Voleva per usare le sue parole «far entrare qualcosa dentro di sé». e così, Francesca Inaudi, 26enne di Siena, dopo anni di palcoscenici e spettacoli tosti («in teatro viene naturale porgersi»), si è trasferita a Roma. Per, come si dice in questi casi, tentare la carta del cinema. Non avrebbe certo immaginato di sceglierla subito vincente quella carta, tre mesi dopo il trasloco. Grazie al fidanzato attore che la segnala a Davide Ferrario. E questi, che su sguardi ed espressioni altre la sa lunga, l'ha rapita in un batter di ciglia e le ha affidato il ruolo da protagonista di Dopo mezzanotte. Quello che è accaduto successivamente assomiglia a un piccolo miracolo: il film, autoprodotto dallo stesso Ferrario con l'irrisoria cifra di 250 mila euro, viene presentato al Festival di Berlino, dove ottiene uno straordinario successo di pubblico e di critica e ben due premi, il Caligari Film Prize e il Don Quixote Prize. Quindi esce nelle sale italiane quasi in silenzio, ma il tam tarn degli spettatori lo fa brillare da oltre otto settimane nella top ten, facendogli registrare e non è finita un incasso che supera abbondantemente il milione di euro. Francesca Inaudi, presenza magnetica, nervosa, funzionalissima di quest'opera che vive tra cinemagie e crudi realismi, è raggiante. «Sì, devo ringraziare il mio compagno, che l'anno scorso mi ha spinto a presentarmi ai provini di Dopo mezzanotte. E, naturalmente, Davide Ferrario, che si è fidato della mia faccia». Una faccia che colpì Giorgio Strehler, nel 1996, al punto di consentire a Francesca di frequentare la scuola del Piccolo fino al 1999, nell'ultimo corso del mentore milanese. E che, in otto anni di teatro, l'ha portata a confrontarsi con i migliori registi europei, con Massimo Castri, con ribalte sperimentali che faticano ogni sera a riempire un paio di file e occhi di bue prestigiosi, che abbisognano di sangue freddo e personalità. Doti che a Francesca non mancano, aiutata da un corpo pieno e da tratti somatici («So di avere una faccia non convenzionale») che si muovono sul suo volto come evidenziatori di un'anima che si nutre, prima di ogni altra cosa, delle innumerevoli sfumature che abitano il mondo. Non a caso ama David Lynch. «E poi, recentemente, ho scoperto Antonioni. Per non parlare della mia passione per Tarantino». Gusti solo apparentemente diversi, legati in realtà dal filo rosso della curiosa curiosità e delle differenze, di un'alterezza cercata e portata avanti con orgoglio. Un altro esempio? «Per avere il ruolo di Marlena, in Gli arcangeli di Simone Scafidi, ho lottato con le unghie, perché leggendo il copione avevo capito che vestiva su di me come non si potrebbe sperare». Non dice molto sui nuovi progetti, Francesca: preferisce aspettare gli eventi. «Sì, ho girato due film... Dopo mezzanotte oltre a Gli arcangeli, Happy House di Max Papeschi e Tacopo Oz, un'opera prima corale e in digitale, sospesa tra noir, giallo e thriller. Ma non sarebbe giusto svelare ora retroscena e segreti». Ma sì, è giusto non forzare. E poi non è tanto importante sapere di una storia, importante è come viene coinvolta, sviluppata, contestualizzata. Perché, come si sente dire nel bellissimo film di Davide Ferrario, «i film possono finire, ma il cinema non finisce mai».
Da Film Tv, 26, giugno 2004
