sbagliato davvero il soggetto).
Altrimenti lo si dica: si voleva fare un film fanta-storico.
Ed allora sarebbe stato comunque mediocre: perché, scusate, qual'è la storia? Quella di una fuga claustrofobica, neppure ben riuscita, di un uomo in una giungla (vogliamo qui ignorare la bestialità del volerci dar a bere che si possa correre ininterrottamente, feriti, per giorni, in una giungla; salvarsi dalle sabbie mobili; gettarsi da altezze improponibili... lasciamo perdere...), ma perché tirare in ballo questi poveri yucatechi, prima uccisi dalla brutalità della conquista e poi dai luoghi comuni creati su di loro?
I discendenti di quelle popolazioni hanno protestato, perché il film manca loro di rispetto (così come un tempo ad altri nativi d'America): mi associo.
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