Prey for Rock & Roll |
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Un film di Alex Steyermark.
Con Gina Gershon, Drea De Matteo, Lori Petty, Shelly Cole, Marc Blucas.
continua»
Musicale,
durata 104 min.
- USA 2003.
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Girls, girls, girls: l'anima del mondo (del rock)di molinari marcoFeedback: 2225 | altri commenti e recensioni di molinari marco |
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venerdì 2 agosto 2013 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Il mondo del rock n’ roll è da sempre dominato da figure maschili e le ragazze spesso corrono il rischio di vedersi minimizzate come l’ingrediente più piccante dell’eterna triade del sesso, droga e -per l’appunto- rock n’ roll. Cimentarsi in un film che esplora questo universo, da sempre in grado di esercitare un forte potere di fascinazione, attraverso uno sguardo tutto al femminile è un’occasione che ogni amante del buon cinema non può lasciarsi sfuggire. Anche perché il tutto è frutto di un’ottima e interessante sceneggiatura scritta da Cheri Lovedog e Robin Whitehouse. Il pilastro centrale dell’intera vicenda è la jokeriana e tatuatissima Gina Gershon che veste le pelli attillate di Jakie, vale a dire la cantante/leader di una band che conta sulla sua ostinazione per agguantare il successo. Ma più la narrazione procede, più gli altri membri della band (la bravissima Drea DeMatteo al basso, l’intramontabile Lory Petty alla chitarra solista e una fresca e graziosa Shelly Cole alla batteria) catturano la nostra attenzione, attraverso delle ottime caratterizzazioni tracciate con poche ma precise pennellate. E così, attraverso questo insieme di sguardi, riusciamo a comprendere come quello del successo sia più una questione personale che Jackie ha preso a cuore per tentare di tenere a bada il suo demone più grande che va sotto il nome di paura di invecchiare. Nel finale, tuttavia, grazie alle sue compagne di avventura, Jackie capirà come la vera essenza del rock non sta tanto nel restare sempre giovani (che spesso rischia di trasformarsi in un “non maturare mai”), quanto nel mantenersi vivi in un mondo in cui l’abisso della depressione è sempre in agguato. Abissi che in questa storia, dato il marchio molto femminista (la marcata componente lesbo non è certo un caso), sono il frutto di traumi e ferite causati da figure maschili: dallo stupratore al patetico produttore, da padri maneschi sino ad arrivare ai ladruncoli che causano il drammatico colpo di scena finale. Il tutto in una Los Angeles minimalista, quasi claustrofobica, e lontana dai fasti hollywoodiani, ma evocata con un crudo realismo che fa emergere egregiamente il tema di tutta la narrazione: arrendersi o continuare a lottare aggrappandosi a qualcosa di evanescente come un sogno. La domanda ovviamente è più che retorica dal momento che una delle prime cose che la scuola del rock insegna è proprio quella di non arrendersi mai, anche tra le mille avversità. Ma se nella stragrande maggioranza delle pellicole dedicate a questo mondo il concetto veniva spesso enunciato in una maniera festaiola e scanzonata, qual è tipica del gene maschile, in questo film quello che emerge è la parte più cinica e profonda della questione. Tanto che si rischia di andarsene con un bel po’ di amaro in bocca a fine visione, se non fosse per la splendida e azzeccatissima battuta finale. Per gli amanti del genere: la colonna sonora va dritta al cuore.
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