La verità su La dolce vita |
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Un film di Giuseppe Pedersoli.
Con Giuseppe Amato, Valeria Ciangottini, Sandra Milo, Giovanna Ralli, Luigi Petrucci, Mario Sesti
Documentario,
Ratings: Kids+13,
durata 83 min.
- Italia 2020.
- Cinecittà Luce
uscita martedì 15 settembre 2020.
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E alla fine Padre Pio disse “sì”di Paola Di GiuseppeFeedback: 25414 | altri commenti e recensioni di Paola Di Giuseppe |
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sabato 12 settembre 2020 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Peppino Amato era devoto al Santo di Pietralcina e quel film stava diventando un’ossessione. Fellini non mollava, “devo lavorare in pace” e “non voglio essere disturbato”, Angelo Rizzoli sbraitava sui costi di quello che per lui sarebbe stato un disastro, un’ecatombe, la notte Peppino, il produttore, aveva gli incubi, sognava i film fatti, si svegliava madido.Bisognava partire e parlare col Santo. Dieci minuti a guardarsi, lui e Padre Pio, senza parlare, dopo il viaggio di notte da Roma fino in Puglia con un amico buttato giù dal letto.ll film si doveva fare, e Padre Pio disse sì. Il film si fece, ma Peppino ci rimise le penne. Quattro anni dopo morì, nel 1964, dopo una serie di infarti,l’ultimo fulminante. Ma aveva vinto, La dolce vita fu il film che lui capì, volle, fece carte false perchè Fellini riuscisse a girarlo. La dolce vita disegnò l’Italia come mai prima di allora, un film senza il quale il cinema non sarebbe quello che è. “Passione ed erotismo, il bello e il brutto della vita, c’era l’incantesimo dell’essere umano”, gridava Peppino al telefono al cavalier Rizzoli.“Ne La dolce vita c’è il cuore!”. Urlava. “Il cuore io ce l’ho nel portafoglio”, tagliava corto il cavaliere, e giù la cornetta. Fu una lotta dura, lunga, sofferta, uno scambio di preghiere,minacce,insulti e riconciliazioni. Grande merito di Giuseppe Pedersoli aver ricostruito quella storia, cucendo insieme interviste, spezzoni video delle teche Rai, un carteggio che oggi fa tenerezza, battuto com’è a macchina, cancellature qua e là, fogli ingialliti, il copione del film in una cartellina invecchiata male. Se Fellini brilla di luce propria sullo sfondo, in primo piano c’è questo napoletano doc, nato col cinema e morto nel cinema, Giuseppe Amato, per tutti Peppino, un produttore di pasta diversa. Per lui il cinema erano soldi, certo, ma era soprattutto amore. Era stato folgorato da bambino, andando a scuola. Il set di un muto girato nella piazzetta del paese fu come aprire un buco nella parete e vedere il giardino delle meraviglie.Da allora fu attore e sceneggiatore, ma poi la produzione lo assorbì definitivamente e grandi registi e grandi film li dobbiamo a lui. La dolce vita fu l’approdo e il coronamento, uomo ricco e di successo com’era avrebbe potuto lasciar perdere, i problemi di finanziamento erano davvero enormi, il film preoccupava per la lunghezza (quattro ore) e la stranezza dell’argomento, di Fellini non tutti si fidavano, cinque successi e due Oscar per La Strada e Le Notti di Cabiria non bastavano a far dormire sonni tranquilli ai produttori. 400 milioni, non una lira di più, fu l’ultimatum del cavalier Rizzoli che aveva comprato i diritti da De Laurentis in cambio de La grande guerra. Comunque di soldi ne spesero il doppio, anche se oggi sono cifre da ridere.Il 4 marzo del 1959 iniziarono le riprese, l’anno dopo La dolce vita uscì e il resto è storia nota. Chi ne decretò il successo fu il pubblico, le masse affollarono le sale, “la dolce vita, dice Bertolucci, "divenne “la dolce vita” dopo il film”. Fellini in studio raddrizzò Via Veneto, eliminò quel gomito che ha sotto l’Excelsior, e vista così, nel film, diventò quel mito che regge ancora oggi. Peppino se la godette tutta, dall’alto della sua suite, era come essere dentro il film, fino a quel maledetto giorno, il 3 febbraio, in quella discesa che Fellini aveva raddrizzato a Cinecittà. Il cuore si fermò e lui lo lasciò lì, dove aveva battuto forte negli ultimi mesi.A Via Veneto.
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