Arancia meccanica

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Lo sguardo che uccide Valutazione 5 stelle su cinque

di molinari marco


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sabato 1 ottobre 2011

Arancia meccanica è l’unico film che Kubrick ha sceneggiato completamente da solo. Ed è, forse, quello che è stato in grado di prevedere in maniera più lucida, nonostante l’alone profetico che volteggia in tutti i suoi capolavori, gli inceppi in cui si sarebbe imbattuta la società occidentale nel corso del suo progresso. La parola chiave del film è ultraviolenza. Non una semplice violenza, dunque, ma qualcosa che la supera, la soverchia, la sovrasta, rendendola innaturale e violentandone (scusate il gioco di parole) così l’essenza naturale insita in ogni uomo. D’altronde che la natura venga stuprata è chiaro sin dal titolo, con quel frutto che si trasforma in una bomba ad orologeria e che simboleggia lo snaturamento effettuato dall’uomo alla bellezza del creato. Resta il fatto che Arancia meccanica è un’opera complessa e controversa e alla quale è indispensabile dare la giusta lettura. Non è un caso che il regista fu costretto a ritirare il suo film dalle sale subito dopo la sua uscita, dal momento che gang giovanili erano già pronti ad emulare Alex e i suoi compari, avendone travisato completamente il senso. Perché questo film è prima di tutto un’opera che ha a che fare con lo sguardo e su quanta influenza le immagini che vengono proiettate su un qualsiasi tipo di schermo abbiano sul nostro modo di agire in società. Tesi enunciata a chiare lettere sin dalla prima inquadratura del film, con un primissimo piano di Alex che ci guarda fissi con i suoi occhioni azzurri, dei quali uno è vistosamente innaturale, e con quella voce over che ci costringe immediatamente ad entrare in empatia con lui. Kubrick, al tempo stesso, però ci consiglia anche di prendere le dovute distanze dal protagonista. Un movimento all’indietro della macchina da presa, infatti, ci allontana lentamente dal volto di Alex, inserendolo a fine carrellata in un luogo, il Karowa Milk Bar, in cui l’arte è ridotta ad una sorta di feticcio da ostentare come prodotto di consumo e che, di conseguenza, ha perso la sua aurea salvifica, diventando anzi complice della degenerazione in atto (si pensi anche all’enorme pene in ceramica bianca che si trasforma in arma del delitto per la signora dei gatti). Non solo, ma la tesi dello sguardo è presente anche nel momento in cui avviene l’inversione di marcia del film, ovvero quando Alex, tradito dai suoi “amici”, viene colpito al volto da una bottigliata. Lungi dal lamentarsi per il dolore, Alex se la prende, stranamente, per il fatto che non è più in grado di vedere. O ancora, la cura Ludovico costringe Alex a tenere gli occhi ben aperti, impossibilitandogli addirittura di chiuderli, su delle immagini che ormai fanno sempre più parte della nostra vita quotidiana. E in questo contesto bisogna cercare anche di non dimenticare che Alex, nonostante Mcdowell sia un po’ più in là con gli anni, altro non è se non un adolescente che si comporta quasi da bambino. Sintomatica, in questa direzione, è la chiusura dal film, con Alex che viene addirittura imboccato dal ministro. E come ogni adolescente è una materia facilmente malleabile e influenzabile. D’altronde che Kubrick non avesse alcuna intenzione di elogiare la violenza lo dimostra il fatto che, ad esempio, lo stupro della signora Alexander, pur essendo preparato con dovizia di particolari, non ci viene mostrato. Mentre lo scontro con la banda di Billy Boy è lontana anni luce da una violenza realistica, ma strizza piuttosto l’occhio a quella dei cartoon, esaltandone così la sua falsità .

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