Se “Avatar” del 2009 fu un’incredibile “botta” di creatività, con un salto in avanti negli effetti speciali, nella rappresentazione fantastica di mondi alieni e nell’invenzione di flora e fauna così stupende da non essere mai state viste al cinema in precedenza, il secondo capitolo delude, e pure parecchio. Non soltanto la trama è risibile e scontata, ma i punti di forza della saga appaiono oramai persino superati e pervenuti fuori tempo massimo. La trama infatti si riduce ad una scontatissima caccia all’uomo, con il classico adrenalitico (e pure troppo lungo) redde rationem finale; gli effetti visivi non stupiscono ed, anzi, dopo aver visto le mirabilie tecniche delle pellicole più recenti dei supereroi Marvel, non risultano più all’avanguardia, com’era invece avvenuto nel primo capitolo di oltre dieci anni fa. Dispiace per Cameron, ma questa pellicola è in ritardo rispetto ai tempi e, nonostante l’enorme sforzo economico di produzione (il punto di pareggio entrate/uscite pare sia stato posto a due miliardi di dollari di incasso), non si ritaglia un proprio preciso posto nella storia della cinematografia mondiale. Scadenti i dialoghi, scontati e ridotti all’osso; pressochè inesistente l’approfondimento psicologico dei personaggi, ridotti a semplici stereotipi; appiccicato alla meglio il messaggio ecologico, fin troppo appiattito sulla crudeltà della caccia ai cetacei (che comunque dovrebbe essere proibita in tutto il mondo); ripetuti di continuo tanto da diventare melensi i riferimenti all’unità famigliare (valore importantissimo, che però diventa gabbia se vissuto in maniera ossessiva); poco curata persino la trama, con alcuni salti logici effetto quasi certamente di un lavoro in post produzione che ha mirato a ridurre la rilevante lunghezza del film, tagliando alcune scene senza però curarsi di affinare lo sviluppo ordinato delle dinamiche. E poi, è tutto decisamente raffazzonato: gli abitanti di Pandora si comportano riproponendo gli stessi gesti “yankee” che oggi potremmo vedere in una qualsiasi sit com, quasi che gli alieni siano americani in vacanza; gli sceneggiatori questa volta hanno pertanto omesso persino di creare un modo di comportarsi che rappresenti la differenza di culture provenienti addirittura da pianeti diversi. Vi è infine una sovrabbondanza di messaggi culturali politicamente corretti ma stucchevoli per scontatezza, al punto che manca il quid della sorpresa e quella “via dell’acqua” non è un mare increspato da onde, ma un lago in cui regna la calma piatta. Il secondo capitolo di “Avatar” è dunque per paradosso un prodotto del passato anzi, “di un futuro passato”; di fatto è un giocattolone datato, come quei soldatini di plastica, residuo di un tempo che non torna più, che si trovano ancora oggi in confezioni – fondi di magazzino a prezzi scontati: i bambini li comprano, ci giocano una volta e poi li mettono via definitivamente, per tornare a divertirsi con i videogiochi.
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