reservoir dogs
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lunedì 1 novembre 2010
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l'uomo parassita della città
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Tempo di divertimento ma per chi? E' il caso di domandarselo per l'uomo o per la macchina?
Jacques Tati degno successore di Buster Keaton gioca principalmente in questo film più che mai nelle isotopie e cosi sin dall'inizio del film crediamo di trovarci in un ospedale; tra le tante persone che vediamo passare troviamo infermieri e chirurghi che si riveleranno rispettivamente hostess e uomini delle pulizie perchè in realtà ci troviamo in un aereoporto.
Monsieur Hulot (Tati) si ritrova in continui equivoci che verrano risolti e sostituiti da altri nuovi per tutta la durata del film.
Si ha quasi la sensazione che la città abbia vita propria (le poltrone quando gli uomini vi si siedono "sbuffano") che l'uomo in quel mondo sia quasi un estraneo, un parassita che distrurba l'allegria della macchina; l'inaugurazione di un ristorante viene disturbata da l'uomo che con la sua presenza ne demolisce le parti.
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Tempo di divertimento ma per chi? E' il caso di domandarselo per l'uomo o per la macchina?
Jacques Tati degno successore di Buster Keaton gioca principalmente in questo film più che mai nelle isotopie e cosi sin dall'inizio del film crediamo di trovarci in un ospedale; tra le tante persone che vediamo passare troviamo infermieri e chirurghi che si riveleranno rispettivamente hostess e uomini delle pulizie perchè in realtà ci troviamo in un aereoporto.
Monsieur Hulot (Tati) si ritrova in continui equivoci che verrano risolti e sostituiti da altri nuovi per tutta la durata del film.
Si ha quasi la sensazione che la città abbia vita propria (le poltrone quando gli uomini vi si siedono "sbuffano") che l'uomo in quel mondo sia quasi un estraneo, un parassita che distrurba l'allegria della macchina; l'inaugurazione di un ristorante viene disturbata da l'uomo che con la sua presenza ne demolisce le parti.
Se infatti la macchina aliena e divora l'uomo in "Tempi Moderni" di Chaplin qui si fa beffa di lui e le tenta di tutte per mandarlo via.
Altamente significativa è la scena finale dove la città con le suoi veicoli fa una giostra in cui l'uomo è il solo ad interrompere questo divertente giro per esserne partecipe.
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itimoro
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venerdì 4 novembre 2016
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hulot e la simca 1000
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Ho rivisto, dopo tanti anni, recentemente questo film, restaurato. Sottoscrivo la recensione di Zappoli. Vorrei tentare un paio di osservazioni:
1 -l'idea della ripetitività e della necessità di "pensiero unico" indotto dalla modernità è resa in maniera magistrale, ma sottotraccia, dalla presenza quasi esclusiva, nei momenti in cui si vedono file di auto parcheggiate, di SIMCA 1000. Le ricordate? Scatolette economiche,senza fantasia, del tutto anonime. Mi è anche sembrato, ma bisognerebbe rivedere il film, che la SIMCA, anche in altri modelli, si presenti in massa durante tutta la storia. Nel gran finale, cambia la musica, forse la simpatia sorta tra M. Hulot e la turista americana induce il cambiamento, porta la speranza nella possibilità di relazione umana, e il gran girotondo automobilistico (la giostra) vede auto di tutti i tipi e di tutti i colori.
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Ho rivisto, dopo tanti anni, recentemente questo film, restaurato. Sottoscrivo la recensione di Zappoli. Vorrei tentare un paio di osservazioni:
1 -l'idea della ripetitività e della necessità di "pensiero unico" indotto dalla modernità è resa in maniera magistrale, ma sottotraccia, dalla presenza quasi esclusiva, nei momenti in cui si vedono file di auto parcheggiate, di SIMCA 1000. Le ricordate? Scatolette economiche,senza fantasia, del tutto anonime. Mi è anche sembrato, ma bisognerebbe rivedere il film, che la SIMCA, anche in altri modelli, si presenti in massa durante tutta la storia. Nel gran finale, cambia la musica, forse la simpatia sorta tra M. Hulot e la turista americana induce il cambiamento, porta la speranza nella possibilità di relazione umana, e il gran girotondo automobilistico (la giostra) vede auto di tutti i tipi e di tutti i colori.
2 - Mi sono chiesto chi siano, e cosa rappresentino tutti quegli equivoci M. Hulot che appaiono nel corso della narrazione. Tutto il film gioca spesso sull'equivoco, ma quei quasi-sosia che rompono l'equilibrio ferreo dell'ambiente sembrano il segno della resistenza all'adeguamento e della speranza nella fantasia.
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efrem
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sabato 1 agosto 2020
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playtime
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Tati era un vero genio, era uno di quei registi che sapevano guardare avanti al loro tempo. Playtime ne è la testimonianza, dato il suo valore profetico. Una satira della globalizzazione, del gesto ripetitivo, di una società asettica e meccanizzata. Playtime è probabilmente il capolavoro assoluto di Tati.
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carloalberto
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mercoledì 6 gennaio 2021
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ci vuole lo sguardo di un poeta per sopravvivere
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Tempo di divertimento, ossia l’epoca dell’Homo ludens, ingabbiato in palazzi tutti uguali, asettici ospedali che sembrano aeroporti e viceversa, come scatole di cristallo, che si riflettono l’una nell’altra attraverso vetri in cui si specchia la Parigi monumentale, così vicina e pure distante anni luce, le cui immagini arcaiche sono sprazzi improvvisi di storia, che, cercando di penetrare il moderno, ne vengono respinte riflesse, in una visione estemporanea, che trasforma l’eterno in contingente, confuso tra le immagini del caos cittadino di passanti, impiegati affaccendati, venditori di qualsiasi cosa e comitive di turisti.
Hulot,travisato nella folla, sembra aver perso i suoi tratti pierrotici, è una figura tra le tante che si muovono senza senso sulla scena, una delle tante comparse che popolano il film, come gli uomini appiattiti nel grigiore delle moderne metropoli, emergendone, tuttavia, nel finale, mentre, intrappolato in un minimarket, riesce a raggiungere la ragazza, che ha incontrato qualche ora prima, con un dono, un foulard ed un fiore di plastica, che si ripete moltiplicandosi nella forma dei lampioni che illuminano al tramonto una delle tante arterie che conducono nei meandri della città o fuori di essa, avvolta infine nelle tenebre.
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Tempo di divertimento, ossia l’epoca dell’Homo ludens, ingabbiato in palazzi tutti uguali, asettici ospedali che sembrano aeroporti e viceversa, come scatole di cristallo, che si riflettono l’una nell’altra attraverso vetri in cui si specchia la Parigi monumentale, così vicina e pure distante anni luce, le cui immagini arcaiche sono sprazzi improvvisi di storia, che, cercando di penetrare il moderno, ne vengono respinte riflesse, in una visione estemporanea, che trasforma l’eterno in contingente, confuso tra le immagini del caos cittadino di passanti, impiegati affaccendati, venditori di qualsiasi cosa e comitive di turisti.
Hulot,travisato nella folla, sembra aver perso i suoi tratti pierrotici, è una figura tra le tante che si muovono senza senso sulla scena, una delle tante comparse che popolano il film, come gli uomini appiattiti nel grigiore delle moderne metropoli, emergendone, tuttavia, nel finale, mentre, intrappolato in un minimarket, riesce a raggiungere la ragazza, che ha incontrato qualche ora prima, con un dono, un foulard ed un fiore di plastica, che si ripete moltiplicandosi nella forma dei lampioni che illuminano al tramonto una delle tante arterie che conducono nei meandri della città o fuori di essa, avvolta infine nelle tenebre.
Al centro del film la serata di inaugurazione di un grande ristorante night club, costruito sul progetto avveniristico di uno sprovveduto quanto buffo ed impotente architetto, simbolo del demiurgo incapace ed incosciente creatore del moderno stile di vita, all’insegna del mito ipertecnologico dell’efficienza che si dimostra paradossalmente disfunzionale e posticcio, rivelando la precarietà dell’esistente e la pochezza delle cose, che si autodistruggono nell’uso, distruggendo, al contempo, coloro che sono destinati ad utilizzarle, emblematicamente rappresentate nelle divise dei camerieri ridotte a stracci clowneschi ed imprimendo metaforicamente un marchio sui vestiti dei clienti come fossero appartenenti ad una setta.
Per un caffè dopo la notte trascorsa al night si va nel vecchio bistrot di fronte, frequentato da lavoratori e gente comune, dove ancora, all’alba, si rinviene qualche residuo sopravvissuto della vecchia Parigi, che la giovane turista anomala vorrebbe cogliere disperatamente in una foto, mettendo in posa la vecchia fioraia davanti al suo piccolo chiosco.
In una delle ultime sequenze, il traffico della grande città, attorno ad una rotonda, si trasfigura, nella fantasia di Tati, tinta da quell’ironia malinconica e rassegnata del vecchio Pierrot che mai diviene cinico sarcasmo, in una enorme giostra da luna park creata per il divertimento obbligato dell’uomo moderno, incatenato al tra tran quotidiano del suo destino meccanizzato e disumano, che, soltanto, assume significato nello sguardo poetico e disincantato di Monsieur Hulot ovvero di Jacques Tati.
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