La tregua

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Un film di Francesco Rosi. Con Claudio Bisio, John Turturro, Massimo Ghini, Rade Serbedzija, Teco Celio.
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Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 126 min. - Italia, Francia, Germania, Svizzera 1997. - Warner Bros Italia uscita venerdì 14 febbraio 1997. MYMONETRO La tregua * * * - - valutazione media: 3,13 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

Rosi dirige un'opera sincera, cupa e apologetica. Valutazione 3 stelle su cinque

di Great Steven


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mercoledì 13 agosto 2014

LA TREGUA (IT, 1997) diretto da FRANCESCO ROSI. Interpretato da JOHN TURTURRO – MASSIMO GHINI – CLAUDIO BISIO – STEFANO DIONISI – RADE SERBEDZIJA – ROBERTO CITRAN – ANDY LUOTTO – LORENZA INDOVINA § Dal libro (1963) di P. Levi, sceneggiato da F. Rosi, Stefano Rulli e Sandro Petraglia con l’appoggio di Tonino Guerra. Il 27 gennaio 1945 i soldati russi arrivano a Buna-Monowitz (Polonia), una delle trentanove sezioni del campo di concentramento di Auschwitz (Oswiecim). Alla fine di febbraio, il chimico ebreo torinese Primo Levi (1919-1987) comincia il lungo viaggio di ritorno che dura quasi otto mesi fra destinazioni incerte, derive, soste obbligate, peripezie, vagabondaggi. Dopo un viaggio in treno della durata di trentacinque giorni (che attraversa Polonia, Romania, Ungheria, Austria e Germania), il 19 ottobre 1945 giunse a Torino, rientrando nella sua casa. Era assai difficile cavare un film da un libro rapsodico e frammentario di poco più di duecento pagine con pochi dialoghi e trasferire in dimensione audiovisiva una scrittura precisa, concreta, sostenuta da riflessioni da un’alta tenuta morale, in continua oscillazione fra luce e tenebra, allegria e gravità, io e noi. Rosi e i suoi collaboratori ci sono riusciti non completamente, ma per buona parte hanno condotto un lavoro più che decente. Quando segue il libro, il film non è troppo impacciato ed evita agilmente le banalità, sorvolandole e inserendo innovazioni gradite che lo rendono scorrevole, fluido e apprezzabile per il suo plasticismo figurativo e il suo accademismo illustrativo. Quando inventa, si sente dietro il calcolo mercantile, eppure le novità non stonano nell’insieme e danno una parvenza di uniformità ed eterogeneità che sa ergersi a paladina del buon cinema nonché a bandiera della trasposizione tradizionale. Dove il calcolo non risulta, subentra il formalismo lirico. Un paio di volte viene sfiorata la corda dell’epica, ma è un peccato che per rendere la dimensione di gaiezza, arguzia, perfino gioia quasi puerile che in Levi esiste si ricorra agli stereotipi della commedia italo-romanesca. Un diversivo differente sarebbe stato preferibile, piuttosto che le battute arcinote e rifritte di un canovaccio che si ripete continuamente uguale a sé stesso in ogni minimo anfratto. Fra i personaggi le note positive sono il greco Mordo Nahum di Serbedzija, il Daniele di Dionisi e il Primo di Turturro, malgrado la differenza di età e di altezza e il fuoco che cova, meridionale più che piemontese. Tuttavia l’attore statunitense regala un romanziere silenzioso e attonito di fronte ad una delle più clamorose ed aberranti tragedie dell’umanità. Musiche di Luis Bacalov, premiato l’anno prima con l’Oscar per la colonna sonora de Il postino. Rosi dirige con mano sicura il lungo viaggio che compiono i liberati dal lager abbandonato dai nazisti in fuga sotto la spessa coltre di neve, quando somigliano ancora a larve che si muovono disperate fra i reticolati, all’Italia: questi italiani scampati ai forni crematori, superstiti, affamati e spinti dal desiderio di rimpatriate il prima possibile e tornare al calore delle loro amatissime dimore sono interpretati da uno stuolo di attori validi e preparati (oltre ai già citati, anche Bisio e Ghini si impegnano e si danno da fare con energia e vigore, facendo ampio uso delle veracità dialettali e degli stilemi tragicomici). Il regista sa coniugare la poesia del romanzo, in questa coproduzione costata venti miliardi lire, con le esigenze dello spettacolo cinematografico. C’è pure una cura ambientale sopraffina, che denota un gusto tardo-romantico nella scenografia che è approntata apposta per introdurre lo spettatore nello squallore e al contempo nella chiarezza insieme enigmatica e lampante del ritorno in patria attraverso un’Europa dilaniata dalle devastazioni, postumi di un conflitto che ha decimato la popolazione continentale riducendola ad un colabrodo di sfollati, disperati e derelitti che non hanno commesso colpe eppure si ritrovano ad affrontare le conseguenze che le persecuzioni hanno determinato nelle loro vite rette ed innocenti. Dedicato alla memoria di Ruggero Mastroianni (montaggio) e Pasqualino De Santis (fotografia), morti durante la lavorazione e sostituiti da Bruno Sarandrea e Marco Pontecorvo.

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