markfener90
|
martedì 29 gennaio 2008
|
l'itaca disconosciuta
|
|
|
|
Auschwitz, 27 gennaio 1997.Le truppe sovietiche sono penetrate in Polonia,giungendo alle porte di una delle sezioni del campo di concentramento nazista.Primo Levi e’ un chimico torinese che provvidenzialmente sopravvissuto alla strage,comincia il suo lunghissimo ritorno a casa,attraversando mezz’Europa.Lo aspetta una realtà sconcertante, segnata da sei lunghi anni di guerra.La compagnia di alcuni suoi connazionali dai tratti stereotipati e di un greco dalla mentalità concreta e disillusa presenta a Levi una società profondamente scossa e rivoluzionata,che a tratti assume peculiarità bizzarre e grottesche.La società che abbandona le vittime di tanta pazzia,intimamente alienate da una realtà a cui è impossibile reintegrarsi dopo gli orrori del genocidio.
[+]
Auschwitz, 27 gennaio 1997.Le truppe sovietiche sono penetrate in Polonia,giungendo alle porte di una delle sezioni del campo di concentramento nazista.Primo Levi e’ un chimico torinese che provvidenzialmente sopravvissuto alla strage,comincia il suo lunghissimo ritorno a casa,attraversando mezz’Europa.Lo aspetta una realtà sconcertante, segnata da sei lunghi anni di guerra.La compagnia di alcuni suoi connazionali dai tratti stereotipati e di un greco dalla mentalità concreta e disillusa presenta a Levi una società profondamente scossa e rivoluzionata,che a tratti assume peculiarità bizzarre e grottesche.La società che abbandona le vittime di tanta pazzia,intimamente alienate da una realtà a cui è impossibile reintegrarsi dopo gli orrori del genocidio.Fondamentali le scene di apertura in cui i russi liberano i prigionieri e in cui l’Ulisse di turno comincia il “nostos” nella speranza di tornare nella sua sedicente Itaca,che negli ultimi fotogrammi del film si rivelerà nient’altro che una trappola.Essi mostrano Levi nella sua casa, immerso nella presunta normalità, un’ordinarietà esasperata da svariati secondi di silenzio tombale,quasi un oscuro presagio dell’epilogo esistenziale del protagonista.Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Primo Levi e presenta talvolta qualche forzatura e riesce non del tutto a uniformarsi alla realtà descritta nel libro,molto più astratta e filosofeggiante,cedendo ad un intreccio forse troppo elaborato e superficiale.Tuttavia il regista Francesco Rosi,assegnando il ruolo principale ad un John Turturro alle prime armi ma già da allora immediato ed efficace,traspone in maniera accettabile un capolavoro della letteratura,prova inconfutabile di come l’irrazionalità e la follia di una strage muti in maniera latente l’assurda società che disconosce i propri figli.
[-]
[+] complimenti
(di anonimo)
[ - ] complimenti
|
|
[+] lascia un commento a markfener90 »
[ - ] lascia un commento a markfener90 »
|
|
d'accordo? |
|
great steven
|
mercoledì 13 agosto 2014
|
rosi dirige un'opera sincera, cupa e apologetica.
|
|
|
|
LA TREGUA (IT, 1997) diretto da FRANCESCO ROSI. Interpretato da JOHN TURTURRO – MASSIMO GHINI – CLAUDIO BISIO – STEFANO DIONISI – RADE SERBEDZIJA – ROBERTO CITRAN – ANDY LUOTTO – LORENZA INDOVINA § Dal libro (1963) di P. Levi, sceneggiato da F. Rosi, Stefano Rulli e Sandro Petraglia con l’appoggio di Tonino Guerra. Il 27 gennaio 1945 i soldati russi arrivano a Buna-Monowitz (Polonia), una delle trentanove sezioni del campo di concentramento di Auschwitz (Oswiecim). Alla fine di febbraio, il chimico ebreo torinese Primo Levi (1919-1987) comincia il lungo viaggio di ritorno che dura quasi otto mesi fra destinazioni incerte, derive, soste obbligate, peripezie, vagabondaggi.
[+]
LA TREGUA (IT, 1997) diretto da FRANCESCO ROSI. Interpretato da JOHN TURTURRO – MASSIMO GHINI – CLAUDIO BISIO – STEFANO DIONISI – RADE SERBEDZIJA – ROBERTO CITRAN – ANDY LUOTTO – LORENZA INDOVINA § Dal libro (1963) di P. Levi, sceneggiato da F. Rosi, Stefano Rulli e Sandro Petraglia con l’appoggio di Tonino Guerra. Il 27 gennaio 1945 i soldati russi arrivano a Buna-Monowitz (Polonia), una delle trentanove sezioni del campo di concentramento di Auschwitz (Oswiecim). Alla fine di febbraio, il chimico ebreo torinese Primo Levi (1919-1987) comincia il lungo viaggio di ritorno che dura quasi otto mesi fra destinazioni incerte, derive, soste obbligate, peripezie, vagabondaggi. Dopo un viaggio in treno della durata di trentacinque giorni (che attraversa Polonia, Romania, Ungheria, Austria e Germania), il 19 ottobre 1945 giunse a Torino, rientrando nella sua casa. Era assai difficile cavare un film da un libro rapsodico e frammentario di poco più di duecento pagine con pochi dialoghi e trasferire in dimensione audiovisiva una scrittura precisa, concreta, sostenuta da riflessioni da un’alta tenuta morale, in continua oscillazione fra luce e tenebra, allegria e gravità, io e noi. Rosi e i suoi collaboratori ci sono riusciti non completamente, ma per buona parte hanno condotto un lavoro più che decente. Quando segue il libro, il film non è troppo impacciato ed evita agilmente le banalità, sorvolandole e inserendo innovazioni gradite che lo rendono scorrevole, fluido e apprezzabile per il suo plasticismo figurativo e il suo accademismo illustrativo. Quando inventa, si sente dietro il calcolo mercantile, eppure le novità non stonano nell’insieme e danno una parvenza di uniformità ed eterogeneità che sa ergersi a paladina del buon cinema nonché a bandiera della trasposizione tradizionale. Dove il calcolo non risulta, subentra il formalismo lirico. Un paio di volte viene sfiorata la corda dell’epica, ma è un peccato che per rendere la dimensione di gaiezza, arguzia, perfino gioia quasi puerile che in Levi esiste si ricorra agli stereotipi della commedia italo-romanesca. Un diversivo differente sarebbe stato preferibile, piuttosto che le battute arcinote e rifritte di un canovaccio che si ripete continuamente uguale a sé stesso in ogni minimo anfratto. Fra i personaggi le note positive sono il greco Mordo Nahum di Serbedzija, il Daniele di Dionisi e il Primo di Turturro, malgrado la differenza di età e di altezza e il fuoco che cova, meridionale più che piemontese. Tuttavia l’attore statunitense regala un romanziere silenzioso e attonito di fronte ad una delle più clamorose ed aberranti tragedie dell’umanità. Musiche di Luis Bacalov, premiato l’anno prima con l’Oscar per la colonna sonora de Il postino. Rosi dirige con mano sicura il lungo viaggio che compiono i liberati dal lager abbandonato dai nazisti in fuga sotto la spessa coltre di neve, quando somigliano ancora a larve che si muovono disperate fra i reticolati, all’Italia: questi italiani scampati ai forni crematori, superstiti, affamati e spinti dal desiderio di rimpatriate il prima possibile e tornare al calore delle loro amatissime dimore sono interpretati da uno stuolo di attori validi e preparati (oltre ai già citati, anche Bisio e Ghini si impegnano e si danno da fare con energia e vigore, facendo ampio uso delle veracità dialettali e degli stilemi tragicomici). Il regista sa coniugare la poesia del romanzo, in questa coproduzione costata venti miliardi lire, con le esigenze dello spettacolo cinematografico. C’è pure una cura ambientale sopraffina, che denota un gusto tardo-romantico nella scenografia che è approntata apposta per introdurre lo spettatore nello squallore e al contempo nella chiarezza insieme enigmatica e lampante del ritorno in patria attraverso un’Europa dilaniata dalle devastazioni, postumi di un conflitto che ha decimato la popolazione continentale riducendola ad un colabrodo di sfollati, disperati e derelitti che non hanno commesso colpe eppure si ritrovano ad affrontare le conseguenze che le persecuzioni hanno determinato nelle loro vite rette ed innocenti. Dedicato alla memoria di Ruggero Mastroianni (montaggio) e Pasqualino De Santis (fotografia), morti durante la lavorazione e sostituiti da Bruno Sarandrea e Marco Pontecorvo.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a great steven »
[ - ] lascia un commento a great steven »
|
|
d'accordo? |
|
enzo70
|
venerdì 21 agosto 2015
|
rosi ci prova, bravo torturro, ma....
|
|
|
|
La trasposizione cinematografica dei libri di sostanza è operazione complessa, una montagna difficile da scalare. La tregua, il libro di Levi, che ricorda, dopo se questo è un uomo, la tragedia degli ebrei sopravvissuti ad Auschwitz, focalizzando l’attenzione sul lunghissimo viaggio di ritorno verso l’Italia. Un viaggio durato quasi un anno, in cui l’armata russa che ha sconfitto l’esercito tedesco decide per tutti, gli italiani dovevano ancora scontare l’alleanza con Hitler, nonostante fossero italiani sopravvissuti ad Auschwitz. Rosi è regista di struttura e riesce a raccontare il film anche utilizzando la bravura di un ottimo Torturro che riesce a rendere perfettamente le emozioni raccontate da Primo Levi nel suo libro.
[+]
La trasposizione cinematografica dei libri di sostanza è operazione complessa, una montagna difficile da scalare. La tregua, il libro di Levi, che ricorda, dopo se questo è un uomo, la tragedia degli ebrei sopravvissuti ad Auschwitz, focalizzando l’attenzione sul lunghissimo viaggio di ritorno verso l’Italia. Un viaggio durato quasi un anno, in cui l’armata russa che ha sconfitto l’esercito tedesco decide per tutti, gli italiani dovevano ancora scontare l’alleanza con Hitler, nonostante fossero italiani sopravvissuti ad Auschwitz. Rosi è regista di struttura e riesce a raccontare il film anche utilizzando la bravura di un ottimo Torturro che riesce a rendere perfettamente le emozioni raccontate da Primo Levi nel suo libro. Il film rispecchia abbastanza fedelmente la traccia del libro e per questo assume a volte un ritmo abbastanza blando, ma comunque consono ad un film la cui principale funzione è, a mio avviso, quello di rinnovare una necessaria testimonianza per ricordare sempre i rischi della follia umana.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a enzo70 »
[ - ] lascia un commento a enzo70 »
|
|
d'accordo? |
|
alberto cinelli
|
venerdì 11 febbraio 2005
|
povero dottor levi, che affronto le hanno fatto...
|
|
|
|
Francesco Rosi ci ha dato tanti bei film, e dispiace dire che il progetto da anni inseguito di tradurre per lo schermo "La tregua" di Primo Levi induca ancora una volta a preferire la parola scritta all'immagine. E questo detto con cognizione di causa veramente convinta. Troppe cose non funzionano. Non lo svolgimento, che non ci rende partecipi della vicenda e che porta spesso allo sbadiglio (nel libro è tutt'altra cosa). Non la scelta degli attori: John Turturro sembra spaesato, Massimo Ghini fa il verso al Sordi di "Tutti a casa", Claudio Bisio è la replica di se stesso in "Mediterraneo", Roberto Citran e Stefano Dionisi sono come al solito inesistenti. Per non parlare di Andy Luotto, che non lo va più a cercare nemmeno Renzo Arbore.
[+]
Francesco Rosi ci ha dato tanti bei film, e dispiace dire che il progetto da anni inseguito di tradurre per lo schermo "La tregua" di Primo Levi induca ancora una volta a preferire la parola scritta all'immagine. E questo detto con cognizione di causa veramente convinta. Troppe cose non funzionano. Non lo svolgimento, che non ci rende partecipi della vicenda e che porta spesso allo sbadiglio (nel libro è tutt'altra cosa). Non la scelta degli attori: John Turturro sembra spaesato, Massimo Ghini fa il verso al Sordi di "Tutti a casa", Claudio Bisio è la replica di se stesso in "Mediterraneo", Roberto Citran e Stefano Dionisi sono come al solito inesistenti. Per non parlare di Andy Luotto, che non lo va più a cercare nemmeno Renzo Arbore.
Due sequenze da bocciare senza possibilità d'appello: la "curizzetta" (gallinella), nel libro episodio carino e simpatico qui trasformato in una farsaccia alla Fantozzi; quella del tedesco alla stazione che si inchina di fronte al protagonista in segno di scusa, di una banalità e di una retorica sconcertanti.
Dottor Levi. Chi l'avrebbe detto che nel decennale della Sua scomparsa il più grande regista italiano di impegno civile Le rendesse omaggio con un affronto simile?
[-]
|
|
[+] lascia un commento a alberto cinelli »
[ - ] lascia un commento a alberto cinelli »
|
|
d'accordo? |
|
|