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Imperdibile per ogni vero estimatore Valutazione 4 stelle su cinque

di Andras Vajda


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mercoledì 18 luglio 2007

Forse meno attento all'intreccio psicologico rispetto ai capolavori samperiani ("Grazie zia" su tutti), di tutt'altro taglio rispetto al celebratissimo "Il laureato", il film ebbe però storicamente il pregio indiscutibile di risultare più immediato, più antropologicamente vicino al nostro sentire rispetto alle coeve letture liceali sul medesimo tema, come ad esempio "Elogio delle donne mature" di Vizinczey. Ottima dimostrazione di come non sempre il regista debba lambiccarsi le meningi in contorte omnicomprensive analisi alla Dostoevskij, attingendo sapientemente ad ermetici simbolismi tardo junghiani, per evocare nello spettatore empatico e ben predisposto concetti, emozioni, scenari, ricordi, proiezioni la cui profondità e vastità trascendono incommensurabilmente una trama scarna, minimalista, a tratti perfino surreale. Bastano pochi spunti, poche pudiche inquadrature per far scattare inesorabilmente ll meccanismo di identificazione. Un meccanismo prepotente, perfetto, ineludibile, col suo vastissimo e coinvolgente portato di simbolico ribaltamento dei ruoli insegnante-discente; di giovanile, innocuo, indefinito anelito di rivalsa nei confronti del "potere", che improvvisamente si incanala nella libido riempiendosi di significati nuovi e tangibili; di omerico e carnale traghettamento verso la maturità. Una ritualità primeva ed iniziatica del passaggio che ancora si compie, uguale a sè stessa, dalla notte dei tempi: e, questo è il leit-motiv, non può che compiersi nel corpo-tempio di una donna-dea, matura e quindi saggia e generosa dispensatrice d'esperienza, Ishtar incarnata nell'estetica imperfetta (e dunque umana) dell'eterno femminino segnato dal tempo, per ciò stesso irresistibile. La mancanza di pretese di universalità del messaggio, o di un giudizio morale, o di un approfondimento con aspirazioni pedagogiche... non è certo un crimine. Occorre invece prendere serenamente atto che questa pellicola, come poche altre, ha influenzato l'immaginario collettivo di buona parte della generazione nata attorno agli anni '60: di coloro cioè che di famiglia contadina tradizionale (e conseguente continua promiscuità con zie acquisite, parenti, vicine mature - humus sociale del quale pure il Vizinczey tesse nostalgicamente le lodi in apertura del suo capolavoro), di lupanari e bordelli ove trovare esperte navi-scuola, e finanche della strombazzatissima, spesso immaginaria "rivoluzione sessuale" della generazione di Woodstock hanno sempre e soltanto inteso parlare. Divina ed appetibilissima Carroll Baker nella interpretazione dell'insegnante di una provincia stanca e annoiata, strapaesanamente italiana. L'allora trentenne Femi Benussi trasuda innocente malizia come al solito.

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