Providence |
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Un film di Alain Resnais.
Con David Warner, Ellen Burstyn, John Gielgud, Dirk Bogarde, Peter Arne.
continua»
Drammatico,
durata 107 min.
- Francia, Svizzera 1977.
MYMONETRO
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Notte agitata a Providence
di Paola Di GiuseppeFeedback: 25414 | altri commenti e recensioni di Paola Di Giuseppe |
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domenica 1 maggio 2011 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Horror, fantasia e realtà possono fondersi bene a Providence, ma non siamo negli Stati Uniti di Lovercraft, bensì in un castello immerso nel bosco, come si conviene ai castelli inglesi. Resnais gira quest’unico film inglese ma lo fa da francese, e a volte sembra di essere a Marienbad, altre lo vediamo che strizza l’occhiolino mentre prende in giro gli inglesi con molta serietà, in qualche passaggio si ricorda di Notte e nebbia e lì sì, ci mette un’angoscia a non finire, da Hitler a Pinochet, passando per i colonnelli greci, la sintesi c’è tutta e a Resnais non serve sbrodolarsi in lunghe filippiche. Secondo me Resnais si è divertito molto a girare questo film, ha piazzato una telecamera nella testa di Clive Langham, vecchio acciaccato abbastanza malvissuto sul piano nutrizionale (beve in continuazione, ma altrettanto fanno gli altri, e solo vino bianco, non ne ho mai visto bere tanto come qui) e gli ha registrato pensieri, sogni, pulsioni, fase rem e post-rem, tutto, e tutto nell’arco di una notte (una delle tre unità aristoteliche, il tempo, quanto al luogo e all’azione provate ad arginare i sogni e i pensieri!). Ne esce un bel miscuglio, come è giusto che accada con l’onirico e la fantasia creatrice, dentro c’è la realtà più vera ma vattelappesca dove arpionarla e metterla insieme in un giusto ordine razionale, quello che è tanto necessario per stare in buona compagnia, la giusta ragionevolezza che ci fa essere bravi, gentili ed educati. Clive tira pesci in faccia a tutti in questo pot-pourri che si agita nella sua mente in dormiveglia e nel corpo dolorante, ne esce male soprattutto quel coglioncello del figlio, un Dirk Bogarde che più antipatico di così non si potrebbe, affilato nei doppiopetti azzimati e nelle battute fulminanti, nuora, moglie, amante sfilano in un bel repertorio dell’ “universale femminino”, tempo sensibile e memoria soggettiva si fondono e decostruiscono tranquillamente qualsiasi principio narrativo non appena comincia a formarsi. Come in una sinfonia il regista dirige l’orchestra, i movimenti, allegro, lento, moderato e rapido si alternano, c’è un’intenzione comunicativa, infatti come una sinfonia ha un titolo, Providence, e cosa ci sia di provvidenziale tocca allo spettatore scoprirlo, e dal caos nasce la forma, il film, che si snoda con il suo ordine, che è quanto mai simile a quello vero della vita che, per l’appunto, non è un romanzo. Decostruzione narrativa totale, e dove meglio che di notte e in una mente ormai alterata dagli anni e dall’alcool, ma geniale al punto giusto da dar forma ai sogni e farli sembrar veri? Ma poi arriva la luce del giorno e i piani temporali tornano al loro posto, i rapporti analogici si rifugiano nel profondo, pronti a riemergere appena cadranno di nuovo i freni inibitori, è il giorno del settantottesimo compleanno dello scrittore e i personaggi si ritrovano tutti alla tranquillizzante luce della realtà. Ora hanno un autore.
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