L'odore del sangue

   
   
   

Maria Pia Fusco

La Repubblica

Fanny Ardant: «Non mi piacciono le donne cosiddette normali, limpide, rassicuranti, preferisco il cinema che azzarda, personaggi di donne tormentate, contraddittorie, ambigue. Il libro di Parise mi ha lasciato una grande impressione, mi ha colpito l’itinerario di Silvia, tutt’altro che lineare, non seguite il percorso della razionalità e della saggezza che ci si aspetta da una donna della sua età, ma si ribella al tradimento e all’abbandono. E sceglie di tuffarsi in rapporti forti, intensi, violenti con uomini più giovani segue l’esempio di Carlo, il marito, che con la sua giovanissima amante cerca di prolungare la giovinezza, di esaltare la vitalità».
L’adesione dell’attrice francese al personaggio di Silvia e a L’odore del sangue, il film che Mario Martone ha tratto dal romanzo di Goffredo Parise pubblicato nel 1997, undici anni dopo la morte dello scrittore - esce il 2 aprile con la Mikado - è totale, lo stesso entusiasmo di Michele Placido, interprete di Carlo, «grato a Martone intanto perché da tempo volevo lavorare con lui, poi perché ha visto giusto collocando-mi nei film in questo momento della mia vita. Alla fine del film ho goduto, mi è servito come un’analisi di me stesso».
Nell’impeccabile cast del film c’è Giovanna Giuliani, Lù, la giovane amante di Carlo, un personaggio «modificato rispetto a quello del libro, era una ragazza di campagna, è diventata una che lavora con i cavalli, un fisico androgino, molto diversa dalla femminilità sensuale di Silvia. Per il resto, se pure la dicitura è “liberamente” ispirato, non credo di averlo tradito, io non prendo spunto da unromanzo, faccio un corpo a corpo, ma il romanzo c’è», dice Mario Martone per il quale il film è il risultato di un impegno di anni.
Il cambiamento più evidente è nell’ambientazione, gli anni Settanta dell’estremismo e dei picchiatori fascisti - Parise collo-cada quella parte l’amante di Silvia - sono diventati un oggi con i telefonini e le auto attuali. «Non volevo fare un film in costume né ricostruire una collocazione sociologica e politica, quello che è attuale è il rapporto tra i due personaggi, rispecchia l’intenzione di Parise, raccontare come alla confusione di valori e di idee nel mondo esterno corrispondesse la confusione negli esseri umani. Anche per questo, per ricordare come Parise era curioso e attento a quello che succedeva nel mondo, ho inserito un paio di suoi reportage, come quello dal l3iafra commentato dalla sua vera voce», dice Marrone.
«Anzi, oggi, con le guerre e la violenza, la confusione nel mondo è ancora più grande, e noi esseri umani ci facciamo ancora più male, le lacerazioni sono più devastanti, i nostri comportamenti più osceni», dice Placido, interprete ideale di Carlo, con la curiosità implacabile, gelida e indagatrice con cui interroga Silvia sui suoi rapporti con l’altro, un rigore spezzato a tratti da esplosioni di violenza. È lui, il suo personaggio, che determina il corso degli eventi, è il colpevole, ma, secondo Martone, «la colpa si incrocia con il destino, è come in una tragedia greca, senza l’apparizione del ragazzo nella vita di Silvia - non lo vediamo mai nel film malo conosciamo attraverso i racconti di lei e le ossessioni di Carlo - le cose sarebbero andate diversamente». Sul riferimento alla tragedia greca la Ardant è d’accordo: «I comportamenti e le scelte contano, però ciascuno va verso il suo destino, a prescindere dalle colpe individuali».
La fisicità dei rapporti, il linguaggio dei film, esplicito, duro e diretto, le descrizioni di Silvia e alcune immagini di sesso, in particolare una sequenza di sesso orale all’inizio, lasciano sul film t’ombra di una possibile censura. di un eventuale divieto ai 18 anni. «Non so cosa sarà deciso, ma sono contro ogni censura, e non solo ora per il mio film, lo sono sempre stato. Se scandalo c’è nei film, secondo me è lo scandalo della parola, una scrittura semplice, assolutamente naturale, parte del sillabario di Parise, elemento delta bellezza della sua letteratura. Non dovrebbe essere oggetto di censura», dice Martone, e con lui concordano i suoi interpreti.
A proposito di linguaggio, in un film in cui la parola è protagonista, Fanny Ardant, che con mirabile professionismo recita in un italiano di cui il lieve accento esalta la sensualità, ricorda che «a colpirmi profondamente alla prima lettura del libro è stata proprio la forza delle parole e l’uso che se ne fa. Non è un linguaggio da chierichetti, ma è necessario così. E in realtà più lei dice e più nasconde, le scene raccontate da Silvia a Carlo sono forse più interessanti della realtà vissuta, ma non sapremo mai dov’è la verità che cerca Carlo. È un gioco di ambiguità, che dovrebbe coinvolgere gli spettatori come ha coinvolto noi interpreti».
Da La Repubblica, 19 marzo 2004


di Maria Pia Fusco, 19 marzo 2004

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