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Giumenta endimanchée (una Jolie pronta per l’abattoir) irretisce a bordo del frecciarossa pirla vestito da professore di educazione artistica (un Depp che grazie a questo perentorio suicidio attoriale, vede finalmente, dopo molti equivoci, storicizzarsi la verità del suo ente) e se ne serve da schermo per proteggere l’identità nascosta dell’amante, ricercato da interpol nonché da mafioso russo da operetta.... A Venezia, nella dimensione dilatata di uno spot Campari, la cui coerente falsità viene più volte messa a repentaglio da cammei di attori cinepanettari e televisivi di casa nostra, la vicenda si dipana senza ritmo e senza senso fino all’agnizione finale.
Era dal doppio tentativo del maestro Citto Maselli a metà degli anni ’60 che non si registrava incursione più disastrosa nei territori della sophisticated commedy. (Se si pensa che ad uscirne bene sono soltanto le Ferrovie dello Stato italiane, si avrà un’idea della perversione del tutto.)
“Che ci vuole,” si sarà detto Donnersmarck, “a fare, poniamo, Mancia competente, se si è gli autori di (nientemeno) Le vite degli altri?”
Per quanto mi riguarda, la lezione che ricavo da questo “divertissement d’autore” investe gran parte della produzione d’essai europea: è evidente una volta di più che certa gente i marroni non te li spacca per scelta, ma perché proprio non può fare altro.
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